I contratti continuativi di cooperazione alla luce della recente giurisprudenza

Tra le forme di collaborazione che rientrano nel ciclo produttivo di un appalto pubblico, e in particolare tra le fattispecie di subcontratti diversi dal subappalto in senso stretto ex art. 105 del Codice dei contratti pubblici, assumono indubbio rilievo i contratti continuativi di cooperazione di cui all’art. 105, comma 3, lettera c-bis), del Codice predetto, da tempo oggetto di un’attenta e continua opera di interpretazione e applicazione da parte della giurisprudenza, a tutt’oggi impegnata a enucleare i tratti essenziali e i profili operativi che caratterizzano in concreto tali peculiari subaffidamenti

21 Giugno 2021
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Tra le forme di collaborazione che rientrano nel ciclo produttivo di un appalto pubblico, e in particolare tra le fattispecie di subcontratti diversi dal subappalto in senso stretto ex art. 105 del Codice dei contratti pubblici, assumono indubbio rilievo i contratti continuativi di cooperazione di cui all’art. 105, comma 3, lettera c-bis), del Codice predetto, da tempo oggetto di un’attenta e continua opera di interpretazione e applicazione da parte della giurisprudenza, a tutt’oggi impegnata a enucleare i tratti essenziali e i profili operativi che caratterizzano in concreto tali peculiari subaffidamenti

1. Cenni sulla disciplina generale dei subaffidamenti di contratti pubblici

Nel quadro delle norme che disciplinano gli affidamenti pubblici di lavori, servizi e forniture, è principio generale e inderogabile il divieto di cessione del contratto, presidiato dalla nullità dello stesso, ai sensi dell’art. 105, comma 1, del vigente Codice dei contratti pubblici di cui d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e s.m.i., in conformità al principio di immodificabilità dell’affidatario selezionato in esito a una procedura di affidamento mirata a soddisfare interessi pubblici.

La medesima disciplina, in ogni caso, consente all’operatore economico di subaffidare parte delle prestazioni dedotte in contratto mediante ricorso al subappalto[1], che soggiace come noto a una serie di peculiari oneri, vincoli e limiti di legge, stabiliti dal citato art. 105 del Codice quali presupposti essenziale per l’attuazione di tale istituto[2]. Tra questi:

  • in fase di gara, l’espressa dichiarazione, da parte dell’operatore economico concorrente, relativa all’intendimento di subappaltare e alla indicazione delle parti di prestazioni oggetto di subappalto (art. 105, comma 4, lettera c), del Codice);
  • in fase di esecuzione, il rilascio di una autorizzazione preventiva da parte della stazione appaltante, in esito alla verifica positiva della sussistenza di una serie di specifici requisiti e condizioni di legge in capo al subappaltatore (art. 105, commi 4 e 18, del Codice).

La predetta autorizzazione costituisce evidentemente uno dei cardini della regolamentazione del subappalto, tenuto conto in primis della nota esposizione di questo istituto, nel peculiare contesto storico, sociale ed economico del nostro Paese, al rischio di infiltrazioni criminali e in tal senso risulta garantita, sotto più profili, dalle disposizioni di legge vigenti in materia.

In proposito, giova rammentare infatti che il ricorso al subappalto non autorizzato:

  • ai sensi dell’art. 21, comma 1, della legge 13 settembre 1982 n. 646 e s.m.i.[3], è sanzionato penalmente[4];
  • ai sensi dell’art. 1418 c.c., il contratto di subappalto non autorizzato è nullo per contrarietà a norme imperative (cfr. il suddetto art. 21 della legge n. 646/1982);
  • si concreta in un inadempimento agli obblighi di contratto di particolare gravità che può legittimare la risoluzione del contratto di appalto da parte della stazione appaltante e, quindi, il diritto di quest’ultima al risarcimento dei danni causati dall’inadempimento dell’appaltatore, ivi incluso l’eventuale maggior costo sostenuto per l’affidamento del completamento della commessa ad altro operatore economico;
  • costituisce infine una circostanza rilevante e pertinente da dichiarare nel caso di partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici, rappresentando un potenziale grave illecito professionale da verificarsi e valutarsi ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) e/o c ter), del d.lgs. n. 50/2016 e s.m.i.[5].

 

2. I subaffidamenti di contratti pubblici diversi dal subappalto

Fermo quanto sopra richiamato in ordine alle norme sul subappalto, le citate disposizioni di legge prevedono altresì ulteriori tipologie di subcontratti relativi a un appalto pubblico, dei quali:

  • alcuni risultano assimilabili al subappalto stricto sensu e perciò assoggettati alla medesima disciplina foriera dei vincoli e limiti di cui sopra, come il cottimo (art. 3, comma 1, lett. ggggg-undecies), del Codice)[6] oppure i contratti c.d. “similari” (art. 105, comma 2, del Codice stesso)[7];
  • altri, invece, non sono nemmeno assimilabili al subappalto e dunque sottratti alle ricordate, relative regole imperative e non derogabili, di talché sono da disciplinarsi diversamente alla stregua di meri “subaffidamenti” (cfr. art. 105, comma 3, del Codice).

