La responsabilità da ritardo del Committente nel pagamento del corrispettivo d’appalto

Commento a Cassazione civive, Ord. I, Sent. 24-08-2018, n. 21180

7 Settembre 2018
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La Suprema Corte, sul solco tracciato da precedente giurisprudenza, ha affrontato la questione del ritardo nel pagamento all’Appaltatore dei compensi (acconto e saldo) in relazione all’esecuzione di un contratto di appalto pubblico.

La controversia traeva origine dalla decisione della Corte territoriale di concedere la condanna in favore dell’Appaltatore del dovuto da parte dell’Ente Locale, anche in ipotesi di ritardo nel versamento legato al mancato e/o tardivo finanziamento nei confronti del Comune ad opera della Regione.

Ebbene, il ricorso per la Cassazione della pronuncia, promosso dal Comune, è stato rigettato dalla Cassazione la quale è partita dal generale principio dell’onere della prova, ai sensi dell’art. 1218 c.c., in virtù del quale il debitore è responsabile per solo fatto dell’inadempimento, salva la prova dell’impossibilità della prestazione o, almeno, la dimostrazione che la medesima non possa essergli imputata.

In particolare, la Cassazione ha sottolineato che “non basta eccepire che la prestazione non possa eseguirsi per fatto del terzo ma occorre dimostrare l’assenza di colpa con l’uso della diligenza spiegata per rimuovere l’ostacolo frapposto da altri all’esatto adempimento. Ed al riguardo, questa Corte (Cass. n. 22580 del 2014 e n.4214 del 2012) ha già affermato il condivisibile principio secondo cui: in tema di responsabilità da ritardo del committente (nella specie: il Comune) nei pagamenti degli acconti e del saldo quale corrispettivo delle opere eseguite nell’ambito di rapporto di appalto pubblico, in favore dell’appaltatore, causato dal ritardo nell’erogazione del finanziamento da parte di altro ente pubblico (nella specie: la Regione) non può essere esclusa la responsabilità del debitore per il ritardato pagamento in quanto i fatti, in apparenza ascrivibili (a monte) al soggetto terzo-finanziatore, restano imputabili al committente-debitore in mancanza di una convenzione ulteriore, con la quale l’ente finanziatore garantisca al committente la tempestiva erogazione del finanziamento”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI   Francesco                          –  Presidente   –

Dott. SAMBITO   Maria Giovanna                –  rel. Consigliere  –

Dott. MARULLI   Marco                              –  Consigliere  –

Dott. MERCOLINO Guido                              –  Consigliere  –

Dott. CAIAZZO   Rosario                            –  Consigliere  –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11696/2014 proposto da:

Comune di Giovinazzo, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via del Tritone n. 102, presso lo studio dell’avvocato Nanna Vito, rappresentato e difeso

dall’avvocato Violante Andrea, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Impresa Conte Domenico S.r.l., Regione Puglia;

– intimate –

avverso la sentenza n. 191/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 14/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/06/2018 dal cons. SAMBITO MARIA GIOVANNA C..

FATTI DI CAUSA

La S.r.l. C.D. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Bari il Comune di Giovinazzo, chiedendone la condanna al pagamento del saldo dei lavori di costruzione di un tronco della rete idrica urbana, degli interessi di cui al D.P.R. n. 1063 del 1962, sui tardati pagamenti dei SAL, della revisione prezzi e degli interessi moratori sulla stessa, in relazione all’appalto del 28.7.1989.

Il Tribunale adito, nel contraddittorio del convenuto e della Regione Puglia, da lui chiamata in garanzia quale ente finanziatore, condannò il Comune al pagamento della somma di Euro 23.720,78, per saldo lavori ed interessi, dichiarò il difetto di giurisdizione sulla domanda del compenso revisionale e rigettò la domanda di garanzia. La decisione fu confermata dalla Corte d’Appello di Bari, che, con sentenza del 14.3.2013, e per quanto d’interesse, osservò che il ritardo nelle erogazioni, da parte della Regione, a sua volta beneficiaria di finanziamenti ministeriali, non ne giustificava la condanna al versamento di somme ulteriori rispetto al contributo concesso, non coperte da corrispondente copertura finanziaria, e che gli oneri eccedenti i finanziamenti assentiti avrebbero dovuto esser fronteggiati dalle Amministrazioni locali con l’eventuale modifica del quadro economico dell’intervento, secondo quanto disposto da una circolare, nota al Comune. La Corte ha aggiunto che il Comune, che aveva stipulato il contratto prima della concessione del finanziamento, avrebbe potuto cautelarsi altrimenti, ad esempio prevedendo in seno al contratto d’appalto il differimento della esigibilità del corrispettivo all’effettiva erogazione del finanziamento.

Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso il Comune con due mezzi. Gli intimati non hanno svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Col primo motivo, il ricorrente lamenta l’omesso esame circa il fatto, decisivo per il giudizio, della conoscenza, da parte dell’impresa appaltatrice dell’intero finanziamento Regionale dell’opera, e circa il fatto che gli accrediti dovevano intervenire all’esito delle delibere di approvazione, da parte di esso ricorrente, di ciascun SAL, meccanismo idoneo ad escludere l’addebito a suo carico del ritardo nel pagamento. Nè il riferimento alla circolare emanata dalla Regione poteva valere a sostenere la motivazione della Corte del merito, che aveva omesso di valutare come, nella specie, non si trattasse di finanziamenti suppletivi o di richiesta di somme eccedenti i finanziamenti assentiti, ma di opera inferiore all’importo finanziato. Senza dire che l’Impresa aveva richiesto gli interessi, solo, con la citazione introduttiva del giudizio, sicchè esso Ente non avrebbe potuto, comunque, attivare gli strumenti previsti dalla circolare, che presupponevano l’appalto in corso.

 

  1. Col secondo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 35 e 36, per avere la Corte d’Appello riconosciuto gli interessi moratori in assenza di sua colpa; colpa che non poteva esser ravvisata nella stipula anticipata del contratto, in sè necessaria per ottenere il finanziamento, e neppure nella mancata stipulazione di una clausola per differire il termine per l’adempimento, che avrebbe presupposto, in modo del tutto irrazionale, la presunzione di certezza del ritardo negli accrediti.

 

  1. I motivi da valutarsi congiuntamente, presentano profili d’inammissibilità e d’infondatezza, anche se va, in parte, corretta la motivazione.

 

  1. Premesso che non consta esser mai stata contestata la spettanza degli speciali interessi moratori di cui agli artt. 35 e 36 Cap. Gen. (obbligatori per gli appalti del Ministero dei lavori pubblici e non divenuti automatici, salvo il caso di rinvio recettizio, nei contratti stipulati da altri enti pubblici neppure dopo la L. n. 741 del 1981, art. 4, abrogato dal D.P.R. n. 554 del 1999, art. 231, comma 1, lett. s, applicabile ratione temporis, cfr. Cass. n. 4399 del 2017), sotto il primo profilo, va rilevato che la circostanza secondo cui le somme da accreditare fossero comprese nell’ambito di quelle oggetto del concesso finanziamento risulta esclusa dalla Corte territoriale, che ha al riguardo svolto le considerazioni riassunte in narrativa, talchè l’esame di tale fatto, oggetto della censura motivazionale, risulta non già omesso, ma espressamente valutato, sia pur in senso contrario rispetto alla tesi del ricorrente: la censura si traduce, quindi, in un errore di valutazione degli elementi istruttori acquisiti e del quadro fattuale, che è estraneo al giudizio di legittimità.

 

  1. In riferimento all’asserita mancanza di responsabilità del ricorrente, va osservato che, secondo i principi generali posti dall’art. 1218 c.c., il debitore è responsabile per solo fatto dell’inadempimento, salva la prova dell’impossibilità della prestazione o, almeno, la dimostrazione che la medesima non possa essergli imputata. In particolare, non basta eccepire che la prestazione non possa eseguirsi per fatto del terzo ma occorre dimostrare l’assenza di colpa con l’uso della diligenza spiegata per rimuovere l’ostacolo frapposto da altri all’esatto adempimento. Ed al riguardo, questa Corte (Cass. n. 22580 del 2014 e n.4214 del 2012) ha già affermato il condivisibile principio secondo cui: in tema di responsabilità da ritardo del committente (nella specie: il Comune) nei pagamenti degli acconti e del saldo quale corrispettivo delle opere eseguite nell’ambito di rapporto di appalto pubblico, in favore dell’appaltatore, causato dal ritardo nell’erogazione del finanziamento da parte di altro ente pubblico (nella specie: la Regione) non può essere esclusa la responsabilità del debitore per il ritardato pagamento in quanto i fatti, in apparenza ascrivibili (a monte) al soggetto terzo-finanziatore, restano imputabili al committente-debitore in mancanza di una convenzione ulteriore, con la quale l’ente finanziatore garantisca al committente la tempestiva erogazione del finanziamento.

 

  1. Ovvero, come rilevato nella sentenza impugnata, mediante la stipula di un patto con l’Impresa, con cui si determini il tempo dell’adempimento dell’obbligazione, e, dunque, l’esigibilità del credito in concomitanza con la disponibilità delle somme accreditate alla stazione appaltante-debitrice, patto che questa Corte ha ritenuto legittimo (cfr. Cass. n. 2509 del 2018; n. 22996 del 2014; 3648 del 2009), quale clausola che non implica la rinuncia agli interessi, bensì fissa un diverso dies a quo per il loro decorso.

 

  1. Se dell’esistenza della convenzione con la Regione il ricorso non fa alcun cenno, l’argomento secondo cui la mancata stipula della clausola di determinazione del termine con l’appaltatore sarebbe irrazionale è inconsistente, costituendo, piuttosto, una plausibile cautela, che, per scelte contrattuali, non è stata esercitata. A tale stregua, ogni ulteriore questione, comprese quelle connesse all’osservanza delle prescrizioni della circolare regionale, risultano irrilevanti.

 

  1. Non va provveduto sulle spese, in assenza di costituzione delle parti intimate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2018

Maria Teresa Della Vittoria Scarpati