I protocolli di legalità nel d.l. 76/2020 (cd. decreto «semplificazioni»): che fine ha fatto il principio di tassatività delle ipotesi di esclusione?

Autori: Dario Capotorto e Irene Picardi

30 Luglio 2020
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Autori: Dario Capotorto e Irene Picardi

1. Premessa

Nell’ambito delle modifiche apportate dal nuovo decreto «semplificazioni» (d.l. 16 luglio 2020, n. 76, recante «Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale», in vigore dal 17 luglio 2020) alla normativa antimafia, assume una certa rilevanza il riconoscimento, all’interno del d.lgs. n. 159 del 2011, dell’istituto dei protocolli di legalità, fino ad oggi disciplinato, sotto il solo profilo degli effetti derivanti dalla mancata accettazione o violazione delle prescrizioni ivi contenute, dall’art. 1, comma 17 della legge «anticorruzione» (l. 6 novembre 2012, n. 190, recante «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione») e prima ancora regolati, con esclusivo riferimento alla materia delle c.d. grandi opere, dall’art. 176, comma 3, lett. e) del vecchio codice dei contratti pubblici.

La scelta di dare compiuta disciplina all’istituto dei protocolli di legalità, definendone anche il contenuto e l’ambito di relativa applicazione, si inserisce nel più ampio programma di «accelerazione degli investimenti e delle infrastrutture attraverso la semplificazione delle procedure in materia di contratti pubblici e di edilizia, operando senza pregiudizio per i presidi di legalità» (cfr. premesse al d.l. 76 del 2020) avuto di mira dal decreto «semplificazioni», da attuarsi mediante l’adozione di «mirate cautele volte a sventare il rischio di possibili infiltrazioni e condizionamenti della criminalità organizzata nel circuito dell’economia legale» (cfr. Relazione illustrativa). In tale contesto, i protocolli di legalità perseguono dunque «l’intento di approntare efficaci misure di contrasto agli illeciti “appetiti“ delle organizzazioni criminali, in considerazione anche del loro tradizionale interesse alle occasioni di profitto legate alle fasi emergenziali e postemergenziali» (cfr. Relazione illustrativa).

Tuttavia, come spesso accade in tale materia, l’obiettivo di intensificare l’effettività della tutela della legalità nel settore degli appalti pubblici, mettendolo al riparo dal pericolo di penetrazioni mafiose, fa si che venga dato ingresso nell’ordinamento a meccanismi espulsivo-sanzionatori non facilmente armonizzabili con le regole e i principi, anche di matrice europea, che dovrebbero governare le procedure di affidamento delle commesse pubbliche. Con particolare riguardo all’istituto dei protocolli di legalità, la circostanza che gli stessi possano di fatto attribuire rilevanza – per l’indeterminatezza delle norme che li disciplinano – anche a mere irregolarità o a comportamenti il cui contrasto con l’ordinamento non sia stato ancora accertato in modo definitivo, pone evidenti problemi di coordinamento con il principio di tassatività delle cause di esclusione, in quanto finisce per far refluire nelle procedure ad evidenza pubblica un numero indefinito di fattispecie escludenti non specificamente sanzionate da alcuna norma di legge.

2. Il contenuto del decreto «semplificazioni»: i rapporti fra privati

Entrando nel dettaglio della novella, l’art. 3, comma 7 del d.l. n. 76 del 2020 prevede l’introduzione nel d.lgs. n. 159 del 2011 di un’apposita norma – l’art. 83-bis, collocata dopo quella sulla documentazione antimafia – in base alla quale il Ministero dell’interno può sottoscrivere protocolli (o altre intese comunque denominate) per la prevenzione  e  il  contrasto  dei  fenomeni  di  criminalità organizzata, anche allo scopo di estendere convenzionalmente il ricorso alla documentazione antimafia. La prima novità rispetto al passato è costituita dalla possibilità che tali protocolli siano sottoscritti anche con imprese di rilevanza strategica per l’economia nazionale, nonché con le associazioni maggiormente  rappresentative  a  livello nazionale di categorie produttive, economiche  o  imprenditoriali, inserita al fine di estendere le misure di prevenzione amministrativa antimafia anche ad ipotesi eccedenti – dal punto di vista soggettivo – quelle oggi prese in considerazione dalla legge. Si precisa, poi, che i protocolli possono prevedere l’applicabilità delle previsioni contenute nel decreto anche nei rapporti tra contraenti, pubblici o privati, e terzi, nonché tra aderenti alle associazioni contraenti e terzi.