 

3. I contratti continuativi di cooperazione relativi a servizi e/o forniture: definizione, elementi e caratteri fondamentali, profili operativi

Tra le fattispecie di subcontratti diversi dal subappalto sopra ricordate vanno annoverati i contratti continuativi di cooperazione relativi a servizi e/o forniture, quali previsti dall’art. 105, comma 3, lett. c-bis), del Codice, a seguito delle modifiche apportate al menzionato art. 105, comma 3, dall’art. 69, comma 1, lett. c), del d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 (c.d. “Correttivo” al Codice dei contratti pubblici).

Segnatamente, l’art. 105, comma 3, lett. c-bis), predetto stabilisce che “Le seguenti categorie di forniture o servizi, per le loro specificità, non si configurano come attività affidate in subappalto: (…) c-bis) le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell’appalto. I relativi contratti sono depositati alla stazione appaltante prima o contestualmente alla sottoscrizione del contratto di appalto”.

In proposito, è d’uopo premettere che la stringatezza e indeterminatezza della norma in esame – soprattutto quanto ai suoi risvolti attuativi e operativi che necessitano, in virtù delle  stesse connotazioni di tale tipologia di contratti, una verifica in concreto e dunque caso per caso – ha comportato, sin dal principio, non poche difficoltà nell’identificazione della portata applicativa dell’istituto, rendendo necessaria un’attenta opera di perimetrazione di questa peculiare fattispecie da parte della giurisprudenza amministrativa, anche al fine di contrastarne un ricorso strumentale all’elusione dei vincoli e limiti (qualitativi e quantitativi) del subappalto.

Orbene, nella consapevolezza del pregnante valore strategico e operativo che un siffatto subcontratto può assumere nell’organizzazione delle attività di una impresa e, quindi, nelle dinamiche procedimentali e contrattuali inerenti agli appalti pubblici, l’intervento del Giudice Amministrativo ha così consentito di enucleare e meglio definire un patrimonio strutturale e applicativo proprio dei contratti continuativi de quibus, come detto da verificarsi in concreto nelle singole, specifiche circostanze, alla stregua di un indirizzo consolidato e confermato anche di recente.

Tanto chiarito, possono passarsi in rassegna, qui di seguito, i principali elementi e profili che caratterizzano i contratti continuativi e di cooperazione in argomento, quali individuati e scrutinati dai più recenti arresti giurisprudenziali formatisi in materia.

A) Definizione

La giurisprudenza ha anzitutto chiarito, in termini di definizione dei contratti in argomento, come “(…) con i “contratti di cooperazione servizio e/o fornitura” la legge faccia riferimento ai contratti che il concorrente stipula con terzi allo scopo di procurarsi quanto necessario alla propria attività d’impresa ovvero, nello specifico, quei beni e servizi indispensabili all’esecuzione della prestazione in affidamento.

I terzi contraenti, quindi, non eseguono una parte della prestazione oggetto dell’appalto ma procurano all’operatore economico aggiudicatario i mezzi per la sua esecuzione.

A detti contratti, dunque, l’amministrazione aggiudicatrice resta completamente estranea come res inter alios acta” (così Consiglio di Stato, Sez. V, 19 maggio 2020, n. 3169; in termini v. anche Tribunale Regionale della Giustizia Amministrativa di Trento, 29 settembre 2020, n. 166).

Siffatta disamina del Giudice Amministrativo muove anzitutto dal portato letterale dell’art. 105, comma 3, lettera c-bis), del Codice, nella misura in cui è stato precisato che “Portano a questa conclusione in primo luogo la formulazione letterale della disposizione che specifica che le prestazioni dei terzi contraenti sono rese “in favore dei soggetti affidatari”, così individuando chiaramente i destinatari (id est creditori) delle prestazioni nelle imprese concorrenti e non nelle stazioni appaltanti (cfr. Cons. Stato, V, 27 dicembre 2018, n. 7256; contra Cons. Stato, III, 18 luglio 2019, n. 5068 secondo cui con la formula riportata si allude alla “direzione giuridica della prestazione, ovvero al fatto che l’unica relazione giuridicamente rilevante … è quella esistente tra stazione appaltante e soggetto affidatario”).

Rileva, poi, anche la topografia della disposizione per coglierne la ratio.

L’art. 105 del Codice dei contratti pubblici contiene la disciplina del subappalto; il comma 3, nello specifico, elenca le prestazioni che “non si configurano come attività affidate in subappalto”, ma che, per le modalità di esecuzione, potrebbero far sorgere dubbi circa il loro esatto inquadramento normativo.

L’elencazione delimita, dunque, l’ambito di applicazione della disciplina del subappalto. Se il subappalto è il contratto con cui l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di una parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto (comma 2), i contratti di cooperazione continuativa, di converso, non hanno ad oggetto la prestazione affidata ma quei beni e servizi dei quali l’impresa aggiudicataria necessita per poter, essa sola, eseguire la prestazione oggetto del contratto d’appalto.

In definitiva, come rilevato in precedente pronuncia, i contratti di cui all’art. 105, comma 3, lett. c–bis) D.Lgs. n. 50 del 2016 si caratterizzano per la “direzione soggettiva”, in quanto resi all’impresa aggiudicataria, e per l’“oggetto del contratto” che è altro rispetto alla prestazione in affidamento con il contratto d’appalto (Cons. Stato, V, 24 gennaio 2020, n. 607)”  (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 19 maggio 2020, n. 3169, cit.; Tribunale Regionale della Giustizia Amministrativa di Trento, 29 settembre 2020, n. 166, cit.). 

