Se il provvedimento di risoluzione anticipata di un precedente contratto di appalto è ancora impugnabile, l’amministrazione è obbligata ad ammettere l’operatore in gara? La parola (ancora una volta) ai giudici europei

Commento all’Ordinanza del Consiglio di Stato, sez. V, del 23 agosto 2018, n. 5033

6 Settembre 2018
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Il Consiglio di Stato ha chiesto alla Corte di Giustizia se l’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. 50/2016, nella parte in cui attribuisce rilevanza escludente alle sole risoluzioni contrattuali non contestate o confermate all’esito di un giudizio, sia compatibile con il diritto europeo

Sembra ancora lontana dall’essere risolta la questione relativa alla rilevanza escludente di una precedente risoluzione contrattuale a cui l’operatore economico non abbia prestato acquiescenza, che sia ancora sub iudice o per la quale non siano ancora decorsi i termini di impugnazione.

I dubbi interpretativi, rimessi nuovamente alla Corte di Giustizia con l’ordinanza in commento,[1] derivano dall’ambigua formulazione dell’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. 50/2016 ove ricomprende fra i gravi illeciti professionali anche “le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni”.

In particolare, l’ultima parte della disposizione continua ad essere diversamente intesa dalla giurisprudenza amministrativa che oscilla fra coloro che reputano necessario, ai fini dell’esclusione dalla gara, che al provvedimento di risoluzione sia stata prestata acquiescenza o che esso sia stato confermato in sede giurisdizionale e coloro che ritengono di dover rimettere in ogni caso alla discrezionalità della stazione appaltante la valutazione relativa all’integrità e affidabilità del concorrente.

Il contrasto è emerso anche all’interno del giudizio oggetto dell’ordinanza n. 5033 del 2018 e riguardante l’impugnazione dell’esclusione di un operatore economico per intervenuta risoluzione di un precedente contratto di appalto concluso con la medesima stazione appaltante, non censurata in sede giurisdizionale e non ancora divenuta inoppugnabile.

Infatti, nel giudizio instaurato dapprima dinnanzi al Tar Lecce e successivamente al Consiglio di Stato, i giudici amministrativi non hanno interpretato univocamente la causa di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c): mentre, in primo grado, il Collegio ha respinto l’impugnazione avverso il provvedimento di esclusione “non potendosi ritenere che la norma in parola, già di dubbia interpretazione ove letta nel senso di privare di rilevanza le risoluzioni oggetto di contestazione fino alla loro inoppugnabilità, porti alla paradossale conseguenza per cui la p.a. debba addirittura attendere l’assenza di future, eventuali iniziative giudiziarie dei concorrenti, iniziative sottoposte peraltro dal c.p.c. a termini processuali evidentemente non in linea con gli interessi oggetto dei procedimenti e dei processi amministrativi in tema di appalti)”, in sede di appello i giudici di Palazzo Spada sembrano privilegiare un’interpretazione letterale della norma in esame, che sarebbe applicabile solo in presenza della volontà univoca dell’operatore economico di accettare gli effetti della risoluzione o qualora la stessa venga confermata con sentenza passata in giudicato.

Così ricostruito, l’art. 80, comma 5, lett. c) appare, ad avviso del Consiglio di Stato, non conforme alle corrispondenti disposizioni eurounitarie (art. 57, par. 4 e considerando 101 della Direttiva 2014/24/UE) e ai principi di ragionevolezza e proporzionalità vigenti in materia, poiché a livello europeo si consente l’esclusione dell’impresa se la stazione appaltante è comunque in condizione di dimostrare la sussistenza di un grave illecito professionale; invece, a livello nazionale si è deciso di stabilire che l’errore professionale, passibile di risoluzione anticipata, non comporta l’esclusione in caso di contestazione in giudizio.

La conseguenza è la necessaria subordinazione dell’azione amministrativa agli esiti di un eventuale giudizio, scelta quest’ultima non compatibile con le finalità di interesse generale del settore, vale a dire l’utile realizzazione delle opere o l’acquisizione dei servizi da parte delle pubbliche amministrazioni.

Infatti, risolto il contratto per grave inadempimento dell’impresa, l’amministrazione dovrà indire una nuova procedura di gara, ma all’operatore economico, già reputato inadempiente, basterà contestare in giudizio la risoluzione per ottenere, comunque, ingresso nella nuova procedura.

Le decisioni della stazione appaltante finiscono, dunque, per dipendere dalla scelta dell’operatore economico se impugnare o meno la risoluzione: a fronte di “gravi illeciti professionali” simili un operatore sarà escluso in quanto non ha proposto impugnazione giurisdizionale della risoluzione e l’altro, per averla proposta, non potrà essere invece escluso.

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[1] Sul punto, cfr. anche ordinanza TAR Napoli, 13 dicembre 2017, n. 5893, commentata su questo sito in data 21 dicembre 2017

Documenti collegati

  • Ordinanza del Consiglio di Stato sez. V 23/8/2018, n. 5033
    Contratti pubblici – Disciplina nazionale – Requisiti generali – Gravi illeciti professionali – Risoluzione anticipata precedente contratto – Esclusione dalla gara solo se la risoluzione non è contestata o è confermata all’esito di un giudizio – Questione di compatibilità con l’art. 57 par. 4 della direttiva 2014/24/ue sugli appalti pubblici

Irene Picardi