Verso un nuovo anno … e un nuovo Codice…

A cura di Alessandro Massari

22 Dicembre 2022
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appaltiEditoriale estratto dal numero 12/2022 del mensile Appalti&Contratti

Siamo giunti alla fine di un altro anno decisamente impegnativo e complicato: stremati dopo il lungo e pesante periodo pandemico si è aperto all’inizio del 2022 l’altro scenario nefasto e drammatico costituito dal conflitto bellico russo-ucraino, tuttora tragicamente in atto e dalle prospettive ancora estremamente incerte e preoccupanti.

Anno oggettivamente impegnativo e complesso anche per il settore dei contratti pubblici sotto tanti profili: oltre allo strascico degli effetti del Covid e dopo l’impatto dirompente del “regime transitorio” introdotto dai decreti semplificazioni, abbiamo assistito ad un’incessante produzione normativa emergenziale per arginare l’imprevedibile spinta inflattiva e il drammatico caro-prezzi con i ben noti effetti sugli appalti in fase di esecuzione e la difficile gestione della rinegoziazione tra posizioni restrittive dell’ANAC ed insopprimibili esigenze di garantire la continuità di servizi essenziali; l’attuazione degli interventi PNRR-PNC rispetto ai quali si sono verificati (forse comprensibili e prevedibili) ritardi e criticità operative recentemente evidenziate anche a livello politico; un  Dlgs. 50/2016 oramai in fase di “pensionamento” ma ancora sottoposto ad un profluvio di modifiche e interventi demolitori, anche sotto l’effetto di importanti pronunce della Corte di Giustizia (tra tutte, quelle sul ruolo della mandataria nei raggruppamenti); l’avvio della fase di qualificazione delle stazioni appaltanti e, da ultimo, la prospettiva a breve termine del nuovo Codice dei contratti pubblici, il cui testo è stato approvato dal Consiglio dei Ministri del 16 dicembre scorso.

Ascolta “La voce del direttore – AppaltieContratti 12/2022” su Spreaker.

Molto interessanti gli spunti di riflessione che si colgono nella Relazione illustrativa recentemente pubblicata sul sito della Giustizia Amministrativa, sulla genesi della bozza del nuovo Codice.

Lo “Schema definitivo di codice” che si è sottoposto al Governo – si legge nella Relazione del Consiglio di Stato – ha un numero di articoli analogo a quelli del codice vigente, ma ne riduce di molto i commi, riduce di quasi un terzo le parole e i caratteri utilizzati e, con i suoi allegati, abbatte in modo rilevante il numero di norme e linee guida di attuazione. Gli allegati sono 35, molti consistono di poche pagine. Si tratta di un numero comunque contenuto, specie se si considera che solo le tre direttive da attuare hanno, in totale, 47 annessi e che nel nuovo codice gli allegati sostituiranno ogni altra fonte attuativa: oltre ai 25 allegati al codice attuale, essi assorbiranno 17 linee guida ANAC e 15 regolamenti ancora vigenti, alcuni dei quali di dimensioni molto ampie (tra cui il d.P.R. n. 207 del 2010, risalente addirittura all’attuazione del codice del 2006, nonché quello sui contratti del Ministero della difesa, ridotto da oltre 100 articoli a poco più di 10). Ciò è stato possibile anche rinviando, in vari casi, direttamente agli allegati delle direttive, assicurando sia uno sfoltimento della legislazione interna sia il suo adeguamento immediato e automatico alle future modifiche delle norme europee. In non pochi casi si è scelto di conservare – verificandone preventivamente il positivo impatto – le norme del codice vigente che, in sede applicativa, hanno dato buona prova di sé.

Si è scelto di redigere un codice che non rinvii a ulteriori provvedimenti attuativi e sia immediatamente “autoesecutivo”, consentendo da subito una piena conoscenza dell’intera disciplina da attuare. Ciò è stato possibile grazie a un innovativo meccanismo di delegificazione che opera sugli allegati al codice (legislativi in prima applicazione, regolamentari a regime). Si è cercato di scrivere un codice “che racconti la storia” delle procedure di gara, accompagnando amministrazioni e operatori economici, passo dopo passo, dalla fase iniziale della programmazione e progettazione sino all’aggiudicazione e all’esecuzione del contratto.

Si è inteso dare un senso effettivo ad alcune parole chiave, spesso utilizzate in tema di contratti pubblici:

– la semplificazione, ottenuta aumentando la discrezionalità delle amministrazioni e rimuovendo il goldplating ovunque possibile. Il rischio di fenomeni corruttivi è prevenuto da un più ampio ricorso a digitalizzazione, trasparenza e qualificazione;

– l’accelerazione, intesa come massima velocizzazione delle procedure, ma non solo “sulla carta”, perché il termine ridotto è stato individuato avendo sempre presente la sua effettiva “fattibilità”: assieme alla rapidità occorre garantire anche certezza nei tempi di affidamento, esecuzione e pagamenti alle imprese;

– la digitalizzazione, completa, delle procedure e la interoperabilità delle piattaforme, secondo il principio dell’once only, ossia dell’unicità dell’invio di dati, documenti e informazioni alle stazioni appaltanti;

– la tutela, dando piena attuazione alla delega a protezione dei lavoratori (tramite clausole sociali, valorizzazione dei CCNL e lotta ai “contratti pirata”) e delle imprese (per esempio, in tema di rinegoziazione e revisione prezzi, o di suddivisione in lotti).