B) Presupposti e caratteristiche fondamentali

Le pronunce qui in rilievo hanno individuato quali fondamentali presupposti ed elementi distintivi dei contratti continuativi di cooperazione, anche di recente, “(…) la continuità (intesa come stabile e generale cooperazione) ed anteriorità (rispetto all’indizione della procedura di appalto) del rapporto contrattuale tra la concorrente e l’impresa terza, sì da consentire l’esonero di tali prestazioni (complementari rispetto al servizio da affidarsi, aventi ad oggetto il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti) all’assoggettamento ai limiti del subappalto”. Tali profili rispondono dunque agli specifici ed essenziali “(…) requisiti della generalità, stabilità, continuatività ed anteriorità (…)” (Consiglio di Stato, Sez. V, 22 aprile 2020, n. 2553).

C) Sottoscrizione del contratto anteriore alla partecipazione alla gara

Come detto, fra i tratti distintivi e presupposti essenziali di tale tipologia dei contratti ex art. 105, comma 3, lettera c-bis), del Codice va annoverato il momento della stipula di tali accordi, che, per espressa indicazione di legge, deve necessariamente essere precedente alla data di indizione della procedura di gara per l’affidamento del contratto pubblico nel cui ambito si intende fruire dei contratti continuativi di cooperazione, regolandoli come meri subaffidamenti sottratti ai vincoli e limiti propri del subappalto. Ciò in conformità alla ratio delle previsioni appena illustrate, che mediante tale precisazione mirano per l’appunto a rimarcare e valorizzare il carattere strumentale e funzionale dei peculiari subcontratti in esame rispetto alla generale organizzazione aziendale dell’operatore economico e, quindi, la direzione giuridica del rapporto contrattuale instaurato in favore di quest’ultimo e non della stazione appaltante.

In merito, è stato peraltro accertato che “(…) l’art. 105 comma 3 lett. c bis) non richiede che i contratti continuativi di cooperazione servizio e/o fornitura abbiano data certa, ma prescrive solo che essi siano stati sottoscritti “in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell’appalto” (così Consiglio di Stato, Sez. III, 29 gennaio 2021, n. 879).

Sicché, ove un contratto continuativo di cooperazione risulti invece stipulato dopo l’indizione della procedura di gara cui pertiene, non potrebbe essere qualificato come tale, ricadendo di contro nella categoria del subappalto, con ogni conseguente effetto di legge in termini di vincoli, restrizioni e anche sanzioni in caso di mancato rispetto della relativa disciplina ex art. 105 del Codice (v. TAR Sicilia, Palermo, Sez. III 6 dicembre 2018 n. 2583, cit.).

D) Oggetto e “direzione giuridica delle” prestazioni

Fermo quanto sopra, con riferimento al carattere strumentale, accessorio e complementare che deve contraddistinguere un subcontratto da qualificarsi e regolarsi alla stregua dell’art. 105, comma 3, lettera c-bis), del Codice, è stato inoltre acclarato che “(…) il contributo ausiliare regolamentabile mediante detti contratti di cooperazione non può riguardare l’affidamento delle medesime prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto, ma al più “prestazioni che, pur comprese nel complessivo oggetto del contratto e pur necessarie per la corretta esecuzione della prestazione principale, appaiono rispetto a questa di carattere complementare ed aggiuntivo, avendo natura residuale ed accessoria” (Con. Stato, sez. V, nn. 3211/2020 e 607/2020 e sez. III, n. 1603/2020; Tar Lazio, sez. II bis, n. 14795/2019; Tar Pescara, sez. I, nn. 43/2018 e 199/2018; Tar Palermo, sez. III, n. 2583/2018)” (Consiglio di Stato, Sez. V, 17 novembre 2020, n. 7142, cit.).

Nel solco di tale argomentazione, si è pertanto rimarcato il pregnante valore assunto all’uopo dalla c.d. “direzione giuridica” dei subcontratti in esame, chiarendo in tal senso che le prestazioni oggetto degli stessi “(…) sono certamente rivolte a favore dell’operatore economico affidatario (come avviene nei contratti continuativi di cooperazione servizio e fornitura) e non direttamente a favore del soggetto pubblico committente (come nel caso di subappalto): pertanto, di eventuali inadempimenti in fase esecutiva di tali prestazioni risponde sempre, nei confronti della stazione appaltante, il soggetto affidatario” (Consiglio di Stato, Sez. V, 21 maggio 2020, n. 3211. Ex multis, v. anche Consiglio di Stato, Sez. V, 27 dicembre 2018, n. 7256; TAR Veneto, Sez. I, 15 febbraio 2019, n. 198).

E) Fase di riferimento e finalità del subcontratto

Tenuto conto degli elementi e presupposti fondamentali sopra ricordati, sempre con riguardo ai profili operativi dei contratti in oggetto, la giurisprudenza ha avuto modo di specificare altresì che, inerendo gli stessi a profili strumentali all’organizzazione propria dell’impresa, essi non possono che inerire alla sola fase esecutiva dell’appalto cui si connettono,  ovverosia a un momento procedimentale e contrattuale che presuppone come già svolte l’individuazione e la verifica dei requisiti di qualificazione prescritti in capo all’appaltatore. Corollario di tale assunto è dunque che i medesimi contratti continuativi ex art. 105, comma 3, lett. c bis), del d.lgs. n. 50/2016 e s.m.i. non possano in alcun modo costituire uno strumento mirato a sopperire a carenze di quei requisiti di qualificazione.