In questa parte, il nuovo art. 83-bis dà (parzialmente) seguito alle statuizioni contenute nella sentenza della terza sezione del Consiglio di Stato 20 gennaio 2020, n. 452, con la quale i giudici amministrativi di secondo grado hanno riaffermato l’impossibilità di adottare provvedimenti antimafia interdittivi nell’ambito di rapporti tra privati – come erano quelli oggetto della controversia all’esame del Consiglio di Stato – non più presi in considerazione dal d.lgs. n. 159 del 2011 per effetto della modifica del primo comma dell’art. 87 del codice antimafia ad opera dell’art. 4, d.lgs. n. 218 del 2012. Preso atto di ciò, il Collegio ha ad ogni modo sollevato un interrogativo: «se per rafforzare il disegno del Legislatore, con una sapiente disciplina antimafia che sta portando in modo tangibile i suoi risultati, non possano, le Istituzioni a ciò preposte, valutare il ritorno alla originaria formulazione del Codice Antimafia, nel senso che l’informazione antimafia possa essere richiesta anche da un soggetto privato ed anche per rapporti esclusivamente tra privati».

Pertanto, sotto tale aspetto, le innovazioni previste dal decreto «semplificazioni» rispondono alle «esigenze sistematiche sorte a seguito delle statuizioni contenute nella sentenza del Consiglio di Stato n. 452/2020 senza, tuttavia, accogliere l’ipotesi di reintrodurre la documentazione antimafia in tutti i rapporti tra privati, ma individuando nei protocolli di legalità lo strumento per interventi più snelli e mirati in tale ambito»; anzi «in tal senso, i protocolli, nel rispondere ad un’esigenza da più parti sentita, operano una significativa semplificazione rispetto all’articolo 87, comma 1, del Codice antimafia nella formulazione previgente al decreto legislativo 15 novembre 2012, n. 218, pur intervenendo nell’ambito della medesima tipologia di rapporti» (cfr. Relazione illustrativa).

In realtà, i giudici amministrativi di secondo grado avevano osservato che l’assenza di indicazioni nel d.lgs. n. 159 del 2011 relative ai rapporti fra privati non potesse essere colmata tramite il contenuto dei protocolli di legalità, in quanto sarebbero state necessarie apposite disposizioni di legge per permettere l’applicabilità generalizzata della documentazione antimafia, a tutela della sicurezza pubblica e dell’economica legale. Invece, il decreto «semplificazioni», piuttosto che riconoscere in via generale, a livello di normazione primaria, che l’informazione antimafia possa essere richiesta anche da un soggetto privato ed anche per rapporti che non coinvolgono le pubbliche amministrazioni, ha previsto l’introduzione di misure depotenziate rispetto ai fini perseguiti, destinate a trovare applicazione nel mercato sempre per il tramite dei protocolli di legalità.

Sotto il profilo oggettivo, si prevede invece che i protocolli di legalità possano determinare le soglie di valore al di sopra delle quali è prevista l’attivazione degli obblighi contenuti nei medesimi protocolli.

3. White list e anagrafe antimafia

Trovano, poi, sistemazione all’interno del codice antimafia (all’art. 83-bis, comma 2) anche gli istituti della white list (cioè, l’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori di cui all’art. 1, comma 52 e ss. della l. n. 190 del 2012) e quello dell’anagrafe antimafia degli esecutori (istituita dall’art. 30 del d.l. 17 ottobre 2016, n. 189, convertito, con modificazioni, dalla  l.  15  dicembre  2016,  n.  229), rispetto ai quali la disciplina sostanziale rimane, però, invariata: al pari di quanto avveniva in passato, l’iscrizione nei due elenchi equivale al rilascio in favore dell’impresa dell’informazione antimafia liberatoria.