La Commissione speciale auspica dunque di aver posto le premesse giuridiche più chiare e stabili possibile perché anche queste tre condizioni si realizzino e perché questa fondamentale riforma possa prendere avvio, nel rispetto degli impegni del PNRR e a beneficio del sistema non solo giuridico ma soprattutto economico e sociale del Paese.

Di grande interesse anche le considerazioni espresse sui nuovi “super principi” previsiti come criteri interpretativi e applicativi di tutto il Codice: “risultato”, “fiducia” e “accesso al mercato”.

Si fa osservare che il ruolo dei principi nel DLgs. 50/2016 ha subito una compressione rilevante da parte delle norme puntuali, che hanno così finito per erodere ambiti di discrezionalità alle amministrazioni pubbliche, indotte a considerare tali principi come valori astratti a cui deve rispondere, in via solo tendenziale, la loro azione. Il progetto di nuovo codice ha inteso, invece, dedicare una parte generale (la Parte I del Libro I) alla codificazione dei principi che riguardano l’intera materia dei contratti pubblici.

Il nuovo codice, invece, nella consapevolezza dei rischi che sono talvolta correlati a un uso inappropriato dei principi generali (e in particolare alla frequente commistione tra principi e regole), ha inteso affidare alla Parte I del Libro I il compito di codificare solo principi con funzione ordinante e nomofilattica. In questa direzione, si è voluto dare un contenuto concreto e operativo a clausole generali altrimenti eccessivamente elastiche (si veda ad esempio la specificazione del concetto di buona fede, anche ai fini delle reciproche responsabilità della stazione appaltante e dell’aggiudicatario illegittimo), oppure utilizzare la norma-principio per risolvere incertezze interpretative (ad esempio, i principi che delimitano il campo di applicazione del codice, enucleando i rapporti tra appalti e contratti gratuiti da un lato e affidamenti di servizi sociali agli enti del terzo settore dall’altro) o per recepire indirizzi giurisprudenziali ormai divenuti “diritto vivente” (come ad esempio nel caso della norma sulla tassatività delle cause di esclusione e sul correlato regime delle clausole escludenti atipiche).

In generale, attraverso la codificazione dei principi, il nuovo progetto mira a favorire una più ampia libertà di iniziativa e di auto-responsabilità delle stazioni appaltanti, valorizzandone autonomia e discrezionalità (amministrativa e tecnica) in un settore in cui spesso la presenza di una disciplina rigida e dettagliata ha creato incertezze, ritardi, inefficienze. Ciò in quanto la legge – soprattutto un codice – non può inseguire la disciplina specifica di ogni aspetto della realtà, perché si troverà sempre in ritardo, ma deve invece fornire gli strumenti e le regole generali e astratte per regolarla.

Fondamentale, in questo rinnovato quadro normativo, è l’innovativa introduzione dei principi del risultato, della fiducia e dell’accesso al mercato (la cui pregnanza è corroborata dalla stessa scelta sistematica di collocarli all’inizio dell’articolato) i quali, oltre a cercare un cambio di passo rispetto al passato, vengono espressamente richiamati come criteri di interpretazione delle altre norme del codice e sono ulteriormente declinati in specifiche disposizioni di dettaglio (ad esempio, in tema di assicurazioni).

Il principio del risultato enuncia quindi l’interesse pubblico primario del codice, come finalità principale che stazioni appaltanti ed enti concedenti devono sempre assumere nell’esercizio delle loro attività: l’affidamento del contratto e la sua esecuzione con la massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, sempre nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza, che vengono espressamente richiamati.

La concorrenza, in particolare, è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti. Si collega così il risultato, inteso come fine, alla concorrenza, intesa come metodo (sulla scorta di quanto avviene per l’art. 97 Cost., in cui il buon andamento è legato all’imparzialità, al punto da essere stati considerati per lungo tempo una vera e propria endiadi). Il nesso tra “risultato” e “concorrenza”, la seconda in funzione del primo, è già rafforzato dalla dizione del comma 1, dove si specifica che non si persegue “un risultato purché sia”, ma un risultato “virtuoso”, che accresca la qualità, diminuisca i costi, aumenti la produttività, etc. Una diversa impostazione (secondo cui la P.A. non cura più l’interesse pubblico, perché il suo obiettivo diventa la gara) sarebbe, oltre che irragionevole, ancor più difficile da sostenere in un contesto economico-sociale che, nel quadro di un drammatico conflitto bellico, oggi richiede una nuova leva economica, da realizzare anche (e soprattutto) nel settore delle commesse pubbliche.

