La disciplina dell’accesso civico generalizzato di cui al d.lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d.lgs. n. 97 del 2016 trova applicazione nel settore dei contratti pubblici, nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016 e ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni c.d. relative di cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2 del d.lgs. n. 33 del 2013.

Questo è il principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 2 aprile 2020, n. 10

17 Aprile 2020
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Questo è il principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 2 aprile 2020, n. 10, che fornisce anche puntuali chiarimenti sul concorso delle diverse forme di accesso (“documentale” e “civico generalizzato”) e sui presupposti per l’accesso agli atti della fase esecutiva del contratto da parte dell’operatore economico utilmente collocato in graduatoria.

Come è noto, la III Sezione del Consiglio di Stato, chiamata a dirimere una controversia concernente la sussistenza del diritto dell’operatore economico secondo classificato nella graduatoria finale di una gara d’appalto ad avere accesso ai documenti inerenti la fase esecutiva del contratto ai fini di un possibile subentro ex art. 140 del d.lgs. n. 50 del 2016, nel ravvisare un contrasto giurisprudenziale in ordine alle questioni oggetto di giudizio (in particolare tra la tesi da essa sostenuta con la sentenza n. 3780 del 5.6.2019 e quella espressa dalla Sezione V con le sentenze gemelle nn. 5502 e 5503 del 2 agosto 2019) aveva rimesso all’Adunanza Plenaria tre quesiti (cfr. Sez. III, ordinanza n. 8501 del 16.12.2019):

a) se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241/1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore (e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo la regole dello scorrimento della graduatoria);

b) se la disciplina dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016, trovi applicazione, in tutto o in parte, nel settore dei contratti pubblici dei lavori, servizi o forniture, con particolare riguardo alla fase esecutiva delle prestazioni, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dal d.lgs. n. 50 del 2016.

c) se, in presenza di una istanza di accesso ai documenti motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla l. n. 241 del 1990 la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto dell’interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato, di cui al d. lgs. n. 33 del 2013; e se di conseguenza il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria (l. n. 241 del 1990) abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato.

L’Adunanza Plenaria si è pronunciata con la recente sentenza Cons. St., Ad. Plen., 2.4.2020, n. 10, che si caratterizza, nella disamina approfondita delle singole questioni, per la particolare chiarezza delle argomentazioni svolte e per la rilevanza dei principi di diritto enunciati.

Preliminarmente, sotto il profilo processuale, si osserva come il Massimo Consesso abbia dichiarato l’inammissibilità dell’intervento ad opponendum proposto, in questa fase del giudizio, da un Comune coinvolto in vicenda contenziosa di analogo contenuto che si era pertanto dichiarato titolare dell’interesse “a partecipare alla sede giurisdizionale in cui si definisce la regola di diritto da applicare successivamente alla risoluzione della controversia di cui è parte.>>.

Ebbene, l’Adunanza Plenaria ha innanzitutto evidenziato che non è sufficiente a consentire l’intervento la sola circostanza che l’interventore sia parte di un giudizio in cui venga in rilievo una quaestio iuris analoga a quella oggetto del giudizio nel quale intende intervenire, ostandovi <<… l’obiettiva diversità di petitum e di causa petendi che distingue i due processi>>.

Ha quindi escluso che potessero assumere un qualche rilievo, ai fini di consentire l’ammissibilità di tale intervento – non ascrivibile a nessuna delle figure riconducibili all’istituto dell’intervento nel processo amministrativo di cui agli artt. 28 e 97, c.p.a. – le recenti Norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale dell’8 gennaio 2020, <<poiché esse ammettono l’intervento di soggetti titolari di un interesse qualificato, che sia appunto inerente in modo diretto e immediato al concreto rapporto dedotto in giudizio e non semplicemente alle stesse o simili, astratte, questioni di diritto, o al più a tutti quei soggetti privati, senza scopo di lucro, portatori di interessi collettivi e diffusi, attinenti alla questione di costituzionalità, che rivestano il ruolo di c.d. amicus curiae.>>.