In particolare, la giurisprudenza ha accertato che “detta disposizione disciplina le sole “prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari” e non anche l’apporto di qualifiche e requisiti soggettivi mancanti. Il rapporto di cooperazione viene ad incidere nella sola fase esecutiva dell’appalto, quindi in un momento che presuppone come già risolta l’individuazione, a monte, di un appaltatore munito dei necessari requisiti (Tar Veneto, n. 198/2019)” (così Consiglio di Stato, Sez. V, 17 novembre 2020, n. 7142, cit.; v. anche Consiglio di Stato, Sez. V, 19 maggio 2020, n. 3169, cit.). Diversamente, “(…) laddove si consentisse al soggetto aggiudicatario di soddisfare il possesso del requisito mancante rivolgendosi a soggetti terzi mai specificamente individuati (nel D.G.U.E. o nella dichiarazione di offerta economica/tecnica), si verrebbe a verificare l’inammissibile circostanza per cui «la parte operativa più rilevante dell’affidamento sarebbe eseguita non già dall’appaltatore (singolo o associato),né da un soggetto da questi indicato come ausiliario o subappaltatore, bensì da un soggetto terzo del tutto esterno ed estraneo alla gara» (C.G.A.R.S., sez. I, n.673/2019)” (Consiglio di Stato, Sez. V, 17 novembre 2020, n. 7142, cit.).

Per completezza, proprio in ordine agli specifici profili qui considerati, deve peraltro segnalarsi che secondo recenti pronunce, in realtà, i contenuti dei due contratti – quello principale di appalto e il (sub)contratto continuativo di cooperazione – potrebbero anche coincidere in parte, ponendo così sotto altra luce l’assunto (consolidato) che mira a “(…) circoscrivere l’utilizzazione dell’istituto (…) con riferimento alle prestazioni “secondarie” e/o “sussidiarie”, ovvero a quelle non direttamente rivolte alla stazione appaltante e non coincidenti contenutisticamente con la prestazione dedotta in contratto prestazioni che, anche a prescindere dalla previsione suindicata, sarebbero state comunque e legittimamente acquisibili ab externo dal soggetto affidatario, rivolgendosi ai propri fornitori, indipendentemente dall’epoca di stipula dei relativi contratti e senza essere tenuto al deposito degli stessi presso la stazione appaltante. Del resto, l’istituto de quo, proprio perché si configura come derogatorio rispetto alla generale disciplina del subappalto, è evidentemente ancorato ai medesimi presupposti applicativi, a cominciare dalla determinazione contenutistica della prestazione eseguibile mediante il ricorso all’impresa “convenzionata”. In tale ottica, il riferimento della disposizione alle “prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari” non assume valenza restrittiva (della portata applicativa della previsione), come avverrebbe se si ritenesse che esso implica la necessità che l’utilità della prestazione ridondi ad esclusivo vantaggio, in senso materiale, dell’impresa affidataria (piuttosto che dell’Amministrazione), ma allude alla direzione “giuridica” della prestazione, ovvero al fatto che l’unica relazione giuridicamente rilevante, anche agli effetti della connessa responsabilità, è quella esistente tra stazione appaltante e soggetto affidatario” (Consiglio di Stato, Sez. V, 21 maggio 2020, n. 3211, cit.; v. anche Tribunale Regionale della Giustizia Amministrativa di Trento, 29 settembre 2020, n. 166, cit.).

In buona sostanza, alla stregua di tali arresti, costituendo i contratti in esame una deroga al subappalto, essi non potrebbero che soggiacere agli stessi presupposti applicativi e, quindi, potrebbero anche essere caratterizzati da una parziale coincidenza dei contenuti delle prestazioni; sicché, per verificarne configurabilità e attuazione, occorrerebbe piuttosto, sotto i succitati profili, accertare la direzione giuridica del rapporto sottoscritto tra appaltatore e subcontraente, ovverosia appurare se queste attività siano effettivamente rese in favore dell’appaltatore – che non può quindi ritenersi automaticamente escluso solo per il fatto che c’è una parziale coincidenza tra prestazioni di appalto e prestazioni del contratto continuativo – e siano quindi effettivamente strumentali e accessorie giacché tese più in generale a sostenere l’organizzazione dell’impresa.

A fronte di ciò, è d’uopo d’altro canto rilevare che la tesi – minoritaria – appena riportata finisce col porsi, sul punto, in contrasto con il succitato orientamento consolidato cui pertiene il quale, come si è visto, sulla scorta di un approccio maggiormente rigoroso afferma al contrario che, ove sussista la menzionata coincidenza tra i contenuti delle prestazioni contrattuali, non vi sarebbe margine per configurare un contratto continuativo, anche perché ciò impedirebbe alla stazione appaltante di verificare i requisiti speciali in capo all’operatore economico che assume di fatto una parte della prestazione (v., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 17 novembre 2020, n. 7142, cit.; id., Sez. V,19 maggio 2020, n. 3169, cit.).

F) Differenze tra i contratti continuativi di cooperazione, l’avvalimento e il subappalto

Gli interventi del Giudice Amministrativo hanno inoltre posto in evidenza, in termini ontologici e teleologici, gli elementi che differenziano i contratti continuativi di cooperazione da altri istituti, quali anzitutto l’avvalimento e il succitato subappalto stricto sensu.

