Il futuro della disciplina dei contratti pubblici, tra legge delega, nuovo codice, decreto sblocca-cantieri e procedura di infrazione Ue

Editoriale estratto dal numero 4/2019 del mensile Appalti&Contratti

10 Maggio 2019
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Editoriale estratto dal numero 4/2019 del mensile Appalti&Contratti

Nel momento in cui congedo questo numero del mensile, le prospettive a brevissimo termine sull’evoluzione della disciplina dei contratti pubblici paiono ancora piuttosto incerte, tra voci intermittenti e contrastanti sull’imminente (o meno) approvazione del nuovo Codice a seguito dell’approvazione della legge delega, varo di un decreto sblocca-cantieri (con numerose disposizioni di semplificazione per le procedure sotto-soglia) e l’imprescindibile risposta alla Commissione UE sulla procedura di infrazione (della quale abbiamo dato conto nell’editoriale del precedente numero). L’unica certezza è data dall’ennesima, e oramai scontata, conferma che la nostra materia non conoscerà tregua, al punto che è lecito interrogarsi sulla stessa possibilità di una codificazione in senso tradizionale in questo settore, che dovrebbe invece garantire una (almeno relativa) stabilità delle norme per periodi significativi.

Il 28 febbraio scorso è stato approvato dal Consiglio dei Ministri, il disegno di legge recante “Delega al governo per la semplificazione, la razionalizzazione, il riordino, il coordinamento e l’integrazione della normativa in materia di contratti pubblici”. Si delega dunque il Governo al riassetto della materia dei contratti pubblici, non solo nei settori ordinari e speciali ma anche nei settori della difesa e della sicurezza. In particolare, la delega mira a rendere la normativa più semplice e chiara, nonché a limitarne le dimensioni e i rinvii alla normazione secondaria.

Secondo le dichiarazioni governative “la delega promuove la responsabilità delle stazioni appaltanti e mira ad assicurare l’efficienza e la tempestività delle procedure di programmazione, di affidamento, di gestione e di esecuzione degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, al fine di ridurre e rendere certi i tempi di realizzazione delle opere pubbliche, razionalizzando inoltre i metodi di risoluzione delle controversie, anche alternativi ai rimedi giurisdizionali, riducendo, tra l’altro, gli oneri di impugnazione degli atti delle procedure di affidamento”.

Infine, si introducono principi e criteri direttivi volti ad alleggerire gli oneri burocratici e di regolazione, semplificando il carico degli adempimenti gravanti sugli operatori economici.

Il Governo sarà così delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge delega, uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni in materia dei contratti pubblici, nel rispetto delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE, 2014/25/UE del

Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, e 2009/81/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, anche al fine di coordinare le predette disposizioni con la legge 7 agosto 1990, n. 241 e con il codice civile, adottando un nuovo codice dei contratti pubblici in sostituzione del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nonché del decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 208 (Disciplina dei contratti pubblici relativi ai lavori, servizi e forniture nei settori della difesa e sicurezza, in attuazione della direttiva 2009/81/CE), ovvero modificandoli per quanto necessario.

appalti contratti CA2019 primavera

Quindi sono due i possibili scenari delineati nel disegno di legge delega, da concretizzare entro un anno dalla sua entrata in vigore:

  1. nuovo Codice dei contratti pubblici (e nuovo Codice dei contratti per la difesa e la sicurezza);
  2. modifica (sostanziale) dei vigenti d.lgs. n. 50/2016 e d.lgs. 208/2011 (scenario questo meno percorribile e forse decisamente meno opportuno).

Il d.d.l. prevede inoltre la possibilità per il Governo di adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore del nuovo Codice, uno o più decreti correttivi. Entro due anni dall’entrata in vigore della legge delega saranno poi approvati i provvedimenti attuativi, e, in particolare – con un ritorno al passato e un addio alla soft-law dell’ANAC – un unico regolamento per dettare la disciplina esecutiva ed attuativa per il RUP, la progettazione, il sistema di qualificazione nei lavori pubblici, la fase di esecuzione, le procedure sotto-soglia, la tutela dei lavoratori e regolarità contributiva, la disciplina speciale per i servizi di architettura e ingegneria e per i lavori riguardanti i beni culturali.

