La mancata conferma delle riserve già iscritte nel registro di contabilità e la presunzione solo relativa di accettazione del conto finale

Commento alla sentenza della Cassazione civivile, Sez. I, del 27 giugno 2017, n. 15937

4 Dicembre 2017
Scarica PDF Stampa
Modifica zoom
100%

Le controversie nella fase di esecuzione delle opere pubbliche si traducono in una necessaria ed imprescindibile cristallizzazione delle domande dell’appaltatore nelle c.d. riserve.

Le doglianze mosse al committente, infatti, devono essere conosciute o comunque conoscibili per quest’ultimo secondo sequenze temporali stringenti e con contenuti chiari, tanto in ordine ai motivi della pretesa quanto con riferimento alla somma del maggior compenso richiesto, pena la decadenza dal diritto che si pretende di far valere.

La firma con “riserva” del documento contabile rilevante ai fini della domanda, dunque, assume la duplice valenza di non accettazione espressa dei contenuti ivi espressi e di segnalazione dell’aumento del prezzo stimato per la commessa in esecuzione.

La disciplina di settore, dunque, impone una precisa condotta all’appaltatore, il quale è onerato di segnalare e circoscrivere le proprie pretese nel progredire delle lavorazioni, attraverso l’apposizione delle riserve sul primo documento utile a riceverle (e comunque in sede registro di contabilità) e la successiva esplicazione, come noto, nei gg. 15 successivi.

Solo nelle ipotesi in cui il registro di contabilità non sia nella disponibilità dell’appaltatore, per causa a lui non imputabile, ovvero quando il registro di contabilità non esista o sia irregolarmente tenuto, il petitum e la causa petendi delle domande che si intende spiegare possono essere denunciati anche a mezzo della notifica di un atto di diffida.

Ad ogni modo, giunti alla conclusione delle attività, nonostante la progressiva denuncia di maggiori oneri e de pretese risarcitorie, l’appaltatore è tenuto alla sottoscrizione con riserva anche del conto finale.

La contabilità d’appalto, infatti, segue una formazione graduale e sempre modificabile, sino al momento finale della commessa.

L’appaltatore, perciò, è tenuto alla conferma nel conto finale, di tutte le riserve non definite in corso di esecuzione delle opere, mediante una sintetica riproposizione che segni, però, la manifesta volontà di mantenerle in essere. Ebbene, la Suprema Corte, con la pronuncia in commento, proprio in argomento ha precisato: l’appaltatore che, benché abbia iscritto tempestiva riserva, non abbia reiterato le richieste che ad essa si riferiscano in sede di liquidazione del conto finale, così omettendo ogni contestazione, decade dalle relative domande, atteso che siffatta omissione è incompatibile con l’intenzione di persistere nella pretesa avanzata in precedenza, derivando dalla mancata conferma una presunzione relativa di accettazione del conto finale, superabile soltanto con la prova della positiva volontà dell’appaltatore di non accettarlo”.

La sentenza, dunque, merita interesse, non tanto con riferimento alla rinnovazione del noto obbligo di reiterazione delle domande al conto finale, bensì piuttosto in relazione alla qualificazione della omessa conferma come presunzione relativa e non assoluta di adesione al conto finale.

Le argomentazioni spese dalla Suprema Corte, infatti, paiono lasciare uno spazio – insolito ed inaspettato – a diverse e non tipizzate forme di censura del conto finale, diverse dall’ordinario strumento dell’apposizione contestuale ed espresso della riserva, con ciò aprendosi uno spiraglio – a onor del vero – alquanto discutibile e scivoloso in ordine alla forma ed al tempo delle censure sollevabili dall’appaltatore.

Cass. civ. Sez. I, Sent., (ud. 22-11-2016) 27-06-2017, n. 15937

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 3896/2012 R. G. proposto da:

G.A., rappresentato e difeso dall’avv. Mario Ettore Angelo Rotondo, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via F. Massimo, n. 60;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ROGLIANO, rappresentato e difeso dall’avv. Rinaldo Talarico, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Massimo Caravetta in Roma, via Guido d’Arezzo, n. 16;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro, n. 1090, depositata in data 17 dicembre 2010;

sentita la relazione svolta all’udienza pubblica del 22 novembre 2016 dal consigliere Dott. Pietro Campanile;

sentito per il ricorrente l’avv. Rotondo;

sentito per il controricorrente l’avv. Talarico;

udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento dei primi due motivi, rigetto del terzo.

