Arriverà dall’Europa la spinta decisiva per cambiare il Codice?

Fino ad oggi il nostro legislatore non ha ancora individuato neppure il “veicolo” per riscrivere la legislazione sugli appalti, pur dichiarata urgentissima

20 Febbraio 2019
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Fino ad oggi il nostro legislatore non ha ancora individuato neppure il “veicolo” per riscrivere la legislazione sugli appalti, pur dichiarata urgentissima

Commissione Europea, lettera di costituzione in mora – infrazione n. 2018/2273

Nella lettera di costituzione in mora inviata dalla Commissione Europea alle Autorità italiane, Bruxelles ha segnalato (ancora una volta) che alcune disposizioni contenute nel d.lgs. 50 del 2016, come modificato dal d.lgs. n. 56 del 2017, non appaiono conformi alla corrispondente normativa europea recata dalle direttive 2014/23/UE sulle concessioni, 2014/24/UE sugli appalti pubblici e 2014/25/UE sui cc.dd. settori esclusi. Lo Stato italiano avrà solamente due mesi per formulare le proprie osservazioni, prima che la Commissione prosegua la procedura di infrazione mediante l’adozione del parere motivato e l’eventuale proposizione del ricorso dinnanzi alla Corte di Giustizia (art. 258 TFUE).

Le contestazioni di Bruxelles potrebbero assumere una certa rilevanza soprattutto in vista della annunciata stagione di riforme che coinvolgerà il Codice dei Contratti Pubblici, dopo l’occasione mancata del decreto legge “semplificazioni” (d.l. 135 del 2018, convertito con modificazioni dalla l. 12 del 2019) che si è limitato a riscrivere il solo art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. 50 del 2016.[1]

Tale disposizione, nella sua versione originaria, è anche fra le norme interne ritenute incompatibili con il diritto europeo degli appalti pubblici, unitamente al precedente art. 80, comma 4. La maggior parte delle osservazioni hanno, però, ad oggetto la disciplina del subappalto, già esaminata negli stessi termini dalla Commissione nel marzo del 2017[2], e quella relativa all’istituto dell’avvalimento.

1. Violazione delle norme sui motivi di esclusione

Entrando nel dettaglio delle contestazioni più significative, l’art. 80, comma 4 del d.lgs. 50 del 2016 prevede l’esclusione dell’impresa dalla gara pubblica qualora abbia commesso gravi violazioni degli obblighi relativi al pagamento di imposte, tasse o contributi previdenziali secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui si è stabilita. Tali inadempienze, per assumere rilevanza escludente ai fini della norma, devono essere state accertate in via definitiva e quindi “contenute in sentenze o atti amministrativi non soggetti a impugnazione”.

Ad avviso della Commissione, quest’ultima precisazione contrasterebbe con quanto stabilito dalle direttive europee nella parte in cui consentono alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere le imprese concorrenti anche nel caso in cui siano in grado di “dimostrare con qualunque mezzo adeguato che l’operatore economico non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali”, a prescindere dalla sussistenza di accertamenti definitivi in tal senso.

Sotto tale aspetto, la normativa interna finisce per ridurre notevolmente l’autonomia di valutazione delle stazioni appaltanti in ordine al possesso da parte delle imprese dei necessari requisiti di moralità e professionalità, fortemente valorizzata dalle stesse direttive.

Per quanto riguarda, invece, il successivo art. 80, comma 5, lett. c), la parte della norma contestata a livello europeo è quella che attribuiva rilevanza escludente alle inadempienze contrattuali pregresse “non contestate in giudizio ovvero confermate all’esito del giudizio”. L’inciso, non contenuto né nella direttiva sugli appalti pubblici, né in quella sulle concessioni, ha dato luogo a numerosi problemi interpretativi poiché sembrava precludere alla stazione appaltante ogni valutazione circa l’affidabilità degli offerenti in caso di risoluzione contrattuale ancora sub iudice al momento della gara o confermata in sede giurisdizionale.

Proprio per tale ragione, la disposizione è stata di recente modificata con il decreto legge “semplificazioni” che ha eliminato il riferimento all’insussistenza di un contenzioso pendente relativo alla risoluzione, riallineando così la normativa interna alla corrispondente disciplina europea. Almeno sotto tale profilo, il conflitto fra le diverse disposizioni in esame sembra essere stato dunque ricomposto.

