Profili di problematicità relativi alla modifica della norma sugli affidamenti diretti

Il maxiemendamento con cui è stata definitivamente modificata la Legge di Bilancio 2019 contiene in materia di appalti pubblici una norma che modifica la disciplina degli affidamenti diretti per il solo settore dei lavori pubblici

23 Gennaio 2019
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Il maxiemendamento con cui è stata definitivamente modificata la Legge di Bilancio 2019 contiene in materia di appalti pubblici una norma che modifica la disciplina degli affidamenti diretti per il solo settore dei lavori pubblici

Ancora prima che tale norma fosse approvata il Presidente dell’ANAC Raffaele Cantone, al fine di scongiurarne l’adozione, aveva evidenziato come l’innalzamento della soglia di affidamento diretto dei lavori potenzialmente potesse interessare più della metà delle commesse nei municipi, che pertanto sarebbero state decise senza concorrenza e senza trasparenza, per un valore di circa 7 miliardi all’anno.

Ma vediamo nello specifico cosa dice letteralmente il comma 529 bis del maxiemendamento: “Nelle more di una complessiva revisione del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, fino al 31 dicembre 2019, le stazioni appaltanti, in deroga all’articolo 36, comma 2, del medesimo codice, possono procedere all’affidamento di lavori di importo pari o superiore a 40.000 e inferiore a 150.000 mediante affidamento diretto previa consultazione, ove esistenti, di 3 operatori economici e mediante le procedure di cui al comma 2, lettera b) dell’art 36 del D.Lgs n. 50 del 2016 per i lavori di importo pari o superiore a 150.000 e inferiore a 350.000”.

Si tenga da subito presente che la norma:

  • introduce una facoltà e non un obbligo (“possono”) di utilizzo dello strumento dell’affidamento diretto, consentendo sempre e comunque alle stazioni appaltanti di svolgere procedure ordinarie di gara fin anche sotto i 40.000 euro.
  • ha validità fino al 31 dicembre 2019.

Vediamo ora nel seguente specchietto riepilogativo cosa cambia con questa riforma.

affidamento diretto

Appare evidente l’intento del legislatore, o forse meglio del Governo, di rendere più semplici e veloci gli affidamenti di lavori pubblici fino alla cifra di 350.000 euro rispetto all’assetto precedente, sulla scorta dell’asserita eccessiva lungaggine delle procedure pubbliche a fronte di necessità di intervento immediate.

Una prima considerazione vorrei spenderla sul tema del frazionamento degli appalti o lavori “spezzettati”, prassi utilizzata per frazionare le commesse al fine di rimanere sotto soglia per eludere eventuali obblighi. L’articolo 35 comma 6 del Codice dei Contratti Pubblici a tal riguardo prevede espressamente che la scelta del metodo per il calcolo del valore stimato di un appalto non può essere fatta con l’intenzione di rimanere al di sotto di una soglia prevista dal Codice e parimenti un appalto non può essere frazionato al medesimo scopo.

In merito alla modifica in esame tale precetto assume particolare importanza proprio allo scopo di evitare che gli affidamenti diretti non finiscano per eccedere addirittura i 150.000 euro mediante il meccanismo dello spezzettamento degli stessi. In concreto si dovrà evitare che nell’ambito del medesimo anno solare un appalto del valore complessivo di € 200.000 sia assegnato mediante due distinti affidamenti diretti del valore di € 100.000 ognuno, perché ciò violerebbe la norma ed andrebbe ad estendere pericolosamente l’ambito degli affidamenti diretti.

D’altronde già a tutt’oggi tale meccanismo è stato utilizzato per superare l’attuale limite di € 40.000.

Altro aspetto da considerare in relazione a tale modifica è quello relativo al principio di rotazione, contenuto nell’articolo 36 del Codice dei Contratti Pubblici. Tale principio, che è volto ad evitare la formazione di rendite di posizione a favore di alcuni operatori economici in violazione del principio di concorrenza e a favorire la distribuzione delle opportunità degli operatori economici (specie se micro piccole e medie imprese) di essere affidatari di un contratto pubblico, riguarda oltre che gli inviti anche gli affidamenti.

Appare immediato che ciò comporta l’impossibilità per la stazione appaltante di affidare direttamente un appalto all’impresa uscente, dovendone necessariamente individuare una nuova.

È evidente che a seguito dell’innalzamento della soglia per l’affidamento diretto di lavori dovrà essere maggiore il controllo sul rispetto di tale importante principio, al fine di evitare che siano assegnatari diretti di appalti sempre le solite imprese.

Appare inoltre rilevante mettere la luce il fatto che, sempre con riferimento al settore dei lavori pubblici, ai sensi dell’articolo 95 comma 4 del Codice dei Contratti Pubblici gli appalti di importo pari o inferiore a 2.000.000 di euro possono essere affidati mediante il criterio del minor prezzo, pertanto al massimo ribasso.