Quanto al merito delle questioni sottoposte al suo esame dall’ordinanza di rimessione, l’Adunanza Plenaria ha ritenuto di doverne modificare l’ordine logico-giuridico di prospettazione/trattazione, giudicando la terza questione logicamente antecedente alle altre (<<se, per ipotesi, l’istanza sia stata richiesta e respinta solo per una specifica tipologia di accesso (procedimentale o civico generalizzato), il tema controverso dovrebbe essere limitato all’esistenza dei presupposti del solo accesso richiesto, giacché, come si vedrà, sarebbe precluso al giudice riconoscere o negare in sede giurisdizionale i presupposti dell’altro, se questi non siano stati nemmeno rappresentati in sede procedimentale ab initio dall’istante>>).

E così, alla terza questione (c) A)) doveva seguire la prima (a) →B)) e, quindi, la seconda (b) →C)).

A) (Terzo quesito) – Sulla possibilità (da parte del privato e del giudice) di convertire l’istanza di accesso documentale ex art. 22, l. n. 241 del 1990 in istanza di accesso civico generalizzato.

Con riferimento al terzo quesito posto dall’ordinanza di rimessione, l’Adunanza Plenaria chiarisce, in prima battuta ed in termini generali, che l’istanza di accesso documentale ben può concorrere con quella di accesso civico generalizzato e la pretesa ostensiva può essere contestualmente formulata dal privato con riferimento tanto all’una che all’altra forma di accesso.

A giudizio della Plenaria, depongono in tal senso sia l’art. 5, comma 11 del d.lgs. n. 33 del 2013, il quale statuisce che restano ferme accanto all’accesso civico c.d. semplice (comma 10) e quello c.d. generalizzato (comma 2) anche le diverse forme di accesso degli interessati previste dal capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241, sia la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. Sez. V, 2.8.2019, n. 5503).

Da ciò consegue, evidentemente, che un’istanza di accesso documentale, non accoglibile per l’assenza di un interesse attuale e concreto, possa essere invece accolta sub specie di accesso civico generalizzato, fermi restando i limiti di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 5-bis d.lgs. n. 33 del 2013.

Osserva più in dettaglio la Plenaria che la pubblica amministrazione, nel rispetto del contraddittorio con eventuali controinteressati, deve esaminare l’istanza nel suo complesso, <<nel suo anelito ostensivo>>, ed il riferimento in essa contenuto ai soli presupposti dell’accesso documentale non preclude alla pubblica amministrazione di esaminarla anche sotto il profilo dell’accesso civico generalizzato, salvo il caso in cui il privato abbia inteso espressamente far valere e limitare il proprio interesse ostensivo solo all’uno o all’altro aspetto.

Più specificatamente, in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale della l. n. 241 del 1990 la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b), della l. 241/1990, non può esaminare la richiesta di accesso civico generalizzato, <<a meno che non sia accertato che l’interessato abbia inteso richiedere, al di là del mero riferimento alla l. n. 241 del 1990, anche l’accesso civico generalizzato e non abbia inteso limitare il proprio interesse ostensivo al solo accesso documentale, uti singulus.>>

Laddove non ricorra tale circostanza, infatti, la pubblica amministrazione si pronuncerebbe, con una sorta di <<diniego difensivo “in prevenzione”>>, su una istanza di accesso civico generalizzato, mai proposta.

Dai rilievi che precedono discende, inoltre, che ad eccezione dell’ipotesi in cui il privato abbia strutturato la pretesa ostensiva in termini alternativi, cumulativi o condizionati in sede procedimentale è preclusa allo stesso, in sede di riesame o di ricorso giurisdizionale, di convertire l’istanza da un modello all’altro, generando una inversione tra procedimento e processo (<<Electa una via in sede procedimentale alla parte è preclusa la conversione dell’istanza da un modello all’altro>>.

