Il Tar Lazio torna sulla nozione di errore professionale e conferma la possibilità di estenderla anche agli illeciti anticoncorrenziali

I giudici romani hanno ribadito che il concetto normativo di errore professionale di cui all’art. 38, lett. f) d.lgs. 163/2006 è da ritenersi esteso ad ogni comportamento scorretto idoneo ad incidere sulla credibilità professionale dell’operatore economico

9 Aprile 2018
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I giudici romani hanno ribadito che il concetto normativo di errore professionale di cui all’art. 38, lett. f) d.lgs. 163/2006 è da ritenersi esteso ad ogni comportamento scorretto idoneo ad incidere sulla credibilità professionale dell’operatore economico

Rilevanza dell’illecito antitrust ai fini dell’applicazione della norma sul “grave errore nell’esercizio dell’attività professionale” e operatività pro futuro delle misure di self cleaning aziendale è quanto ribadito dal Tar Lazio in occasione del giudizio relativo alle c.d. Gara Sanità e Gara Caserme indette da Consip s.p.a. nel corso del 2014 e del 2015.

Nell’ambito di tali procedure, due concorrenti venivano esclusi dalla stazione appaltante per violazione dell’art. 38, comma 1, lett. f) del vecchio Codice dei Contratti Pubblici in quanto destinatari di un provvedimento sanzionatorio dell’AGCM per “partecipazione ad una pratica concordata anticoncorrenziale”.

L’esclusione veniva contestata in sede giudiziale dagli operatori economici che ne deducevano l’illegittimità per impossibilità di ricomprendere l’illecito antitrust nella nozione di “grave errore professionale” e per l’operatività delle misure di risanamento aziendale adottate dagli stessi a seguito della sanzione.

Dopo aver esaminato la questione, i giudici romani hanno rigettato il ricorso e confermato le valutazioni effettuate da Consip.

La decisione interviene a poche settimane di distanza da un’analoga sentenza del Tar Lazio, la n. 1092 del 2018 (commentata su questo sito in data 9 marzo 2018), emessa con riferimento ad un’altra gara Consip e ampiamente richiamata anche nella pronuncia in commento.

Il campo di applicazione dell’art. 38, comma 1, lett. f) d.lgs. 163/2006

I giudici amministrativi hanno, in primo luogo, ribadito la funzione della norma in esame: consentire all’amministrazione aggiudicatrice di valutare in modo globale l’affidabilità delle imprese che partecipano alle procedure di aggiudicazione delle commesse pubbliche.

A tal fine, è stato valorizzato nella prassi ogni comportamento scorretto idoneo ad incidere sulla credibilità professionale degli operatori economici, compresi gli illeciti antitrust connotati da un elevato grado di gravità anche se non accertati in via definitiva con sentenza passata in giudicato.

Inoltre, chiarisce il Tar, la violazione delle regole della concorrenza rileva anche se posta in essere nella fase precedente alla stipula del contratto.

Tale ultima precisazione trova conferma nella formulazione della norma che individua due ipotesi distinte, aventi in comune l’apprezzamento discrezionale che la stazione appaltante è chiamata ad operare in ordine ai singoli episodi della storia professionale dell’impresa.

Da un lato c’è la “grave negligenza o malafede” correlata expressis verbis alla fase di esecuzione della prestazione contrattuale e dall’altro c’è, invece, il “grave errore professionale” che rappresenta una formula di chiusura di più ampio spettro applicativo e per la quale può assumere rilevanza anche la violazione della cornice legale in cui gli operatori sono chiamati ad operare.

L’operatività delle misure di self cleaning

Con riferimento alle misure di self cleaning aziendale, i giudici romani ricordano che le stesse rappresentano una conseguenza di precedenti condotte illecite.

La loro finalità è quella di mantenere l’operatore economico sul mercato e non quella di sanare l’illiceità delle condotte pregresse.

Pertanto, deve ritenersi che dette misure abbiano una rilevanza esclusivamente pro futuro, relativamente alle gare indette successivamente alla loro adozione.

Tuttavia, conclude il Collegio, per quanto importanti e auspicabili, le misure di risanamento aziendale sono comunque previste come possibili indici di dissociazione rilevanti solo dall’art. 38, comma 1, lett. c) d.lgs. 163/2006 e non sono di per sé idonee a porre nel nulla l’operatività della diversa fattispecie di cui alla successiva lett. f) della medesima disposizione, oggetto di commento.

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irene picardi