Sussiste l’obbligo in capo alle imprese di dichiarare in sede di gara precedenti risoluzioni anche consensuali intervenute con altre stazioni appaltanti

Commento a Consiglio di Stato, sez. IV, 5 settembre 2022 n. 7709

4 Ottobre 2022
Scarica PDF Stampa
Modifica zoom
100%
Risoluzione consensuale del contratto – Inadempimento – Onere dichiarativo – oOnere motivazionale

Commento a Consiglio di Stato, sez. IV, 05.09.2022 n. 7709.

Autore: Riccardo Calvara

La questione giuridica affrontata

Può una stazione appaltante determinare l’esclusione di un concorrente ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c-ter del d.lgs. 50/2016, se riscontra la mancata dichiarazione di una precedente risoluzione consensuale con altra amministrazione?

È questa la questione giuridica posta innanzi al collegio della IV sezione del Consiglio di Stato nelle more della recente sentenza qui in commento.

La norma richiamata induce le stazioni appaltanti a escludere, motivando con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa, l’operatore economico che “abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili”.

Tuttavia, nel caso di una precedente risoluzione contrattuale qualificata come consensuale tra le parti, possono sorgere dubbi in merito alla portata dell’onere dichiarativo dell’impresa e alla puntualità della motivazione dell’eventuale esclusione della stazione appaltante. In effetti, in questi casi il concorrente non è destinatario di un vero e proprio provvedimento di risoluzione per inadempimento, bensì di uno scioglimento consensuale.

La disposizione potenzialmente violata prevede, in realtà, una fattispecie escludente ad applicazione non automatica, che in quanto tale presuppone lo svolgimento di apposite valutazioni della stazione appaltante sull’affidabilità dell’impresa concorrente, che possono riguardare anche le motivazioni che hanno portato all’atto giudico conclusivo del pregresso rapporto contrattuale con altra SA.

Il caso di specie

I provvedimenti impugnati disponevano l’esclusione di un concorrente, primo classificato nel merito di una procedura aperta telematica avente ad oggetto una serie di servizi di raccolta, trasporto, conferimento dei rifiuti urbani, spazzamento stradale e assimilati da aggiudicarsi mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

L’esclusione veniva determinata in seguito al riscontro della mancata dichiarazione, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c-ter), del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016), di una precedente risoluzione contrattuale, qualificata come consensuale ma ricondotta, dal Comune aggiudicante, a inadempimento da parte della società prima in graduatoria in sede di un pregresso rapporto con altro Comune con oggetto la prestazione di un servizio analogo.

A conclusione del procedimento telematico di gara, infatti, la società controinteressata chiedeva la verifica delle dichiarazioni rese dal potenziale aggiudicatario con particolare riferimento a un’intervenuta risoluzione del contratto di appalto dei servizi di igiene urbana sottoscritto e risolto in precedenza.

Acquisita la documentazione e previo contraddittorio, il Comune appaltante ha riesaminato il procedimento, le dichiarazioni rese e in particolare il D.G.U.E., accertando che la società in questione non aveva reso alcuna dichiarazione ai sensi dell’art. 80, comma 5, lettera c-ter).

Il Comune, inoltre, prendeva atto che la stessa società, nel D.G.U.E., nella sezione C – Capacità tecniche e professionali (Articolo 83, comma 1, lett c) D.Lgs. 50/2016) aveva riportato ed evidenziato tra i requisiti di partecipazione contemplati nel disciplinare di gara proprio quel contratto sottoscritto con l’altra amministrazione. Allo stesso modo, il Comune accertava che la risoluzione era conseguenza della mancata utilizzazione di veicoli elettrici per lo svolgimento del servizio aggiudicato, oggetto di offerta nel procedimento di scelta del contraente.

Pertanto, imputava tale condotta quale inadempimento contrattuale ed escludeva la società. Per giungere a tale conclusione, il Comune, vagliava anche quanto contenuto nelle Linee guida ANAC n. 6 “Indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’articolo 80, confina 5, lettere c), c-bis), c-ter) e c-quater) del codice dei contratti pubblici”, la relazione AIR e la documentazione sottoposta alle stazioni appaltanti con particolare riferimento alla indicazione esemplificativa delle fattispecie rilevanti ai sensi dell’articolo 80, comma 5, lettere c), c-bis), c-ter) e c-quater) del Codice dei contratti pubblici.

In particolare, riteneva di dover tenere in conto il punto 4.3.3) “Significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato” ove si contempla anche la “a) risoluzione anticipata non contestata in giudizio o confermata con provvedimento esecutivo all’esito di un giudizio”. Per queste ragioni, contestualmente proponeva l’aggiudicazione al concorrente piazzatosi al secondo posto.