A maggior ragione, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina di cui alla l. n. 241 del 1990 il giudice non può accertare la sussistenza del diritto del richiedente secondo i più ampi parametri (di legittimazione attiva) stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato, stante l’impossibilità di convertire in sede di ricorso giurisdizionale il titolo dell’accesso rappresentato all’amministrazione e/o di modificare in corso di causa il titolo dell’actio ad exhibendum formalizzata, pena la violazione del divieto di mutatio libelli e di introduzione di ius novorum.

Alla luce dei suesposti rilievi, l’Adunanza Plenaria ha quindi enunciato il seguente principio di diritto:

<<a) la pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della l. n. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adìto ai sensi dell’art. 116 c.p.a., possa mutare il titolo dell’accesso, definito dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all’esito del procedimento>>

B. (Primo quesito) – Sull’interesse diretto concreto ed attuale ex art. 22, comma 1, lett. b), l. 241 del 1990 dell’operatore economico utilmente collocato in graduatoria ad avere accesso agli atti della fase esecutiva.

Con riferimento al primo quesito, la Plenaria ha affermato, in linea generale e con espressione perentoria, che gli operatori economici che abbiano preso parte alla gara sono legittimati ad accedere agli atti della fase esecutiva, con le limitazioni di cui all’art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016, laddove questi abbiano un interesse attuale, concreto e diretto a conoscere tali atti.

L’assunto è motivato sulla base della considerazione che anche la fase di esecuzione del contratto si connota per una rilevanza pubblicistica – come testimonia la serie di disposizioni speciali contenute nel d.lgs. n. 50 del 2006 (cfr., ad es.: gli artt. 32, comma 12 e 33, comma 2 sui controlli di legittimità dell’aggiudicatario; l’art. 108, comma 1 e 176, commi 1 e 2; l’art. 108, comma 3; l’art. 110, comma 2) – dovendo essa <<rispecchiare e rispettare>> l’esito della gara condotto secondo le regole della trasparenza, della non discriminazione e della concorrenza, che sorregge situazioni sostanziali e strumentali di altri soggetti privati, <<in primis il diritto a una corretta informazione sulle vicende contrattuali>>.

Osserva, pertanto, la Plenaria che <<l’esecuzione del pubblico contratto o della pubblica concessione … non è una “terra di nessuno”>>, essendo soggetta non solo al controllo dei soggetti pubblici, ma <<anche alla verifica e alla connessa conoscibilità da parte di eventuali soggetti controinteressati al subentro, o se del caso alla riedizione della gara>>.

La questione su cui occorre interrogarsi non riguarda, dunque, l’astratta configurabilità in capo ai soggetti che abbiano partecipato alla gara e non ne siano stati definitivamente esclusi per l’esistenza di preclusioni che impedirebbero loro di partecipare a qualsiasi gara (ad esempio per essere stati colpiti da un’informazione antimafia) dell’interesse a conoscere gli atti della fase esecutiva, ma quando possa assumersi che tale interesse si manifesti come attuale, concreto e diretto.

A tale interrogativo la Plenaria risponde affermando che la legittimazione allo svolgimento del rapporto contrattuale va riconosciuta soltanto qualora l’interesse dell’istante <<preesista all’istanza di accesso>> – per il concreto ricorrere, ad esempio, di una delle situazioni che legittimerebbe la risoluzione del rapporto con l’appaltatore (v. art. 108, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 50 del 2016) e potrebbero indurre l’amministrazione a scorrere la graduatoria – <<e non ne sia invece conseguenza>>, il che si verificherebbe qualora l’istanza di accesso documentale fosse impiegata, con finalità esplorative, per costruire le premesse affinché tale interesse sorga ex post.

L’accesso documentale deve, infatti, soddisfare un bisogno di conoscenza (c.d. need to know) strumentale alla difesa di una situazione giuridica già esistente o chiaramente delineatasi e non un desiderio di conoscenza finalizzato ad un controllo generalizzato sulle attività delle pubbliche amministrazioni vietato dall’art. 24, comma 4, della l. n. 241 del 1990 ed il cui riconoscimento presupporrebbe la configurabilità in capo all’operatore economico di una sorte di super legittimazione di stampo popolare a conoscere gli atti della fase esecutiva, per il solo fatto di aver partecipato alla gara.