Si segnala che le procedure aggiudicate al massimo ribasso sono strutturalmente più snelle da un punto di vista procedurale rispetto a quelle aggiudicate con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Ciò per il fatto che nel primo caso devono essere presentate e conseguentemente valutate solo la documentazione amministrativa e l’offerta economica mentre nel secondo caso deve essere presentata e valutata anche un’offerta tecnica, che richiede la nomina di una commissione tecnica ad hoc e dei tempi incomprimibili per l’attribuzione dei relativi punteggi. Pertanto le gare al massimo ribasso richiedono tempi marcatamente più brevi per l’assegnazione dell’appalto, specie per quelli di importo inferiore a 150.000 euro, stimabili in due/tre mesi dalla pubblicazione dello stesso, salvo eventuali ricorsi alla giustizia amministrativa.

Viene pertanto naturale chiedersi se tale modifica normativa, intervenendo su una fascia di appalti che già erano aggiudicati col criterio del minor prezzo e pertanto con tempi di aggiudicazione relativamente brevi, giustifichi un’ulteriore accelerazione di tempi di assegnazione in deroga ad importanti principi contenuti nel Codice, primo fra tutti quello di libera concorrenza.

Non secondaria è poi la circostanza che l’utilizzo dell’affidamento diretto al posto del criterio del minor prezzo elimina la possibilità di risparmio per l’Amministrazione, rinunciando al ribasso sulla base d’asta contenuto nelle offerte economiche. Ciò comporterà inevitabilmente un “minor risparmio” da parte della Pubblica Amministrazione rispetto agli anni precedenti per tutta la fascia di appalti di lavori pubblici di importo compreso tra 40.000 e 150.000 euro. Difficile stimare a quanto ammonterà tale minor risparmio con conseguente maggior spesa pubblica, ma si consideri che nelle gare relative ai lavori pubblici i ribassi presentanti dai concorrenti sono generalmente sempre superiori almeno al 10% e che si prevede una riduzione delle procedure per un numero stimato in circa 15 mila gare all’anno.

Ma chi deciderà a quale impresa affidare direttamente un appalto e sulla base di quali criteri? Tale incombenza graverà sui dirigenti/funzionari delle Pubbliche Amministrazioni che avranno pertanto nell’ambito di tale fascia di appalti massima discrezionalità.

I rischi di ciò sono evidenti e Cantone ha evidenziato la possibilità che la norma più che aiutare i funzionari morosi (ossia nella necessità di affidare appalti urgenti), consentirà a quelli disonesti di fare il buono e il cattivo tempo. Basti ricordare che tutto il sistema di Mafia Capitale si reggeva sugli affidamenti diretti.

È probabile che i funzionari pubblici si rivolgeranno soprattutto a imprese del territorio, impedendo la mobilità del mercato e determinando un ingessamento territoriale dello stesso.

I più maligni avanzano l’ipotesi che grazie a tale norma le imprese del Sud non disturberanno più gli affari di quelle del Nord e che i Comuni con gli avanzi di cassa da spendere potranno affidare lavori soltanto alle aziende amiche senza perdite di tempo.

In ogni caso ritengo indubitabile che non possano essere trascurati i maggiori rischi legati a:

  • corruzione e concussione in relazione ai dirigenti incaricati dell’affidamento diretto
  • assegnazione di appalti ad imprese “vicine” all’Amministrazione, anche secondo logiche di partito

Lo stesso Cantone ha poi ricordato che sotto i 150.000 euro non sia prevista neanche la certificazione antimafia, richiesta posta al fine di evitare l’erogazione di risorse pubbliche a soggetti esposti ad infiltrazioni di tipo mafioso. Tali affidamenti non saranno poi oggetto di pubblicazione, rendendo meno semplice il monitoraggio e controllo di legalità sugli stessi.

Il Presidente dell’ANAC ha ravvisato pertanto come concreto il rischio che la criminalità organizzata, al Nord come al Sud, tragga profitto da tale modifica normativa.

Viene anche da chiedersi chi siano i soggetti deputati al controllo di legalità sugli affidamenti diretti, se debbano essere interni o esterni alle singole Amministrazioni o se dovrà vigilare su tutti solo l’ANAC, di cui conosciamo la limitatezza di risorse strutturali.

Tutti i rischi sopra individuati restano sul tavolo, pronti per la verifica in merito alla loro fondatezza direttamente sul campo, a seguito dell’applicazione pratica della legge. Nei prossimi mesi capiremo pertanto se tale modifica porterà gli effetti sperati e quali saranno gli eventuali contraccolpi negativi, potendo tirare le somme in una valutazione costi-benefici.

Ciò che mi preme evidenziare a conclusione dell’analisi proposta sono tre considerazioni:

  • l’introduzione di norme che riducono il numero di gare ha come ovvia conseguenza la diminuzione della concorrenza con restringimento del libero mercato, oltre che della trasparenza. Trasparenza e concorrenza che sono due principi cardine delle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, oltre che del D.Lgs. 50/2016 ossia il nostro Codice dei Contratti Pubblici
  • l’arretramento del campo d’azione delle procedure ordinarie di gara, pur con tutto l’aggravio di burocrazia che si portano dietro, aprono il campo all’infiltrazione nel mondo degli appalti pubblici da parte della criminalità, organizzata e non
  • la velocizzazione dell’iter per individuare il contraente può comportare problematiche in sede di esecuzione dell’appalto, sia in termini di qualità del lavoro svolto sia in termini di ritardi nelle consegne, con aggravio di costi e tempi di molto superiori a quelli che sarebbero stati necessari per espletare una procedura ordinaria di gara ab origine.

Giulio Delfino