Svolgimento del processo

 

  1. Con sentenza n. 1858 del 2005 il Tribunale di Cosenza condannava il Comune di Rogliano al pagamento in favore del sig. G.A., cessionario dei crediti vantati nel confronti di detto ente dalla S.r.l. Comes in relazione all’esecuzione di un appalto, al pagamento della somma di Euro 32.643,60, oltre interessi e spese del giudizio.
  2. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Catanzaro ha dichiarato la nullità ex art. 132 cod. proc. civ. della decisione di primo grado, e, decidendo nel merito, in parziale accoglimento del gravame proposto dal Comune, ha rideterminato il credito del G. in Euro 4.509,60, oltre intessi, rigettando ogni altra domanda del predetto, che in via incidentale aveva richiesto una somma maggiore di quella determinata dal Tribunale, con compensazione integrale delle spese di primo grado e parziale di quelle relative al giudizio di appello.
  3. In particolare, la Corte, nel decidere nel merito la controversia, ha evidenziato che il credito del G. derivava da un contratto di appalto intercorso fra il Comune di Rogliano e l’impresa Comes per la costruzione di un edificio scolastico in località (OMISSIS). La fondatezza della pretesa, nei limiti di Euro 4.509,60, è stata riconosciuta sulla base della differenza spettante all’impresa sulla base del conto finale e in relazione a un residuo credito per revisione prezzi.
  4. Quanto agli interessi, richiamate le disposizioni di cui al D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 36 e L. n. 741 del 1981, artt. 4 e 5, si è osservato che, essendo stati i lavori ultimati in data 8 novembre 1988, gli stessi dovevano essere calcolati, a partire dal 21 agosto 1989, al tasso legale per i primi sessanta giorni e successivamente, fino al saldo, in misura corrispondente al tasso praticato dagli istituti di credito.
  5. Escluso il diritto al compenso per un lavoro aggiuntivo consistente nella fornitura e posa in opera di un pannello isolante, è stata rilevata l’infondatezza della pretesa ex art. 2041 c.c., stante la carenza dei relativi presupposti.
  6. Avverso tale decisione il sig. G. propone ricorso, affidato a cinque motivi, cui il Comune di Rogliano resiste con controricorso.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo, si deduce violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., nonchè vizio di motivazione in relazione al contrasto con le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio: avendo il ricorrente chiesto la differenza fra le somme liquidate nei SAL e quelle effettivamente corrisposte, la corte distrettuale ha disatteso la domanda, nonchè le specifiche risultanze inerenti alle somme a tale titolo ancora dovute.
  2. Con il secondo mezzo si deduce violazione del D.P.R. n. 1063 del 1972, art. 36 e della L. n. 741 del 1981, nonchè contraddittorietà della motivazione in merito agli interessi per ritardato pagamento.
  3. Con il terzo motivo si contesta il rigetto della domanda, fondata sull’art. 2041 c.c., in merito all’utilità della prestazione, nella specie sussistente, in quanto imposta dalla sopravvenuta L. n. 373 del 1976.
  4. La quarta doglianza attiene al regolamento delle spese: la compensazione delle stesse (integrale quanto al primo grado e parziale per il secondo) avrebbe comportato la violazione del principio contenuto nell’art. 91 c.p.c..
  5. Con l’ultimo mezzo si denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per aver la Corte omesso di pronunciare in merito alla somma richiesta in relazione al mancato utile sulle opere non fatte realizzare dalla stazione appaltante.
  6. Il primo, il secondo e l’ultimo motivo, che possono essere congiuntamente esaminati, sono in parte inammissibili, ed in parte infondati.

6.1. Il ricorrente, invero, non censura la fondamentale ragione della decisione in base alla quale le pretese relative al saldo dei lavori, agli interessi moratori e alle somma richieste ai sensi dell’art. 41 del Capitolato generale sono state rigettate: la corte distrettuale, invero, ha rilevato l’efficacia preclusiva derivante dall’approvazione senza riserve del conto finale, dal quale risultava, a favore dell’impresa appaltatrice, al netto delle somme già versate, il credito, per il quale è stata emessa condanna, pari ad Euro 4.509,60.

6.2. Vale bene ricordare che il conto finale costituisce il documento in cui debbono essere confermate le richieste e le riserva già iscritte “immediatamente”: questa Corte ha più volte affermato che, in tema di appalti pubblici, dal combinato disposto del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 16, 54 e 64 e D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 26 si ricava che l’appaltatore di opera pubblica, ove voglia contestare la contabilizzazione dei corrispettivi effettuata dall’amministrazione e/o avanzare pretese comunque idonee ad incidere sul compenso complessivo spettantegli, è tenuto ad iscrivere tempestivamente apposita riserva nel registro di contabilità o in altri appositi documenti contabili; ad esporre, poi, nel modo e nei termini indicati dalla legge, gli elementi idonei ad individuare la sua pretesa nel titolo e nella somma; ed a confermare, infine, la riserva all’atto della sottoscrizione del conto finale. Ne consegue che l’impresa che, pur avendo tempestivamente formulato la riserva, non la riproduca e non la espliciti nei termini e nei documenti previsti dalle citate norme, decade dalle relative domande; e nella medesima preclusione detta impresa incorre ove abbia iscritto tempestiva riserva, senza reiterare le richieste che ad essa si riferiscono in sede di liquidazione del conto finale, atteso che siffatta omissione è incompatibile con l’intenzione di persistere nella pretesa avanzata in precedenza, derivando dalla mancata conferma una presunzione relativa di accettazione del conto finale, superabile soltanto con la prova della positiva volontà dell’appaltatore di non accettarlo (Cass., 22 maggio 2007, n. 11852; Cass., 17 luglio 2014, n. 16367).