Segnatamente, prendendo in considerazione il ricorso all’avvalimento ex art. 89 del Codice dei contratti pubblici, è stato chiarito che, mentre in caso di contratti continuativi l’amministrazione appaltante resta estranea ai rapporti tra appaltatore e subcontraente – risultando le prestazioni oggetto di subaffidamento, come detto, strumentali all’organizzazione generale dell’appaltatore medesimo – “(…) l’art. 89, comma 1, prevede la presentazione di una dichiarazione sottoscritta dall’impresa ausiliaria con cui quest’ultima si obbliga verso il concorrente e verso la stazione appaltante a mettere a disposizione per tutta la durata dell’appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente. L’ausiliaria, in forza di tale dichiarazione, assume obblighi anche verso la stazione appaltante” (Consiglio di Stato, Sez. V, 19 maggio 2020, n. 3169, cit.; Tribunale Regionale della Giustizia Amministrativa di Trento, 29 settembre 2020, n. 166, cit.).

Nel solco di tale indirizzo è stato poi precisato, operando un confronto tra i subcontratti in argomento e il subappalto, che la categoria dei contratti continuativi di cooperazione “(…) si distingue, infatti, dal subappalto, sia per la direzione soggettiva delle prestazioni affidate (“rese in favore” dei soggetti affidatari che restano pur sempre gli unici responsabili nei confronti della stazione dell’appaltante per l’esecuzione delle prestazioni loro affidate) sia per l’oggetto del contratto (che non riguarda l’affidamento da parte dell’appaltatore a terzi di parte delle medesime prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto, ma prestazioni che, pur comprese nel complessivo oggetto del contratto e pur necessarie per la corretta esecuzione della prestazione principale, appaiono rispetto a questa di carattere complementare ed aggiuntivo, avendo natura residuale ed accessoria)” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 24 gennaio 2020, n. 607).

In tal senso, “(…) le restrizioni entro le quali può dirsi consentito il ricorso ai contratti di cooperazione traggono argomento dalla sostanziale deformalizzazione che assiste siffatta tipologia negoziale, soggetta al solo obbligo della documentazione “… prima o contestualmente alla sottoscrizione del contratto di appalto ” e, per il resto, sottratta a tutta quella di serie di prescrizioni procedurali che invece si impongono in caso di subappalto (dall’autorizzazione preventiva da parte della stazione appaltante; alla comunicazione all’atto dell’offerta delle prestazioni che il concorrente intende subappaltare; all’eventuale verifica delle cause di esclusione e dei requisiti di qualificazione in capo ai subappaltatori; ai criteri di limitazione qualitativa e quantitativa del possibile ricorso al subappalto)” (così Consiglio di Stato, Sez. V, 17 novembre 2020, n. 7142, cit.).

In proposito, sempre il Supremo Consesso ha ancora evidenziato che “(…) le prestazioni oggetto di siffatti contratti [continuativi di cooperazione] sono rivolte a favore dell’operatore economico affidatario del contratto di appalto con il soggetto pubblico e non invece direttamente a favore di quest’ultimo come avviene nel caso del subappalto (cfr. Cons. di Stato, V, 27 dicembre 2018, n. 7256; si veda anche Cons. St., V, 22 aprile 2020, n. 2553).  (…) l’istituto de quo, proprio perché si configura come derogatorio rispetto alla generale disciplina del subappalto, è evidentemente ancorato ai medesimi presupposti applicativi, a cominciare dalla determinazione contenutistica della prestazione eseguibile mediante il ricorso all’impresa “convenzionata”» (in tal senso Cons. di Stato, III, 18 luglio 2019, n. 5068). In questa prospettiva il difetto di qualsiasi elemento della fattispecie descritta all’art. 105, comma 3, lett. c-bis), comporterebbe l’applicazione integrale della disciplina sul subappalto; e in particolare di quanto previsto dall’art. 105, comma 4, lett. c) (secondo cui «i soggetti affidatari dei contratti di cui al presente codice possono affidare in subappalto le opere o i lavori, i servizi o le forniture compresi nel contratto, previa autorizzazione della stazione appaltante purché (…) all’atto dell’offerta siano stato indicati i lavori o le parti di opere ovvero i servizi e le forniture o parti di servizi e forniture che si intende subappaltare»).

Tuttavia l’impostazione del problema in termini di deroga della norma sui contratti continuativi di cooperazione rispetto alla disciplina del subappalto non tiene conto della differenza specifica che intercorre tra i due tipi di contratti, che emerge anche dalle norme sopra richiamate. L’art. 105, comma 3, cit., non può essere configurato come una norma derogatoria del subappalto posto che essa muove dalla considerazione della specificità di determinate categorie di forniture e di servizi e, sulla base della natura peculiare di dette prestazioni (e della diversità del regolamento contrattuale in termini di rapporti tra le parti del contratto e di rapporti con l’amministrazione appaltante), giunge alla conclusione che i contratti continuativi di cooperazione non sono contratti di subappalto (l’incipit dell’art. 105, comma 3, cit. fornisce un’univoca indicazione testuale in tal senso: «Le seguenti categorie di forniture o servizi, per le loro specificità, non si configurano come attività affidate in subappalto […]»). La norma sui contratti di cooperazione delimita i confini rispetto alla nozione di subappalto applicabile nella disciplina sui contratti pubblici ma non è una norma derogatoria del regime sul subappalto (né di natura eccezionale).