Tra i principali criteri direttivi (alcuni dei quali peraltro riecheggiano quelli della precedente delega di cui alla l. 11/2016), si segnalano, la “semplificazione e riordino complessivo del quadro normativo, restituendo alle disposizioni “semplicità e chiarezza di linguaggio, nonché ragionevoli proporzioni dimensionali quanto al numero degli articoli, dei commi e delle parole”, privilegiando, ove possibile, una disciplina per principi”; dunque un Codice più essenziale con meno disposizioni e più orientato alla definizione dei principi regolatori in aderenza al divieto di gold-plating, non sempre rispettato nel d.lgs. 50/2016. La prospettiva delineata dalla legge delega è quindi quella di un sostanziale ritorno al passato con il modello già collaudato del “Codice e unico maxi Regolamento attuativo”: per dirla con il Presidente De Nictolis, meglio la “dura lex sed lex” che la “soft law but law”.

Un criterio della legge delega che potrebbe aprire lo spiraglio per la diffusione delle c.d. procedure “innovative” per gli appalti di maggiore complessità e rilevanza, è quello della “Promozione della discrezionalità e della responsabilità delle stazioni appaltanti, anche nell’ottica di assicurare maggiore flessibilità nell’utilizzo delle procedure di scelta del contraente, fornendo alle medesime stazioni appaltanti misure e strumenti di supporto attraverso il potenziamento dell’attività di vigilanza collaborativa e consultiva delle competenti autorità amministrative indipendenti nonché delle altre amministrazioni pubbliche; ciò che parrebbe preludere ad un maggiore favor ordinamentale per quelle procedure rimaste sostanzialmente inapplicate come il dialogo competitivo e la procedura competitiva con negoziazione (rispetto alle quali l’ANAC – a dire il vero – non ha dettato linee guide o indicazioni per favorirne l’utilizzo).

Una particolare attenzione per la centralizzazione e aggregazione degli appalti pubblici emerge dai criteri relativi, rispettivamente al: “Riordino e riorganizzazione dell’attuale disciplina concernente le centrali di committenza e i soggetti aggregatori, con riferimento agli obblighi e alle facoltà inerenti al ricorso agli strumenti di acquisto e negoziazione messi a disposizione dagli stessi e provvedere all’introduzione di strumenti di controllo sul rispetto della disciplina in materia di razionalizzazione della spesa per gli acquisti delle pubbliche amministrazioni” e alla “Promozione dello sviluppo di forme di acquisto di beni, servizi e lavori gestite attraverso i sistemi informatici di negoziazione, anche in modalità ASP (Application Service Provider) messi a disposizione da Consip Spa e dai soggetti aggregatori”. In effetti, la disciplina della spending-review, integrata con quella del Codice, ha assunto una tale complessità, stratificazione, insieme ad una spiccata configurazione a “geometria variabile” da meritare una sua specifica “codificazione”, al fine di orientare gli operatori alla corretta individuazione e applicazione della procedura di approvvigionamento.

Una maggiore sensibilità pare emergere anche relativamente all’assai dibattuta questione dei controlli sui requisiti e delle relative tempistiche, considerato che la promessa “Banca dati nazionale degli operatori economici” non è mai decollata dopo ben tre anni dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016. La legge delega intende promuovere in tal senso una maggiore “semplificazione dei controlli (ad eccezione di quelli fiscali), sulle imprese e i professionisti, prevedendo che:

  1. le attività di controllo siano svolte in modo da recare il minore intralcio possibile al normale esercizio delle attività, tenendo conto dell’esito delle verifiche e delle ispezioni già effettuate;
  2. sia esclusa la possibilità di reiterare controlli finalizzati alla verifica del rispetto di obblighi identici o di carattere equivalente, individuando modalità di coordinamento obbligatorio tra le diverse amministrazioni competenti per materia;
  3. le modalità di controllo e i connessi adempimenti amministrativi siano differenziati in base alla tipologia di attività svolta, alle sue caratteristiche, nonché alle esigenze di tutela degli interessi pubblici;
  4. sia assicurata la collaborazione con i soggetti controllati al fine di prevenire rischi e situazioni di irregolarità”.

