Alla Corte di Giustizia la questione sulla compatibilità con il diritto dell’Unione dell’irrilevanza di una precedente risoluzione contrattuale ancora sub judice

La scelta del legislatore italiano di precludere alla stazione appaltante qualunque valutazione sull’affidabilità del concorrente per effetto della mera contestazione in un giudizio civile di una precedente risoluzione contrattuale, non appare in linea con il diritto dell’Unione

21 Dicembre 2017
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La scelta del legislatore italiano di precludere alla stazione appaltante qualunque valutazione sull’affidabilità del concorrente per effetto della mera contestazione in un giudizio civile di una precedente risoluzione contrattuale, non appare in linea con il diritto dell’Unione

Con l’ordinanza in commento, il TAR di Napoli ha sollecitato l’intervento della Corte di Giustizia, chiamata questa volta a pronunciarsi sul delicato tema dell’esclusione delle imprese dalle procedure di gara per gravi illeciti professionali.

In particolare, i giudici europei dovranno valutare se i principi comunitari vigenti nella materia degli appalti pubblici e le disposizioni della Direttiva 2014/24/UE ostino all’applicazione dell’art. 80, comma 5, lett. c) D.Lgs. 50/2016, in base al quale, la contestazione in giudizio di significative carenze evidenziate nell’esecuzione di un pregresso appalto, che hanno condotto alla risoluzione anticipata del relativo contratto, preclude ogni valutazione dell’amministrazione circa l’affidabilità del concorrente, senza che l’impresa abbia, neppure, dimostrato l’adozione delle misure di self cleaning.

La normativa di riferimento e l’interpretazione della giurisprudenza nazionale

L’art. 80, comma 5, lett. c) del nuovo Codice appalti contempla, fra le cause di esclusione, il caso in cui la stazione appaltante dimostri che l’impresa abbia commesso gravi illeciti professionali, tali da renderne dubbia l’affidabilità.

Fra questi rientrano anche le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto, che ne abbiano determinato la risoluzione anticipata.

La facoltatività di tale causa di esclusione viene meno laddove la risoluzione sia stata contestata in giudizio: attraverso la mera proposizione dell’impugnativa della risoluzione dinanzi al giudice ordinario, si configura in capo all’amministrazione un vero e proprio obbligo legale di ammissione della concorrente (cfr., fra le molte, T.A.R. Lecce n. 1935/2016 e Cons. di Stato n. 1955/2017, la quale aveva, fra l’altro, dichiarato irrilevante nella controversia una questione pregiudiziale analoga a quella in esame).

A parere dei giudici rimettenti, tale previsione priverebbe di effettività la causa di esclusione facoltativa, precludendo all’amministrazione ogni valutazione sull’affidabilità dell’impresa.

Essa sarebbe, in definitiva, rimessa all’esito del giudizio civile sulla risoluzione, con il rischio che la relativa decisione intervenga in un momento in cui si sono prodotti effetti irreversibili, qualora ad esempio la gara sia stata aggiudicata ad un concorrente che doveva essere estromesso.

Il diritto dell’Unione Europea

La Direttiva 2014/24/UE prevede all’art. 57, comma 4 due distinte cause di esclusione facoltative:

  • qualora l’amministrazione aggiudicatrice dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si sia reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità (lett. c) );
  • qualora l’operatore economico abbia evidenziato significative carenze nell’esecuzione di un requisito sostanziale nell’ambito di un precedente contratto, che ne abbiano causato la cessazione anticipata (lett. g) ).

La ratio di tali disposizioni è da rinvenire nel principio di affidabilità.

Il considerando 101 della Direttiva riconosce ampia discrezionalità alle amministrazioni aggiudicatrici circa la possibilità di escludere gli operatori economici che si siano dimostrati inaffidabili a causa di gravi violazioni dei doveri professionali.

Al riguardo, si precisa che “Tenendo presente che l’amministrazione aggiudicatrice sarà responsabile per le conseguenze di una sua eventuale decisione erronea, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero anche mantenere la facoltà di ritenere che vi sia stata grave violazione dei doveri professionali qualora, prima che sia stata presa una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori, possano dimostrare con qualsiasi mezzo idoneo che l’operatore economico ha violato i suoi obblighi…”.

Il rinvio pregiudiziale

Nell’illustrare i motivi del rinvio pregiudiziale, il TAR Napoli ha, in via preliminare, evidenziato come la trasposizione della citata Direttiva, attraverso la tecnica del ritaglio, abbia prodotto una commistione tra le due distinte ipotesi di esclusione sopra esaminate che sono state impropriamente unificate.

Al contrario, il previgente art. 38, comma 1, lett. f), D.Lgs. n. 163/2006 costituiva la trasposizione con il metodo copy – out della Direttiva 2004/18/CE e, in conformità con la normativa comunitaria, rimetteva alla motivata valutazione della stazione appaltante l’accertamento del rilievo e della gravità di condotte indici di grave negligenza o malafede nello svolgimento di altre prestazioni affidate dalla stessa amministrazione o di errore grave nello svolgimento dell’attività professionale d’impresa.

Ad oggi, invece, la significativa carenza nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto è stata, per un verso, costruita come un’ipotesi esemplificativa di grave illecito professionale per il quale le disposizioni sovranazionali prevedono, comunque, la possibilità di accertamento “con mezzi adeguati” e, per altro verso, ne è stata sterilizzata la portata applicativa, dal momento che si è disinnescata l’idoneità della stessa a fondare un motivo di esclusione, con una sostanziale disapplicazione in parte qua delle previsioni della Direttiva.

Da qui la dubbia conformità della disciplina interna al diritto sovranazionale e ai principi euro unitari vigenti nella materia degli appalti pubblici, in particolare quelli della proporzionalità, affidabilità del concorrente e parità di trattamento fra le imprese.

La decisione di esclusione per deficit di fiducia, derivante da un inadempimento contrattuale, dovrebbe essere frutto di una valutazione discrezionale e autonoma della stazione appaltante e non essere rimessa per intero ad un sindacato giurisdizionale, incentrato peraltro sulla correttezza dell’azione risolutoria più che sull’affidabilità dell’operatore economico. In tal modo, si finirebbe per far dipendere l’ammissione alla gara dalla decisione dell’operatore economico, della cui affidabilità si tratta, di impugnare la risoluzione in sede giurisdizionale.

In tale ottica, ad essere frustrato è anche il principio di effettività, ove si consideri che è ben possibile che l’appaltatore decida di impugnare la risoluzione a distanza di un certo lasso di tempo e che alla data dell’aggiudicazione e dell’espletamento del servizio, il giudizio sia ancora pendente.

Un’impresa responsabile di gravi inadempimenti finisce così per avvantaggiarsi della circostanza che il suo inadempimento non viene accertato in tempo utile, ai fini dell’esclusione dalle gare.

Dubbi di compatibilità, sembrano porsi, infine, anche con il meccanismo del c.d. self cleaning che consente alle imprese di adottare misure capaci di rimediare, ex post, alle conseguenze di reati o violazioni significative per l’esclusione dalle gare.

Ebbene, l’automatismo ammissivo previsto dalla legge italiana costituirebbe un incentivo al disconoscimento degli errori professionali e quindi all’opposto sarebbe idoneo a disincentivare l’adozione delle misure di self cleaning, opportune per evitare il ripetersi di ulteriori illeciti.

Documenti collegati

Massima e testo integrale dell’Ordinanza TAR Napoli, 13 dicembre 2017, n. 5893