La distinzione tra le due figure contrattuali, come ben rilevato anche dalla giurisprudenza sopra richiamata, si fonda non solo, come si è veduto, sulla specificità delle prestazioni, ma anche sulla diversità degli effetti giuridici dei due tipi di contratto.

Le prestazioni alla base dei due contratti sono infatti dirette a destinatari diversi: nel caso del subappalto, il subappaltatore esegue direttamente parte delle prestazioni del contratto stipulato con l’amministrazione, sostituendosi all’affidatario; nell’altro caso, le prestazioni sono rese in favore dell’aggiudicatario che le riceve, inserendole nell’organizzazione di impresa necessaria per adempiere alle obbligazioni contrattuali e le riutilizza inglobandole nella prestazione resa all’amministrazione appaltante. Nel subappalto vi è un’alterità anche sul piano organizzativo, tra appaltatore e subappaltatore, poiché la parte di prestazione contrattuale è affidata dall’appaltatore a un terzo che la realizza direttamente attraverso la propria organizzazione; mentre nel contratto di cooperazione la prestazione resa è inserita all’interno dell’organizzazione imprenditoriale dell’appaltatore. I due contratti sono quindi diversi quantomeno sul piano funzionale.

La disciplina in tema di subappalto non è quindi immediatamente estendibile, se non si dimostri che il contratto continuativo di cooperazione costituisca solo uno schermo per il contratto di subappalto (il che, nella concreta fattispecie, non risulta; e nemmeno nel ricorso in primo grado si sostiene questo).

In particolare, detta disciplina non è automaticamente applicabile nel caso in cui il contratto di cooperazione sia stato stipulato dopo l’indizione della gara (purché prima della stipula del contratto d’appalto), elemento introdotto per evidenti finalità antielusive della disciplina del subappalto, ma che non incide sulla natura del contratto e delle prestazioni” (Consiglio di Stato, sez. V, 12 aprile 2021, n. 2962).

Più di recente, in accordo con il ricordato indirizzo dei Giudici di Palazzo Spada, il TAR Lazio ha avuto modo di rimarcare e precisare i connotati principali che distinguono i contratti cooperativi di cooperazione dal subappalto e dall’avvalimento, ribadendo nella specie che “Il Consiglio di Stato ha, infatti, anche di recente, chiarito come tali contratti di cooperazione “si caratterizzano per la “direzione soggettiva”, in quanto resi all’impresa aggiudicataria, e per l’”oggetto del contratto” che è altro rispetto alla prestazione in affidamento con il contratto d’appalto”, sicché essi potranno riferirsi solo a quei beni e servizi dei quali l’impresa aggiudicataria necessita per poter, essa sola, eseguire la prestazione oggetto del contratto d’appalto e non già direttamente alla prestazione affidata (in tal senso, Consiglio di Stato, Sezione V, n. 607/2020).

Ne discende come assuma, pertanto, carattere dirimente, al fine di stabilire se l’impresa aggiudicataria abbia legittimamente fatto ricorso a tale tipologia di contratto, la concreta verificazione della circostanza legata al dato di fatto se la medesima impresa si sia limitata a procurarsi il bene strumentale alla prestazione da rendere all’amministrazione, ovvero abbia affidato – come nel caso di specie – al terzo cooperante l’esecuzione di una parte (o frazione) della prestazione assunta nei confronti dell’amministrazione che essa non era in grado di eseguire, con la conseguenza che “quando il terzo cooperante … esegue una parte della prestazione oggetto del contratto d’appalto che l’impresa aggiudicataria non sa o non può eseguire si è fuori dalla fattispecie dell’art. 105, comma 3, lett. c-bis) del Codice, ed è corretta l’esclusione dalla procedura di gara” (in tal senso, Consiglio Stato, Sezione V, n. 3169/2020).

Nel caso di specie, la prestazione di assistenza tecnica e manutenzione – in quanto oggetto dell’accordo quadro e del discendente singolo contratto di fornitura – non poteva, dunque, essere oggetto anche di un connesso contratto ai sensi del citato art. 105, comma 3, lett. c- bis), atteso che diversamente opinando – come reso palese dal contenuto di tali prestazioni come già delineate nella documentazione di gara – al terzo cooperante sarebbe stata, altrimenti, affidata una parte delle prestazioni oggetto dell’appalto da rendere direttamente in favore della singola amministrazione, ponendo quest’ultima in rapporto diretto con un soggetto del quale non è mai stato accertato il possesso dei requisiti generali e speciali di partecipazione previsti all’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016 e dalla disciplina di gara.

Il sistema della contrattualistica pubblica è – invero – retto dal principio di personalità nell’esecuzione dell’appalto (in tal senso, l’art. 105, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016), che, nel porsi a garanzia degli interessi della committenza pubblica, nonché della stessa par condicio tra i concorrenti, esclude che possano essere ammesse offerte che (al fuori delle ipotesi di subappalto) contemplino il coinvolgimento, nell’esecuzione della prestazione in favore dell’amministrazione, di soggetti terzi che non assumano la veste di né concorrente, né di contraente.

Gli istituti aggregativi ammessi dall’ordinamento sono, infatti, tipici (raggruppamento, consorzio, rete di imprese e avvalimento) e per ciascuno di essi la disciplina di settore delinea specifiche e inderogabili modalità e forme, tali da offrire alla stazione appaltante idonee garanzie anche in termini di imputazione giuridica dell’offerta e – conseguentemente – di verifica dei prescritti requisiti.