Correlativamente, nella cornice di una maggiore semplificazione per gli operatori economici, si prevede che “nel rispetto della disciplina in materia di protezione dei dati personali, che ogni dato o informazione necessaria alla pubblica amministrazione sia fornita una sola volta da parte di cittadini e imprese e che, in seguito, il dato possa essere richiesto da ciascuna amministrazione soltanto a quella che lo abbia già acquisito, anche attraverso una gestione uniforme delle banche dati pubbliche secondo criteri che ne assicurino la sicurezza, l’interoperabilità e l’accessibilità al fine di renderle funzionali alle esigenze dell’utenza e delle pubbliche amministrazioni”.

Su questo punto, e riscontrate le (giustificate) doglianze delle stazioni appaltanti in ordine alla complessità e farraginosità delle verifiche sui requisiti generali e speciali, ci si potrebbe auspicare una maggiore latitudine del principio della “verifica a campione”, in particolare per le procedure sul mercato elettronico di importo modesto, demandando a Consip o alla centrale regionale la verifica sui requisiti generali, e sollevando da ulteriori adempimenti le stazioni appaltanti (fatte salve le verifiche sulla regolarità fiscale e contributiva in fase di esecuzione).

L’ANCI ha proposto, su tale specifica questione, l’inserimento nel vigente Codice di una disposizione del seguente tenore: “in caso di affidamento diretto e per importi fino a 40.000 euro, la stazione appaltante ha facoltà di procedere alla stipula del contratto sulla base di un’apposita autodichiarazione resa dall’operatore economico ai sensi e per gli effetti del d.P.R. 445/2000, secondo il modello del documento di gara unico europeo.  In tal caso la stazione appaltante può procedere comunque prima della stipula del contratto alla verifica della sussistenza dei requisiti di cui all’art. 80 del presente codice. In ogni caso il contratto, stipulato in maniera semplificata ai sensi e per gli effetti dell’art. 32 comma 14 secondo periodo,  deve contenere espresse e specifiche clausole che prevedano, in caso di successivo accertamento del difetto del possesso dei requisiti prescritti: la risoluzione dello stesso ed il pagamento del corrispettivo pattuito  solo con riferimento alle prestazioni già eseguite e nei limiti dell’utilità ricevuta; l’incameramento della cauzione definitiva, ove richiesta o, in alternativa, l’applicazione di una penale in misura non inferiore al 10 per centro del valore del contratto”. Si è in tal modo proposto un condivisibile innalzamento della soglia dai 5.000 a infra 40.000 euro delle indicazioni contenute nelle linee guida ANAC n. 4.

Ancora, nella prospettiva di una maggiore accessibilità degli operatori economici alle procedure di aggiudicazione, si prevede l’”obbligo per le pubbliche amministrazioni di rendere facilmente conoscibili e accessibili le informazioni, i dati da fornire e la relativa modulistica, anche adeguando, aggiornando e semplificando il linguaggio, nonché adottando moduli unificati e standardizzati che definiscono esaustivamente, per tipologia di procedimento, i contenuti tipici e la relativa organizzazione dei dati; assicurare, per tipologie omogenee di procedimento, l’uniformità delle modalità di presentazione delle comunicazioni, delle dichiarazioni e delle istanze degli interessati, nonché le modalità di svolgimento della procedura”. Sotto tale profilo, si conferma l’importanza del ruolo dell’ANAC nella predisposizione, oltre che dei “bandi-tipo”, dei modelli, dei capitolati e degli schemi di contratto tipo.

