Decreto Correttivo codice appalti: l’intervento del relatore Stefano Esposito

15 Marzo 2017
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All’intervento del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio all’8ª Commissione (Lavori pubblici, comunicazioni) nella seduta del 14 marzo (vedi l’articolo in cui nel parliamo), ha fatto seguito quello del relatore Stefano Esposito, il quale ha richiamato preliminarmente il termine del 5 aprile entro il quale le Commissioni parlamentari debbono esprimere il parere al Governo, segnalando che esso risulta particolarmente ristretto, in considerazione sia della oggettiva complessità dello schema di decreto, sia dell’esigenza di acquisire preliminarmente i prescritti pareri del Consiglio di Stato e della Conferenza unificata.

Riportiamo di seguito il resoconto della Commissione relativo all’intervento del Senatore Esposito:

“Nel merito, esprime perplessità su una serie di punti del provvedimento, che sembrano segnare un passo indietro rispetto ad alcune decisioni particolarmente innovative che erano state prese con l’approvazione del decreto legislativo n. 50 del 2016. In primo luogo segnala il rischio di vedere sminuito il ruolo centrale che il nuovo Codice assegna alla progettazione, a causa dell’allargamento delle possibilità di ricorso all’appalto integrato, che implica la messa a gara negli appalti di lavori del solo progetto definitivo, affidando (come avveniva in passato)  anche la progettazione esecutiva a chi realizzerà i lavori. Si tratta di un tema particolarmente delicato, di cui le Commissioni parlamentari cercheranno di evidenziare le possibili criticità.

Altra preoccupazione riguarda il mantenimento dell’obiettivo di riduzione e qualificazione delle stazioni appaltanti, che è un altro degli elementi fondamentali del nuovo Codice. Il fatto che lo schema di decreto correttivo abbia inserito tra le stazioni appaltanti qualificate di diritto anche le città metropolitane e gli enti di area vasta (ossia le ex province) rischia infatti di consentire, insieme ad altre deroghe previste nel Codice, la sopravvivenza di gran parte delle attuali stazioni appaltanti senza che le stesse abbiano fatto sforzi per aumentare la loro qualificazione. Ricorda che tale questione aveva formato oggetto di ampio dibattito anche in occasione dell’esame dello schema di decreto legislativo recante il nuovo Codice degli appalti.

Sull’appalto integrato, prende atto delle indicazioni fornite dal Ministro: tuttavia, se sono certamente condivisibili le deroghe previste per le emergenze di protezione civile e per gli appalti con gare già bandite, ritiene che per altre situazioni come gli appalti di manutenzione ordinaria si rischi un allargamento eccessivo. Né appare convincente la motivazione legata alla esigenza di venire incontro ai problemi segnalati dalle Regioni meridionali. Nel corso dell’indagine conoscitiva sull’attuazione del nuovo Codice condotta dalla Commissione congiuntamente con la Commissione ambiente della Camera dei deputati, di fronte alle doglianze delle Regioni circa il fatto che l’obbligo di mettere a gara il progetto esecutivo avrebbe bloccato gran parte degli appalti di lavori, è stato chiesto di fornire dati precisi a supporto di tali asserzioni, che però non sono mai arrivati. A suo avviso, quindi, molte delle difficoltà segnalate hanno un carattere pretestuoso e nascondono piuttosto la volontà di molte pubbliche amministrazioni di non ricorrere al progetto esecutivo.

Sul subappalto si dice contrario al ritorno al vecchio limite del 30 per cento della categoria prevalente: prende atto della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea, ma ritiene che anche in questo caso si voglia, da parte di taluni operatori, tentare di attuare surrettiziamente una liberalizzazione del settore, con tutte le conseguenze nefaste che su questo fronte sono già state sperimentate in passato.

Condivide invece pienamente la scelta del Governo di rendere obbligatoria e non più solo facoltativa l’introduzione delle clausole sociali negli appalti di servizi ad alta intensità di manodopera. Questo è uno di quei temi sui quali occorre che l’Italia abbia il coraggio di andare contro eventuali riserve dell’Unione europea. Infatti, il carattere meramente facoltativo dell’inserimento ha determinato finora, nel primo anno di vigenza del nuovo Codice, la situazione paradossale che pochissime stazioni appaltanti abbiano applicato le clausole sociali, facendo venire meno l’obiettivo di aumentare le tutele per i lavoratori in un settore particolarmente problematico.

Sulle concessioni autostradali ritiene che la deroga introdotta al limite dell’80 per cento per gli appalti di manutenzione ordinaria produrrà un aumento esponenziale di questi contratti, attraverso il quale molti concessionari potrebbero tentare di aggirare surrettiziamente il vincolo. Il problema occupazionale del settore segnalato dai sindacati e richiamato dal Ministro è certamente reale, ma non può essere utilizzato in maniera strumentale. Peraltro, ritiene che le manutenzioni ordinarie abbiano già un peso alquanto elevato sul totale dei lavori affidati dalle concessionarie autostradali rispetto ai dati forniti dal ministro Delrio.

Infine, segnala un altro problema legato al Codice degli appalti non affrontato dallo schema di decreto in esame. In Europa si sta andando verso la piena libertà di stabilimento per le società organismo di attestazione (SOA), facendo venir meno l’obbligo, previsto attualmente dalla legislazione italiana come requisito per lo svolgimento dell’attività, di avere almeno una sede operativa in Italia. Se passasse tale orientamento, diventerebbe praticamente impossibile garantire i controlli sulla serietà e affidabilità delle SOA ed è prevedibile che, di riflesso, l’intero sistema di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici, imperniato appunto sull’attività di attestazione delle SOA, verrebbe messo a rischio, creando una situazione di totale anarchia.

Condivide infine la scelta di aver escluso espressamente il costo del lavoro dagli elementi dell’offerta assoggettabili al massimo ribasso. Segnala tuttavia anche l’esigenza di vigilare affinché i livelli del costo indicati nelle apposite tabelle del Ministero del lavoro siano rispettati nell’ambito dei contratti di lavoro concretamente applicati da parte delle aziende appaltatrici e subappaltatrici. Ha infatti personalmente verificato che in molte regioni, a fronte dei livelli di costo stabiliti dalle tabelle ministeriali, che sono presi a riferimento per la stesura dei bandi di gara, le aziende appaltatrici e subappaltatrici, anziché applicare i contratti collettivi nazionali, ne utilizzano altri siglati con organizzazioni sindacali non rappresentative e che prevedono minimi salariali molto più bassi, consentendo così alle stesse aziende di lucrare sulla differenza rispetto al costo del lavoro più alto previsto nell’appalto.”

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A cura dei Appalti&Contratti