In tale contesto, la dichiarazione del concorrente di voler concedere a terzi “parte dell’esecuzione del servizio di assistenza tecnica e manutenzione sulle apparecchiature oggetto di offerta … ai sensi dell’art. 105, comma 3, lettera c-bis) del D. Lgs. 50/2016 … in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizi e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della presente procedura”, tra l’altro inequivocabilmente chiarendo che “le predette attività non sono configurabili … come subappalto”, comporta, di per sé, l’inammissibilità dell’offerta, integrando una non ammessa dissociazione tra il profilo soggettivo del concorrente/offerente in gara e quello dell’esecutore del contratto di appalto” (così TAR Lazio, Roma, sez. II, 26 aprile 2021, n. 4816).

G) Metodo di indagine per l’inquadramento della fattispecie

Alla stregua della giurisprudenza sopra richiamata i contratti continuativi di cooperazione in esame debbono essere considerati come una “eccezione” al subappalto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 17 novembre 2020, n. 7142, cit.) e, in quanto tale, una fattispecie da scrutinare con approccio rigoroso e verifiche da svolgersi necessariamente in concreto, analizzando caso per caso gli elementi costitutivi, le caratteristiche e le finalità dei subcontratti medesimi, al fine di appurare l’effettiva sussistenza di tutti i presupposti e i profili sin qui illustrati e chiariti e così scongiurare eventuali condotte elusive della più rigorosa disciplina di ordine pubblico che presidia tale settore (v. Consiglio di Stato, Sez. V, 22 aprile 2020, n. 2553, cit.; id., Sez. V, 24 gennaio 2020, n. 607, cit.). Ciò proprio in virtù del fatto che, come già rilevato, il ricorso a un siffatto strumento contrattuale, ove ammissibile, esonera l’appaltatore dai controlli, dai vincoli e dai limiti stringenti che implica l’istituto del subappalto come sopra ricordati.

Al riguardo, infatti, lo stesso Supremo Consesso ha avuto modo di chiarire che “Vero è che in giurisprudenza talune fattispecie hanno generato dubbi e difficoltà di inquadramento; in particolare, in relazione ai casi in cui la lex specialis richieda la disponibilità di un “centro cottura” o di un “laboratorio di analisi” come nella vicenda esaminata dal precedente citato dal giudice di primo grado (Cons. Stato, III, 27 novembre 2017, n. 5541) ovvero ancora di una “sede operativa” con talune caratteristiche geografiche (come nel citato precedente Cons. Stato, III, 18 luglio 2019, n. 5068).

A prescindere dagli aspetti peculiari di ogni vicenda, va detto però che i criteri di qualificazione sopra ricordati – direzione soggettiva della prestazione ed oggetto del contratto – consentono di risolvere in maniera sufficientemente attendibile anche i casi dubbi, assumendo carattere dirimente stabilire se l’impresa aggiudicataria, stipulando un contratto di cooperazione continuativa, si sia limitata a procurarsi il bene strumentale alla prestazione da rendere all’amministrazione, ovvero abbia affidato al terzo cooperante l’esecuzione di una parte (o frazione) della prestazione assunta nei confronti dell’amministrazione che non era in grado di eseguire.

2.5. In conclusione, quando il terzo cooperante (o che svolga servizi o fornisca beni) esegue una parte della prestazione oggetto del contratto d’appalto che l’impresa aggiudicataria non sa o non può eseguire si è fuori dalla fattispecie dell’art. 105, comma 3, lett. c-bis) del Codice, ed è corretta l’esclusione dalla procedura di gara; l’impresa concorrente avrebbe dovuto far ricorso agli strumenti negoziali allo scopo previsti dal codice dei contratti pubblici, l’avvalimento o le altre forme di partecipazione congiunta ad una procedura di gara” (Consiglio di Stato, Sez. V, 19 maggio 2020, n. 3169).

4. Considerazioni e indicazioni conclusive

Alla luce della disamina di cui sopra, possono dunque enuclearsi gli elementi e le caratteristiche fondamentali che paiono connotare, all’attualità, i contratti continuativi di cooperazione ex art. 105, comma 3, lettera c bis), del Codice, assieme ai relativi risvolti applicativi e operativi, precisando quanto segue:

  • i subcontratti in argomento concernono prestazioni di servizi e/o forniture;
  • le attività regolate da tali subcontratti hanno carattere sussidiario e secondario, complementare rispetto a quelle propriamente rientranti nell’oggetto dell’appalto, e quindi, in linea di massima, non debbono coincidere, sotto il profilo dei contenuti, con la prestazione dedotta nel contratto di appalto principale;
  • la “direzione giuridica” delle prestazioni previste da un contratto continuativo di cooperazione è rivolta in favore dell’appaltatore e non del committente, sicché le medesime prestazioni devono risultare – in via generale e di continuità che prescinde dalla singola procedura di gara nel cui ambito vengono utilizzate – funzionali all’organizzazione dell’impresa appaltatrice;
  • le prestazioni fornite all’appaltatore nell’ambito di siffatti subcontratti sono disciplinate sulla base di un accordo che deve essere sottoscritto prima della indizione della procedura di gara, pena la qualificazione e regolamentazione di tali accordi non come meri subcontratti, bensì come subappalti, con ogni conseguente effetto di legge in termini di vincoli, restrizioni e sanzioni in caso di violazione degli obblighi propri del subappalto;
  • siffatti subcontratti risultano pertinenti alla sola fase esecutiva dell’appalto, giacché incidono sull’organizzazione delle attività contrattuali e dunque sulle modalità operative delle stesse. Di modo che essi non possono in alcun modo essere finalizzati a sopperire la carenza di requisiti di qualificazioni prescritti in capo all’operatore economico individuato per l’attuazione del contratto di appalto, che devono essere invece verificati e dimostrati in un momento precedente attinente alla fase (di evidenza pubblica) di affidamento del medesimo contratto di appalto;
  • la valutazione sulla sussistenza di tutti i presupposti e requisiti per il ricorso a un siffatto strumento contrattuale nell’ambito dei subaffidamenti dovrebbe essere compiuta caso per caso, alla luce dello specifico perimetro della singola gara cui si intende partecipare e delle prestazioni affidate mediante il contratto continuativo di cooperazione.