Si fa efficacemente osservare nella Relazione, come la CGUE, sempre attenta agli aspetti sostanziali del singolo caso, non abbia mai dato seguito ad approcci meramente formalistici, ispirati al solo rispetto della legalità o a una tutela fideistica della concorrenza. Basti pensare al ripetuto rifiuto di ogni automatismo e alla continua valorizzazione dei poteri discrezionali della stazione appaltante, specie in merito all’affidabilità degli operatori economici. Si pensi, ancora, al rapporto tra in house e mercato, rispetto al quale la Corte di giustizia ha tante volte ribadito (pur salvando la disciplina italiana sui limiti all’in house) che il diritto UE non impone il mercato, ma solo il rispetto della concorrenza se si sceglie di andare sul mercato. Il che significa che se un “risultato” può essere realizzato meglio in “autoproduzione”, la P.A. lo può (e forse lo deve) fare, perché il suo compito è curare gli interessi della collettività, che non necessariamente coincide con la sollecitazione proconcorrenziale degli interessi economici delle imprese a competere per avere un contratto.

Significativa, si rammenta, è anche la posizione assunta dalla nostra Corte costituzionale nella sentenza n. 131/2020, sui rapporti tra tutela della concorrenza, da un lato, e solidarietà/sussidiarietà orizzontale dall’altro, dove si afferma che la concorrenza non è un fine, ma uno strumento, che può essere “sacrificato” se ci sono interessi superiori da realizzare. La “demitizzazione” della concorrenza come fine da perseguire ad ogni costo è alla base, inoltre, anche della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 177 del vigente codice appalti (sentenza n. 218/2021, che pure chiarisce che il perseguimento della tutela della concorrenza incontra pur sempre il limite della ragionevolezza e della necessaria considerazione di tutti gli interessi coinvolti).

L’idea che l’Amministrazione in materia di appalti debba perseguire solo la concorrenza rischia, allora, di contrastare con il più generale principio di buon andamento, di cui il “principio del risultato” rappresenta una derivazione “evoluta”, sulle orme di studi di autorevolissima dottrina, che ormai da decenni auspica e teorizza “l’amministrazione del risultato”. Il risultato si inquadra nel contesto della legalità e della concorrenza: ma tramite la sua codificazione si vuole ribadire che legalità e concorrenza da sole non bastano, perché l’obiettivo rimane la realizzazione delle opere pubbliche e la soddisfazione dell’interesse della collettività. Questa “propensione” verso il risultato è caratteristica di ogni azione amministrativa, perché ogni potere amministrativo presuppone un interesse pubblico da realizzare.

L’art. 2 codifica l’innovativo principio della fiducia nell’azione legittima trasparente e corretta delle pubbliche amministrazioni, dei suoi funzionari e degli operatori economici. Si tratta di una segno di svolta rispetto alla logica fondata sulla sfiducia (se non sul “sospetto”) per l’azione dei pubblici funzionari, che si è sviluppata negli ultimi anni, anche attraverso la stratificazione di interventi normativi non sempre coordinati tra loro, e che si è caratterizzata da un lato per una normazione di estremo dettaglio, che mortificava l’esercizio della discrezionalità, dall’altro per il crescente rischio di avvio automatico di procedure di accertamento di responsabilità amministrative, civili, contabili e penali che potevano alla fine rivelarsi prive di effettivo fondamento.

In questa prospettiva, il nuovo codice vuole dare, sin dalle sue disposizioni di principio, il segnale di un cambiamento profondo, che – fermo restando ovviamente il perseguimento convinto di ogni forma di irregolarità – miri a valorizzare lo spirito di iniziativa e la discrezionalità degli amministratori pubblici, introducendo una “rete di protezione” rispetto all’alto rischio che accompagna il loro operato.

In definitiva, il nuovo Codice pare aprire nuovi scenari, creando una discontinuità significativa rispetto all’attuale quadro sistemico-normativo, anche e anzi soprattutto sul piano culturale. Dopo un periodo dominato da una sostanziale percezione e diffusa presunzione di illiceità dell’operato delle pp.aa., era imprescindibile garantire un’iniezione di fiducia nel sistema dei contratti pubblici, specie nella prospettiva di consentire a tale settore di realizzare appieno quella essenziale funzione di leva strategia per la ripresa economico-sociale e morale di tutto il “sistema Paese”.  L’auspicio è che tutti gli attori (legislatore, pubblica amministrazione, magistratura) contribuiscano sinergicamente a garantire l’effettività dei nuovi ambiziosi obiettivi e traguardi delineati nel progetto del nuovo Codice.

Nel chiudere questo ultimo editoriale del 2022, e pur nella consapevolezza delle tante difficoltà che caratterizzano questo periodo, desidero formulare i migliori auguri di un ottimo, sereno e proficuo 2023 a tutti i lettori di Appalti&Contratti!

 

 

Alessandro Massari