Alla luce dei suesposti rilievi, l’Adunanza Plenaria ha quindi enunciato il seguente principio di diritto:

<< b) è ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale>>.

C. (Secondo quesito) – Sull’applicabilità della disciplina dell’accesso civico generalizzato al settore dei contratti pubblici.

In relazione al secondo quesito, il più rilevante, l’Adunanza Plenaria ricorda come coesistano nella giurisprudenza del Consiglio di Stato due orientamenti contrastanti facenti capo rispettivamente alla sentenza della Sez. III, 5 giugno 2019, n. 3780 e alle sentenze gemelle della Sez. V, 2 agosto 2019, n. 5502 e n. 5503.

Ripercorse le due diverse posizioni (in ordine alle quali sia consentito rinviare al contributo pubblicato su questa rivista lo scorso febbraio: cfr. E. Papponetti “E’ rimessa all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la problematica relativa all’applicabilità della disciplina dell’accesso civico generalizzato nel settore dei contratti pubblici.”), l’Adunanza Plenaria mostra di aderire all’orientamento espresso dalla Sezione III, dichiarando che l’accesso civico generalizzato deve trovare applicazione anche alla materia dei contratti pubblici.

In particolare, l’Adunanza Plenaria motiva tale affermazione sulla base delle seguenti ragioni, desumibili almeno in parte dai principi generali che tratteggiano le due tipologie di accesso (documentale e civico generalizzato)

Ricorda, innanzitutto, la Plenaria che mentre nell’accesso documentale trova protezione un interesse individuale, attraverso il soddisfacimento del bisogno di conoscere – il c.d. need to know – strumentale alla tutela di una situazione giuridica pregressa, l’accesso civico generalizzato è finalizzato a garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa nel quale l’interesse individuale alla conoscenza – il c.d. right to know – è protetto in sé, laddove non vi siano contrarie ragioni di interesse pubblico o privato, espresse dalle cc.dd. eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013.

Rileva, inoltre, che anche la Corte costituzionale (sent. n. 20 del 21 febbraio 2019) ha rimarcato che il diritto dei cittadini ad accedere ai dati in possesso della pubblica amministrazione, sul modello del c.d. FOIA (Freedom of information act), risponde a principi di pubblicità e trasparenza e che lo stesso art. 1, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013, stabilisce che le disposizioni di tale decreto, tra le quali anzitutto quelle dettate per l’accesso civico, costituiscono livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, a norma dell’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.. (in questo senso, <<il diritto di accesso civico è precondizione per l’esercizio di ogni altro diritto fondamentale nel nostro ordinamento>>).

La natura fondamentale del diritto di accesso civico generalizzato, oltre che essere evincibile dagli artt. 1, 2, 97 e 117 Cost e riconosciuta dall’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea per gli atti delle istituzioni europee trova infine fondamento nell’art. 10 CEDU, il quale come è noto stabilisce, al comma 1, che ogni persona ha diritto alla libertà di espressione e che tale diritto include «la libertà di ricevere […] informazioni […] senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche», e al successivo comma 2 che l’esercizio delle libertà garantite «può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica».

L’Adunanza Plenaria pone, quindi, la propria attenzione sul contenuto dell’art. 5-bis, comma 3 del d.lgs. n. 33 del 2013 (il diritto di cui all’art.5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990”.) – che aveva determinato l’insorgere del noto contrasto giurisprudenziale – evidenziandone l’<<infelice formulazione>> e ritenendo preferibile una sua lettura unitaria, <<evitando di scomporla e di trarne con ciò stesso dei nuovi, autonomi l’uno dagli altri, limiti, perché una lettura sistematica, costituzionalmente e convenzionalmente orientata, impone un necessario approccio restrittivo (ai limiti) secondo una interpretazione tassativizzante.>>.