 

__________

[1] L’art. 105, comma 2, del Codice stabilisce che “Il subappalto e’ il contratto con il quale l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto”.

[2] Quanto ai limiti quantitativi cui soggiace il subappalto dei contratti pubblici e alla evoluzione normativa e giurisprudenziale di tale aspetto della disciplina, cfr. su questa rivista G.F. Maiellaro, I. Picardi, Il limite al subappalto nella tempesta perfetta, tra giurisprudenza e “Milleproroghe”, 21 gennaio 2021, https://www.appaltiecontratti.localhost/2021/01/22/il-limite-al-subappalto-nella-tempesta-perfetta-tra-giurisprudenza-e-milleproroghe/.

Al riguardo, vale altresì rammentare in ogni caso che siffatta disciplina è stata da ultimo modificata ad opera dell’art. 49 del Decreto Legge 31 maggio 2021, n. 71 (Decreto c.d. “Semplificazioni bis”), entrato in vigore in data 1 giugno 2021, che ha innalzato la soglia del limite quantitativo del subappalto al 50% fino al 31 ottobre 2021, disponendone poi la completa rimozione – quale limite generale imposto per legge – a partire dal 1 novembre 2021. La riforma accennata, peraltro, contempla specifiche condizioni e criteri che affidano alle valutazioni delle stazioni appaltanti l’attuazione di eventuali restrizioni sui singoli affidamenti, motivandole in modo adeguato e conforme alle dette previsioni, in ragione delle specificità dell’appalto.

L’entrata in vigore del citato art. 49 del D.L. n. 77/2021, come noto, costituisce il travagliato approdo di una serie di modifiche che hanno interessato questa delicata parte della disciplina negli ultimi due anni: infatti, il predetto limite, fissato in origine al 30% dall’art. 105, comma 2, del Codice, era stato in precedenza ridefinito nella misura massima del 40% fino al 30 giugno 2020, a seguito del D.L. 31 dicembre 2020, n. 183, Decreto cd. “Milleproroghe”, che a sua volta aveva prolungato fino al 30 giugno 2021 l’innalzamento al 40% del citato limite di legge al subappalto di contratti pubblici stabilito dall’art. 13, comma 2, lett. c), modificando in tal senso l’art. 1, comma 18, del D.L. 18 aprile 2019, n. 32, conv. con mod. in legge 14 giugno 2019, n. 55, Decreto cd. “Sblocca Cantieri”.

[3] La norma in questione è stata da ultimo modificata dall’art. 25, comma 1, del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, conv. con mod. dalla legge 1 dicembre 2018, n. 132 (cd. “Decreto Sicurezza”).

[4] Il citato art. 21, comma 1, della legge n. 646/1982 stabilisce in particolare che “Chiunque, avendo in appalto opere riguardanti la pubblica amministrazione, concede anche di fatto, in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte le opere stesse, senza l’autorizzazione dell’autorità competente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore ad un terzo del valore dell’opera concessa in subappalto o a cottimo e non superiore ad un terzo del valore complessivo dell’opera ricevuta in appalto.

Nei confronti del subappaltatore e dell’affidatario del cottimo si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa pari ad un terzo del valore dell’opera ricevuta in subappalto o in cottimo. È data all’amministrazione appaltante la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto”.

[5] L’art. 80, comma 5, lett. c ter), del Codice prevede che “Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all’articolo 105, comma 6, qualora: (…) c ter) l’operatore economico abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili; su tali circostanze la stazione appaltante motiva anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa”.

[6] Ai sensi del citato art. 3, comma ggggg-undecies), del Codice, per cottimo si intende “l’affidamento della sola lavorazione relativa alla categoria subappaltabile ad impresa subappaltatrice in possesso dell’attestazione dei requisiti di qualificazione necessari in relazione all’importo totale dei lavori affidati al cottimista e non all’importo del contratto, che può risultare inferiore per effetto dell’eventuale fornitura diretta, in tutto o in parte, di materiali, di apparecchiature e mezzi d’opera da parte dell’appaltatore”.

[7] L’art. 105, comma 2, del Codice prevede che “Costituisce, comunque, subappalto qualsiasi contratto avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l’impiego di manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli a caldo, se singolarmente di importo superiore al 2 per cento dell’importo delle prestazioni affidate o di importo superiore a 100.000 euro e qualora l’incidenza del costo della manodopera e del personale sia superiore al 50 per cento dell’importo del contratto da affidare”.

Giuseppe Fabrizio Maiellaro