La società esclusa proponeva ricorso al TAR, precisando che tale risoluzione era stata effettuata mediante accordo consensuale per sopravvenuta impossibilità di assicurare il servizio così come richiesto dal contraente pubblico, e che come tale, quindi, l’accordo non era idoneo ad incidere sull’integrità professionale del concorrente e non andava dichiarato; inoltre, sosteneva che le ipotesi di esclusione prescritte dalla disposizione normativa avessero carattere tassativo e che le valutazioni della stazione appaltante sull’affidabilità della impresa concorrente, obbligatoriamente dovute come nel caso di specie non trovandoci davanti ad un’ipotesi di esclusione automatica, sarebbero del tutto mancate. Le doglianze della ricorrente venivano disattese dalla pronuncia del Tribunale amministrativo regionale.

Il Collegio dava conto della posizione dello stesso Consiglio di Stato (Sez. V, n. 2922/2021) che aveva chiarito che la stazione appaltante potesse disporre l’esclusione di un operatore concorrente, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c-ter), a condizione che avesse dato conto di un un pregresso episodio di inadempimento tale da comportare le descritte conseguenze. L’obbligo di motivazione in capo alla stazione appaltante, dunque, sarebbe stato formalmente rispettato ogni qual volta l’atto escludente avesse recato l’esternazione del percorso logico-giuridico seguito dall’amministrazione apprezzando i criteri della “gravità” e del “tempo trascorso dalla violazione” come intrinseci alla valutazione della stazione appaltante, ossia valorizzanti la condotta dell’impresa.

Tale iter motivazionale, secondo quanto contenuto nel provvedimento impugnato, sarebbe stato espletato e, pertanto, il Comune resistente aveva non illogicamente o con travisamento del fatto riscontrato l’inadempimento dietro la veste formale della risoluzione consensuale.

Non rileverebbe, secondo l’impianto risolutivo del TAR, la veste formale che le parti hanno inteso dare al precedente negozio giuridico, che potrebbe essere fondata da svariati motivi di convenienza (come, nel caso di specie, quello di consentire la prosecuzione provvisoria del servizio “fino alla conclusione della nuova procedura di gara d’appalto del servizio revisionato”).

La società esclusa proponeva appello al Consiglio di Stato, lamentando, in particolare, l’impostulabile equivalenza tra la risoluzione contrattuale per grave inadempimento e quella consensuale, in relazione al principio di tassatività delle cause di esclusione.

La lettera c-ter), come da ultimo modificata, inoltre, descriverebbe l’unica fattispecie di illecito contrattuale collegata alla pregressa risoluzione per inadempimento, concretizzabile solo se dà luogo a una delle sanzioni menzionate dalla medesima disposizione, non potendosi, di contro, ammettere interpretazioni estensive.

La ricorrente, inoltre, contestata la sentenza nella parte in cui il Collegio, ritenendo irrilevante la veste formale della risoluzione contrattuale, si addentrava nella valutazione di merito esperita dal Comune resistente e la considerava adeguatamente motivata, così sconfinando rispetto al controllo ab externo.

La decisione del Collegio

In questa vicenda, i giudici di palazzo Spada sono stati chiamati a valutare se è da considerarsi legittimo l’operato di una stazione appaltante che, in base allo svolgimento e alla qualificazione dei fatti, abbia qualificato come inadempimento la condotta professionale di un concorrente tale da condurre altra amministrazione alla risoluzione consensuale e non dichiarata nella nuova procedura di aggiudicazione.

Il Collegio ha ritenuto che a tale interrogativo debba essere data risposta positiva e che, pertanto, l’appello in oggetto doveva essere respinto.

Secondo il Consiglio di Stato, l’interpretazione da dare al quadro legislativo nazionale non può prescindere dalle disposizioni eurounitarie di riferimento e, in particolare, dall’art. 57, par. 4, della direttiva 2014/24/UE che stabilisce che le stazioni appaltanti possono escludere gli operatori economici “se l’amministrazione aggiudicatrice può dimostrare con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, il che rende dubbia la sua integrità”.

Il ruolo centrale delle amministrazioni aggiudicatrici nel valutare l’affidabilità degli operatori, deducendola dall’insieme delle condotte attuali o pregresse dei medesimi trova conferma nel considerando 101 della direttiva che, in relazione alla valenza della grave violazione dei doveri professionali ai fini dell’esclusione da una procedura di gara, stabilisce che le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero anche mantenere la facoltà di ritenere che vi sia stata grave violazione dei doveri professionali qualora possano dimostrare con qualsiasi mezzo idoneo che l’operatore economico ha violato i suoi obblighi. (cfr. C.G.U.E., sez. IV, 19 giugno 2019, n. 41).

In tal senso, la Corte di Giustizia dell’U.E. aveva escluso che la stazione appaltante possa essere vincolata dalla valutazione effettuata, nell’ambito di un precedente appalto, da un’altra amministrazione aggiudicatrice, per cui l’amministrazione aggiudicatrice è tenuta a procedere a una propria valutazione del comportamento dell’operatore economico interessato dalla risoluzione di un precedente contratto di appalto pubblico (cfr. C.G.U.E., sez. IV, 3 ottobre 2019, n. 267).

In questo quadro, va riconosciuto, quindi, un ruolo precipuo all’apprezzamento da parte dell’amministrazione aggiudicatrice di tutte le condotte rilevanti degli operatori economici.