Secondo il Massimo Consesso la disposizione <<non può essere intesa nel senso di esentare dall’accesso generalizzato interi ambiti di materie per il sol fatto che esse prevedano casi di accesso limitato e condizionato, compresi quelli regolati dalla l. n. 241 del 1990>>; aderendo ad un diverso approccio interpretativo, infatti, <<il principio di specialità condurrebbe sempre all’esclusione di quella materia dall’accesso, con la conseguenza, irragionevole, che la disciplina speciale o, addirittura, anche quella generale dell’accesso documentale, in quanto e per quanto richiamata per relationem dalla singola disciplina speciale, assorbirebbe e “fagociterebbe” l’accesso civico generalizzato.>>.

Verrebbe meno, in altri termini, il concorso tra le due forme di accesso – documentale e civico generalizzato – che per quanto problematico è fatto salvo dall’art. 5, comma 11 del d. lgs. n. 33 del 2013, che mantiene ferme «le diverse forme di accesso degli interessati previste dal Capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241».

L’art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33 del 2013 ha dunque inteso rammentare che vi sono casi di eccezioni assolute, e che occorre pertanto indagare e verificare se il filtro posto dal Legislatore a determinati casi di accesso sia radicalmente incompatibile con l’accesso civico generalizzato quale esercizio di una libertà fondamentale.

Un diverso ragionamento, che identificasse interi ambiti di materia esclusi dall’applicazione dell’accesso civico generalizzato, avallerebbe il rischio che <<i casi del comma 3 dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013, si trasformino in un “buco nero” della trasparenza>>.

Osserva, inoltre, la Plenaria che neanche le previsioni contenute nell’art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016 possono determinare ex se l’esclusione in assoluto dell’intera materia dei contratti pubblici dall’applicazione dell’accesso civico generalizzato.

Ed invero, una volta venute meno le ragioni che giustificano i limiti, le condizioni o le modalità di accesso previsti dalla suindicata disposizione normativa sia sul piano temporale che contenutistico, l’accesso civico generalizzato <<opera di diritto, senza che sia necessaria nel nostro ordinamento una specifica disposizione di legge che ne autorizzi l’operatività anche in specifiche materie …, con la conseguenza che l’accesso civico generalizzato, ferme le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 33 del 2013, è ammissibile in ordine agli atti della fase esecutiva.>>

Con riferimento alla materia dei contratti pubblici, le esigenze di accesso civico generalizzato, assumono, del resto una particolare e più pregnante connotazione, perché costituiscono la «fisiologica conseguenza» dell’evidenza pubblica (<<ciò che è pubblicamente evidente, per definizione deve essere anche pubblicamente conoscibile salvi ovviamente i limiti di legge>>); in questa materia l’accesso civico generalizzato deve pertanto ritenersi non solo consentito, ma doveroso perché connaturato all’essenza stessa dell’attività contrattuale pubblica e opera, in funzione della c.d. trasparenza reattiva, soprattutto in relazione a quegli atti, rispetto ai quali non vigono i pur numerosi obblighi di pubblicazione (c.d. trasparenza proattiva) previsti.

Sarà, in definitiva, rimesso alla pubblica amministrazione il compito di effettuare un adeguato e proporzionato bilanciamento degli interessi coinvolti, ovvero l’interesse pubblico alla conoscibilità e il danno all’interesse-limite, pubblico o privato, alla segretezza e/o alla riservatezza (secondo i criteri utilizzati anche in altri ordinamenti, quali il cd. test del danno (harm test) o il c.d. public interest test o public interest override (art. 4, par. 2, del reg. (CE) n. 1049/2001).

Al tale proposito, merita evidenziare come l’Adunanza Plenaria abbia anche precisato che l’interesse del richiedente potrebbe non necessariamente essere altruistico o sociale ma certamente <<non deve essere pretestuoso o contrario a buona fede>>, con la conseguenza che sarà possibile e doveroso evitare e respingere le richieste <<manifestamente onerose o sproporzionate>> così come quelle <<massive>> o <<vessatorie>>, dettate dal solo intento emulativo.

Alla luce dei suesposti rilievi, l’Adunanza Plenaria ha quindi enunciato il seguente principio di diritto:

<<c) la disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l’eccezione del comma 3 dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l’art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza.>>

Ernesto Papponetti