2. Violazione delle norme sul subappalto

Con riferimento al subappalto, la prima disposizione del diritto nazionale ad essere contestata dalla Commissione è quella che fissa un limite obbligatorio all’importo del contratto di lavori, servizi e forniture che l’appaltatore può affidare a terzi, corrispondente al 30 % dell’importo complessivo del contratto medesimo (art. 105, commi 2 e 5 del d.lgs. 50 del 2016).

Tale limitazione quantitativa, fissata in maniera del tutto astratta, prescindendo dalle reali capacità dei subappaltatori e dal carattere essenziale o meno delle prestazioni, non risulta compatibile con i principi fondamentali della materia che impongono di facilitare la partecipazione delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici anche attraverso lo strumento del subappalto. Inoltre, anche in questo caso si assiste ad una restrizione dei poteri delle stazioni appaltanti, notevolmente ampliati dalle direttive del 2014 anche in tale ambito mediante il riconoscimento espresso della facoltà di imporre agli operatori economici la sostituzione dei subappaltatori privi dei requisiti richiesti, in presenza di cause di esclusione obbligatorie o facoltative.

Un’altra disposizione ad essere in contrasto con la normativa europea è, poi, quella che prevede l’obbligo di indicazione in sede di offerta della terna dei subappaltatori. E ciò sotto un duplice profilo: non solo perché l’art. 105, comma 6 del d.lgs. 50 del 2016 impone agli offerenti di indicare tre subappaltatori anche qualora ne occorrano meno, ma anche perché tale obbligo opera altresì nel caso in cui le imprese non intendano fare ricorso a nessun subappaltatore.

Infine, nel centro del mirino c’è anche il divieto generale per i subappaltatori di fare a loro volta ricorso ad altri soggetti (art. 105, comma 19 del d.lgs. 50 del 2016), non previsto dalla normativa europea dei contratti pubblici e ritenuto in contrasto con i principi di proporzionalità e parità di trattamento.

3. Violazione delle norme sull’avvalimento

Quanto alla disciplina riguardante l’avvalimento, si pongono in primo luogo problemi di compatibilità fra il divieto di c.d. avvalimento a cascata, contenuto nell’art. 89, comma 6 del d.lgs. 50 del 2016, che impedisce all’impresa ausiliaria di affidarsi a sua volta alle capacità di un altro soggetto e le direttive europee che non contemplano tale limitazione.

In secondo luogo, non è conforme alla normativa europea neppure il successivo art. 89, comma 7 nella parte in cui esclude che l’offerente e l’impresa ausiliaria possano entrambi partecipare alla gara nell’ambito della quale l’operatore economico intende avvalersi delle capacità messe a disposizione dall’ausiliaria stessa, pena la sanzione dell’esclusione. Analoghe considerazioni vengono formulate dalla Commissione anche con riferimento all’art. 105, comma 4 del Codice dei Contratti Pubblici che applica la medesima regola all’ipotesi del subappalto. Tali divieti “incondizionati”, già più volte contestati dalla Corte di Giustizia nella vigenza delle precedenti direttive del 2004, recepite dal d.lgs. 163 del 2006, sarebbero incompatibili con il fondamentale principio di proporzionalità precludendo agli operatori economici di poter dimostrare che il fatto di essere collegati ad altri partecipanti alla gara non abbia influito sul loro comportamento, né sulla capacità di rispettare gli obblighi contrattuali.

In terzo luogo, appare violativo degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione anche l’art. 89, comma 11 che non consente agli operatori economici di avvalersi delle capacità di altri soggetti qualora l’appalto comprenda opere che richiedono lavori di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, impedendo così l’avvalimento in relazione all’intero appalto. A livello europeo, le direttive pongono invece un limite molto più rispetto all’avvalimento prevedendo che le stazioni appaltanti possano escluderlo solo rispetto a taluni compiti essenziali che devono essere svolti direttamente dall’offerente.

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[1] Commentato su questo sito in data 21 dicembre 2018.

[2] Lettera della Commissione Europea n. 1572232 del 23/03/2017. Sulla questione, si veda il commento pubblicato su questo sito in data 9 gennaio 2018. 

irene picardi