6.3. La sentenza impugnata ha quindi correttamente applicato il principio secondo cui l’omessa contestazione del conto finale è preclusiva di ulteriori richieste (Cass., 28 maggio 2003, n. 8532): tale ragione della decisione, che in parte qua assume rilevanza autonoma, non è stata contestata, nè è stato dedotto alcun elemento inteso e rendere la prova di una volontà contraria alla rinuncia alle proprie pretese da presumersi dalla sottoscrizione del conto finale. Invero il ricorrente si è limitato a richiamare le risultanze probatorie deponenti nel senso della sussistenza dei crediti vantati, senza minimamente contestare la valenza attribuita dalla corte distrettuale all’approvazione del conto finale ed al minor importo, rispetto a quanto richiesto, da esso risultante.

  1. Il dispositivo della decisione impugnata, nella parte in cui è interessato dalla terza censura, deve essere confermato in quanto conforme al diritto, ancorchè la motivazione debba essere corretta ed integrata ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 4.

7.1. Vale bene premettere che nella specie non trova applicazione il D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23, comma 4, convertito nella L. 24 aprile 1989, n. 144, essendo pacifico che i lavori de quibus vennero svolti prima dell’entrata in vigore della disciplina sopra richiamata: va quindi richiamato il costante orientamento di questa Corte secondo cui l’applicabilità dell’art. 23 sopra citato è esclusa per le prestazioni e i servizi resi alla pubblica amministrazione anteriormente alla sua entrata in vigore (Cass., 12 giugno 2008, n. 15688; Cass., 20 agosto 2003, n. 12208; Cass., 3 agosto 2000, n. 10199).

7.2. Il tema del riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito – che costituisce il dato fondante della decisione impugnata – non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicchè il depauperato che agisce ex art. 2041 c.c. nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato dello stesso, esso potendo, invece, eccepire e provare che l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole, e che si trattò, quindi, di “arricchimento imposto”.

7.2. A tale riguardo va osservato che le Sezioni unite di questa Corte, nell’affermare il principio testè richiamato, hanno poi precisato che “le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle dimensioni e della complessità dell’articolazione interna della pubblica amministrazione, che l’espediente giurisprudenziale del riconoscimento dell’utilitas ha inteso perseguire, possono essere adeguatamente coniugate con la piena garanzia del diritto di azione del depauperato, nell’ambito del principio di diritto comune dell’arricchimento imposto, in ragione del quale l’indennizzo non è dovuto se l’arricchito ha rifiutato l’arricchimento o non abbia potuto rifiutarlo, perchè inconsapevole delreventum utilitatis” (Cass. Sez. U, 26 maggio 2015, n. 10798).

7.3. A detta soluzione deve ricondursi l’ipotesi, ricorrente nella specie, delle opere aggiuntive eseguite dall’appaltatore in assenza di qualsiasi valida richiesta o autorizzazione e, quindi, in violazione di uno specifico precetto normativo. A tale riguardo questa Corte ha ritenuto che dovesse trovare applicazione l’art. 342 della legge 2248, all. F), del 1865, secondo cui, per le variazioni non richieste, gli appaltatori non possono pretendere alcun aumento di prezzo o indennità. In tale disposizione, inoltre, espressamente, con la previsione dell’esclusione di qualunque “indennità” in aggiunta all’esclusione di qualunque “compenso”, viene sancita anche l’insussistenza di qualsiasi diritto ad un indennizzo, sia in forza delle eventuali addizioni con materiali propri su fondo altrui, sia sulla base dell’azione generale di arricchimento, o sia per altro titolo.

E’ stato quindi affermato che “all’appaltatore che abbia posto in essere varianti arbitrarie, l’indennizzo ex art. 2041 cod. civ. non compete non già per l’inammissibilità dell’actio de in rem verso nei confronti della Pubblica amministrazione, ma per l’assorbente ragione della vigenza di un precetto legislativo che lo escludeva in modo espresso all’epoca dei lavori in esame” (Cass., 9 luglio 2004, n. 12681; Cass., 23 febbraio 1996, n. 1443).

7.4. Come sopra evidenziato, la pretesa viene fondata unicamente sulla dedotta sopravvenienza della L. n. 373 del 1976, come tale giustificatrice dell’invocata “utilitas”, senza che sia in alcun modo contestata la circostanza inerente alla totale assenza di autorizzazione o di qualsiasi richiesta in merito alla posa in opera del materiale isolante, ragion per cui il dispositivo della decisione impugnata deve considerarsi conforme al diritto per le ragioni sopra indicate.

  1. Il motivo di impugnazione inerente al regolamento delle spese processuali è inammissibile: deve infatti rilevarsi che non è sindacabile in questa sede l’esercizio del relativo potere discrezionale da parte del giudice del merito, tanto più che, trattandosi di giudizio intrapreso anteriormente alla modifica dell’art. 92 cod. proc. civ. introdotta dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, la motivazione resa in proposito appare congrua.
  2. Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 22 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2017

Laura Fioravanti