Nella sentenza in commento, viene anche richiamata la decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sentenza del 28 agosto 2020, n. 16, che trattando gli obblighi dichiarativi al momento della partecipazione a una procedura di gara, aveva chiarito che si trattava di un “obbligo il cui assolvimento è necessario perché la competizione in gara possa svolgersi correttamente e il cui inadempimento giustifica invece l’esclusione”, precisando che “l’obbligo dovrebbe essere previsto a livello normativo o dell’amministrazione, attraverso le norme speciali regolatrici della gara.

Nondimeno, (…) deve darsi atto che è consolidato presso la giurisprudenza il convincimento secondo cui l’art. 80, comma 5, lettera c), ora lett. c-bis), è una norma di chiusura in grado di comprendere tutti i fatti anche non predeterminabili ex ante, ma in concreto comunque incidenti in modo negativo sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico, donde il carattere esemplificativo delle ipotesi previste nelle linee guida emanate in materia dall’ANAC, ai sensi del comma 13 del medesimo art. 80”.

Su questa via, il Collegio ha ritenuto che non potesse essere data una lettura formalistica del contenuto della lettera c-ter), se non a costo di pregiudicare il ruolo infungibile dell’amministrazione nella valutazione dell’affidabilità dei concorrenti, ritenendo, al contrario, di dovere aderire alle diverse conclusioni rassegnate in materia dalla più recente giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 4708 del 2022; similmente, Cons. Stato, sez. V, n. 2922 del 2021).

In sentenza, il Consiglio di Stato si sofferma sull’art. 1372 c.c., il quale prevede che il contratto ha forza di legge tra le parti e “non può essere sciolto che per mutuo consenso”. Il mutuo dissensenso, dunque, costituirebbe non un “contro-negozio” ma una forma di risoluzione contrattuale basata su una scelta di autonomia negoziale delle parti, le quali possono decidere di caducare il vincolo contrattuale per qualunque ragione.

Nell’ambito applicativo della disposizione può, pertanto, rientrare, sia la libera volontà di non proseguire la fase esecutiva del rapporto negoziale sia la sussistenza di una causa di inadempimento del contratto.

Per tutte queste esposte ragioni, il Collegio ha ritenuto che nel perimetro degli obblighi dichiarativi debba essere fatta rientrare anche la precedente risoluzione consensuale, intervenuta con altra stazione appaltante in fase di esecuzione di una procedura di gara tutte le volte in cui “la stessa sia dipesa da una condotta astrattamente idonea a fare dubitare dell’integrità ed affidabilità dell’operatore economico in vista dell’affidamento dell’appalto”.

Considerazioni conclusive

Nella suddetta pronuncia, il Consiglio di Stato individua nella risoluzione consensuale un accordo tra le parti potenzialmente dovuto ad un precedente inadempimento dell’appaltatore, e come tale, capace di costituire pregressa vicenda professionale di cui edurre la stazione appaltante, poichè suscettibile di far dubitare dell’affidabilità ed integrità del concorrente dichiarante (Cons. Stato, sez. V, n. 4708 del 2022).

Il sostrato di tale decisione è sussumibile in quella giurisprudenza che, in relazione all’obbligo dichiarativo di un precedente provvedimento di esclusione da altra procedura di gara, dava rilevanza al fatto storico in sé e alle connotazioni specifiche per le quali si era giunti alla risoluzione consensuale in fase di esecuzione, non dando invece rilievo esclusivo alla tipologia di atto negoziale o provvedimento amministrativo che ne sia seguito (in tal senso, cfr. Cons. Stato, sez. III, 22 dicembre 2020, n. 8211, in particolare par. 7.3); e ciò, proprio in ragione della necessità che ogni episodio professionale critico del concorrente venga autonomamente apprezzato da ciascuna stazione appaltante (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 settembre 2021, n. 6407).

Continua, dunque, a circoscriversi in senso sempre più onnicomprensivo l’onere dichiarativo in capo alle imprese partecipanti alle gare pubbliche, costrette a prendere rapidamente coscienza del fatto che la precedente cessazione di un rapporto contrattuale con altra amministrazione deve essere valutato dalla nuova stazione appaltante aldilà del nomen iuris, ed essere apprezzato autonomamente come fattispecie potenzialmente inficiante la propria professionalità.

L’unica garanzia per i concorrenti, al fine di evitare che il rilievo sostanzialista dell’inadempimento, al di là della qualificazione della risoluzione o scioglimento del precedente contratto, trasmodi in libero arbitrio dell’amministrazione aggiudicatrice, risiederebbe nell’obbligo di motivazione in capo alla stazione appaltante, che è ritenuto dal Collegio formalmente rispettato ove l’atto rechi “l’esternazione del percorso logico-giuridico seguito dall’amministrazione per giungere alla decisione adottata” e il destinatario sia in grado di comprenderne le ragioni e, conseguentemente, di utilmente accedere alla tutela giurisdizionale (così, Cons. Stato, sez. V, 21 luglio 2020, n. 4668; sez. V, n. 2922 del 2021).