Sull’opportunità di un nuovo Codice a distanza di meno di tre anni dall’approvazione del d.lgs. 50/2016 – rimasto ancora sostanzialmente inattuato – si sono espresse giustificate perplessità. Ci si è chiesti, in particolare, se – nella necessaria ottica del rapporto fra costi e benefìci (di recente tornata in auge proprio nella materia delle infrastrutture) – sia più conveniente per gli operatori e il mercato lasciare in vigore un testo (probabilmente imperfetto, ma) ormai sostanzialmente metabolizzato e per il quale i costi di avviamento sono stati ormai di fatto ammortizzati dal sistema, ovvero se sia preferibile azzerare tale disciplina (in ragione delle sue innegabili criticità) e procedere alla sua integrale riscrittura (Contessa). Non solo: considerati i tempi per l’esercizio della delega legislativa, un ipotetico nuovo testo non potrebbe vedere la luce prima dell’estate (o dell’autunno) del 2020, mentre il nuovo maxi regolamento attuativo sarebbe verosimilmente approvato non prima di due anni. In altri termini, il settore degli appalti e delle concessioni riuscirebbe a trovare un suo assetto (pressoché) stabile non prima della seconda metà del 2022. Tuttavia, in quel momento saranno stati ormai avviati i negoziati per l’adozione del prossimo ‘pacchetto’ normativo UE (la cui adozione si collocherà prevedibilmente fra il 2022 e il 2024).

Ulteriore rischio è il nuovo stallo del settore che potrebbe determinarsi nel periodo (triennale) che occorrerà per riscrivere e ridare completezza al quadro normativo primario e subprimario in tema di appalti. E da questo angolo di visuale, non si possono che condividere le lucide considerazioni del Consigliere Claudio Contessa: ciò di cui il settore degli appalti e delle concessioni ha più urgente bisogno non è l’ennesima riforma epocale, quanto – piuttosto – una fase di sostanziale tregua normativa che consenta di raggiungere – sia pure attraverso un sistema non perfetto – un ragionevole livello di certezza e stabilità dei rapporti giuridici per un periodo di tempo adeguato.

Nel momento in cui si congeda il fascicolo, il Governo ha approvato “salvo intese” il decreto “sblocca-cantieri”, il cui contenuto non è però ancora noto, in quanto su diverse questioni non si è raggiunta la convergenza tra le forze politiche dell’esecutivo. La bozza del testo entrato al Consigli dei Ministri prevede, peraltro, numerose e importanti novità: dal ritorno del regolamento unificato (con addio alla “soft-law” dell’ANAC), all’introduzione a regime delle deroghe introdotte dalla legge di bilancio 2019, dalla semplificazione nella verifica dei requisiti (mediante la c.d. “inversione procedimentale”), alla nuova configurazione dei criteri di aggiudicazione (ritorno del prezzo più basso come criterio ordinario), dalla disciplina della commissione giudicatrice (con l’incertezza sulla sopravvivenza dell’Albo nazionale dei commissari), ai nuovi criteri di calcolo delle offerte anomale, dalla semplificazione della progettazione per le manutenzioni ordinarie, alle nuove norme per l’appalto integrato e per i requisiti dei progettisti, dalle modifiche ai requisiti generali (irregolarità fiscali e contributive desumibili aliunde ai fini dell’esclusione) ai requisiti dei consorzi stabili, dalla soppressione del rito super-speciale nel codice del processo amministrativo, alle numerose e impattanti novità in materia di subappalto, ecc.

Tanti i temi, gli interessi e i valori all’attenzione del Governo, chiamato ad una non agevole sintesi. Nei prossimi numeri daremo certamente conto, con focus di approfondimento, delle novità che saranno emanate dall’imminente decreto “sblocca-cantieri”.

Alessandro Massari