La valutazione del rischio corruzione: dalle linee guida di Anac al piano triennale

21 Marzo 2016
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di Angelo Jannone – Partner di Crowe Horwath-Saspi

PREMESSA

La legge 6 novembre 2012, n. 190 – nota come “legge Anticorruzione”- è oramai ben oltre il suo quarto anno di vita. Ma già il decreto legislativo predisposto dal Governo in attuazione della delega di cui all’art.7 della legge 7 agosto 2015, n.124, comporterà una mini rivoluzione.

In realtà la rivoluzione/semplificazione riguarderà soprattutto il d.lgs. n. 33/2013 in tema di Trasparenza.

Ma soprattutto metterà ordine facendo assurgere al rango di legge primarie una serie di estensioni che hanno nel tempo dilatato l’ambito di applicazione della normativa e delle sue conseguenze.

Infatti con l’introduzione dell’art. 2-bis nel d.lgs. n. 33/2013, operata dall’art. 3 del progetto di decreto di riforma, sarà meglio definito intanto l’ambito di applicazione della normativa in materia di trasparenza raccordandola appieno con quella in materia di anticorruzione.

Tale ambito di applicazione è oggi regolato dall’art. 11 del d.lgs. n. 33/2013, modificato dall’art. 24-bis del d.l. del 24 giugno 2014 n. 90. Ciò che ne è venuto fuori è stata una formulazione complessa, per cui – per Enti di diritto privato in controllo pubblico – ad esempio – va guardato in concreto quale sia l’attività di pubblico interesse, disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea poter stabilire se si applichino o meno le disposizioni in materia di trasparenza.

E questo con tutte le già complesse problematiche interpretative dell’art. 2359 c.c. quando si tratta di concetto di controllo Pubblico.

Per cui ogni dubbio interpretativo circa i destinatari degli obblighi, sarà definitivamente sciolto -si auspica- con la riforma.

Continueranno a rimanere fuori dagli le società/emittenti di titoli quotati, per ragioni intuitive (la trasparenza trova per quelle altra disciplina nelle norme del TUF).

Ed il tema che vogliamo affrontare vede al centro, non tanto la Pubblica Amministrazione in senso stretto, quanto proprio gli Enti diritto privato a controllo Pubblico o a partecipazione non di controllo, che siamo soliti definire impropriamente partecipate.

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