4. Il regime giuridico dei protocolli di legalità

Infine, al terzo e ultimo comma dell’art. 83-bis, è definito il regime giuridico dei protocolli di legalità: al riguardo, si stabilisce che «le stazioni appaltanti prevedono negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto dei protocolli di legalità costituisce causa di esclusione dalla gara o di risoluzione del contratto». Tale previsione, da un lato, si pone in continuità con la disciplina previgente contenuta nel sopra citato art. 1, comma 17, l. n. 190 del 2012, sollevando le medesime questioni interpretative che già erano sorte con riferimento alla legge «anticorruzione»; dall’altro, vi si differenzia (in maniera, in realtà, sostanziale) per il grado di vincolatività e obbligatorietà degli impegni assunti con gli accordi in esame e degli effetti derivanti dalla loro relativa violazione in corso di gara o nella fase di esecuzione del contratto.

Infatti, mentre la vecchia norma sui protocolli di legalità sanciva la regola secondo la quale le «stazioni appaltanti possono prevedere negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto delle clausole contenute nei protocolli di legalità o nei patti di integrità costituisce causa di esclusione dalla gara», con ciò lasciando un margine di discrezionalità alle stazioni appaltanti nel richiamare o meno nel bando o nel disciplinare il sistema di condizioni e requisiti delineato pattiziamente, l’art. 83-bis utilizza invece l’espressione «prevedono», con cui, da un lato, si impone un vero e proprio obbligo di inclusione nella lex specialis di gara delle clausole contenute nei protocolli. Dall’altro, sembra ricollegarsi alla mancata accettazione di queste ultime in sede di offerta o alla loro violazione un automatico effetto espulsivo dalla procedura di gara ovvero l’automatica risoluzione del vincolo negoziale.

Tuttavia, tale maggior rigore nella definizione del regime giuridico, non è stato accompagnato dalla puntuale individuazione, a livello di legislazione primaria, delle fattispecie che, ove ricomprese nei protocolli di legalità, possano impedire alle imprese di contrattare con la pubblica amministrazione. Pertanto, quest’ultima nella definizione della legge di gara potrà decidere di attribuire rilevanza escludente – pur in assenza di un chiaro fondamento normativo – a molteplici condotte, non predeterminabili a priori, quali ad esempio fatti penali non ancora accertati in modo definitivo nelle sedi competenti, ma anche la violazione di meri obblighi di comportamento ovvero l’inosservanza di condotte eticamente responsabili o conformi a certi standard.

Oltre alle possibili ricadute che le norme in esame possono avere sulla stabilità del sistema degli appalti pubblici, esse fanno emergere altresì evidenti problemi di compatibilità della disciplina sui protocolli di legalità con il principio di tassatività delle cause di esclusione, quale corollario del principio di legalità, oggi espressamente codificato dall’art. 83, comma 6 del d.lgs. n. 50 del 2016; dubbi che, in termini pressochè analoghi, si erano già posti con riferimento all’art. 1, comma 17 della l. n. 190 del 2012 e che erano stati anche all’origine di un’ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia (Cons. giust. amm. Sicilia, ord. 12 settembre 2014, n. 534).

Senza entrare nel dettaglio della decisione dei giudici europei – che si era, ad ogni modo, incentrata sulla legittimità dell’ipotesi di esclusione dalla gara per mancata accettazione delle clausole contenute nei protocolli di legalità – in quell’occasione la Corte aveva precisato che, seppur astrattamente compatibili con il diritto dell’Unione, gli impegni assunti nei protocolli di legalità devono comunque rispettare il principio di proporzionalità, e non possono quindi eccedere quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito di contrasto del fenomeno delle infiltrazioni criminali e delle distorsioni della concorrenza nel settore degli appalti pubblici (sentenza 22 ottobre 2015, causa C-425/14).

Orbene, la formulazione del nuovo art. 83-bis, elude il principio di tassatività delle cause di esclusione atteso che i protocolli di legalità non possono essere equiparati alle “disposizioni di legge vigenti”, se non vanificando la riserva contenuta nell’art. 83 comma 8 del d.lgs. n. 50/2018, a norma del quale “i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti”.

Di fatto si è introdotta una delega in bianco che consente di introdurre ipotesi di esclusione inedite, prive di copertura in corrispondenti norme primarie

L’antinomia è aggravata dal mancato riconoscimento di qualsivoglia margine valutativo alle stazioni appaltanti in caso di violazione dei protocolli di legalità: la nuova norma infatti sembra imporre l’estromissione dalle gare e l’effetto risolutivo a prescindere dalla gravità della condotta, dall’adozione di misure di self cleaning e dallo stato di esecuzione delle commesse; ciò in stridente contrasto con i principi dettati dalla normativa europea.