Nelle gare per l’affidamento di servizi di ingegneria e architettura la legge sull’equo compenso non consente di formulare ribassi sui compensi professionali.

A cura di Michele Di Michele

22 Aprile 2024
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A seguito dell’entrata in vigore della legge n. 49/2023 in materia di “equo compenso”, le tariffe stabilite dal D.M. 17 giugno 2016 devono essere considerate un parametro vincolante e inderogabile per la determinazione dei corrispettivi negli appalti di servizi di ingegneria e di architettura, con la conseguente impossibilità per gli operatori economici di sottoporre a ribasso l’importo posto a base di gara definito dalle stazioni appaltanti, se non limitatamente alla componente delle spese generali e oneri accessori, da non considerarsi quali componenti del compenso in senso proprio

Indice

1. Premessa

Il TAR Veneto, Sez. III (sentenza n. 632 del 3 aprile 2024), ha enunciato il principio di diritto secondo cui, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 49/2023 in materia di “equo compenso”, le tariffe stabilite dal D.M. 17 giugno 2016 non costituiscono più un mero criterio o base di riferimento per le Stazioni Appaltanti ai fini dell’individuazione dell’importo da porre a base di gara dell’affidamento, ma rappresentano, di contro, un parametro vincolante e inderogabile per la determinazione dei corrispettivi negli appalti di servizi di ingegneria e di architettura, non ribassabile dall’operatore economico, trattandosi di “equo compenso” il cui ribasso si risolverebbe, essenzialmente, in una proposta contrattuale volta alla conclusione di un contratto pubblico contrastante con una norma imperativa.
Ciononostante, essendo l’”equo compenso” solo una delle componenti che concorrono a definire il “prezzo” quantificato dall’Amministrazione, l’operatività del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa è fatta salva conservando l’operatore economico la possibilità di formulare la propria offerta economica ribassando le voci estranee al compenso, ossia le spese e gli oneri accessori.

2. Il caso di specie

La questione oggetto della sentenza in commento era sorta nell’ambito di una procedura di gara indetta da AULSS n. 4 “Veneto Orientale” per l’affidamento dell’incarico di progettazione e coordinamento della sicurezza inerente a lavori di adeguamento alla normativa di prevenzione incendi e antisismica.

Il raggruppamento temporaneo di professionisti ricorrente, collocatosi nella graduatoria finale al quinto e settimo posto nei due lotti di gara, denunciava che (come appreso, a seguito di accesso agli atti), fatta eccezione per il ricorrente, tutti gli operatori economici partecipanti avevano formulato offerte economiche con ribasso sui compensi, in violazione delle norme sull’equo compenso di cui alla l. n. 49/2023 e ciò sebbene la Stazione appaltante, come espressamente dalla stessa affermato, avesse tenuto conto di tali norme nel sub procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta.

Il ricorrente impugnava dunque l’aggiudicazione unitamente alla presupposta lex di gara, evidenziando come, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 49/2023 in materia di “equo compenso”, le tariffe stabilite dal D.M. 17 giugno 2016 non possano più costituire un mero criterio o base di riferimento per le Stazioni Appaltanti ai fini dell’individuazione dell’importo da porre a base di gara dell’affidamento, dovendo di contro essere considerate un parametro vincolante e inderogabile per la determinazione dei corrispettivi negli appalti di servizi di ingegneria e di architettura, con la conseguente impossibilità per gli operatori economici di sottoporre a ribasso la componente “compensi”. Ciò in quanto la legge sul c.d. “equo compenso” ha stabilito che al professionista intellettuale, all’esito della gara o dell’affidamento, deve essere riconosciuto un corrispettivo proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, presumendosi tale equità qualora il corrispettivo venga determinato ai sensi dei decreti ministeriali adottati in base all’art. 9 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1.

In questa logica, la Stazione Appaltante, pur apparentemente applicando tali principi (nel corso del sub procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta), non li avrebbe utilizzati correttamente, posto che tutti gli operatori economici, incluso l’aggiudicatario, avevano formulato ribassi rispetto all’importo a base di gara tali da comportare una riduzione del compenso per l’attività di progettazione rispetto a quello “equo” determinato ai sensi del D.M. 17 giugno 2016.

Il ricorrente evidenziava inoltre che, anche in mancanza di una esplicita previsione in tal senso nella lex di gara, la stessa dovesse comunque considerarsi eterointegrata in ragione del carattere imperativo delle norme sull’equo compenso.

Chiarito l’oggetto della controversia, e prima di passare all’esame della sentenza in commento, si premette una sintetica ricognizione della disciplina sull’equo compenso e sui primi orientamenti espressi da ANAC circa la sua applicazione alle gare pubbliche per l’affidamento di servizi di ingegneria e architettura.

2.1 La legge sull’equo compenso

La legge 21 aprile 2023, n. 49 (recante “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali”), stabilisce, all’art. 1, che “…per equo compenso si intende la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti rispettivamente:… b) per i professionisti iscritti agli ordini e collegi, dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27”.
L’art. 2, comma 3, estende l’ambito di applicazione delle norme alle prestazioni rese dai professionisti in favore della pubblica amministrazione.
L’art. 3, comma 1, stabilisce, poi, che “Sono nulle le clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, tenendo conto a tale fine anche dei costi sostenuti dal prestatore d’opera; sono tali le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale…”. La nullità delle singole clausole non comporta la nullità del contratto, che rimane valido ed efficace per il resto. La nullità opera solo a vantaggio del professionista ed è rilevabile d’ufficio (art. 3, comma 4).

Inoltre, l’art. 3, comma 5, prevede che “La convenzione, il contratto, l’esito della gara, l’affidamento, la predisposizione di un elenco di fiduciari o comunque qualsiasi accordo che preveda un compenso inferiore ai valori determinati ai sensi del comma 1 possono essere impugnati dal professionista innanzi al tribunale competente per il luogo ove egli ha la residenza o il domicilio, al fine di far valere la nullità della pattuizione e di chiedere la rideterminazione giudiziale del compenso per l’attività professionale prestata”.

Infine, l’art. 12 ha disposto l’abrogazione dell’art. 2, comma 1, lettera a) del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, che aveva eliminato dall’ordinamento l’obbligatorietà del ricorso a tariffe fisse o minime.

2.2. L’applicazione dell’equo compenso nelle procedure ad evidenza pubblica secondo ANAC

In data 7 luglio 2023, ANAC ha segnalato al Governo la necessità di chiarire se attraverso la legge n. 49 del 2023 il legislatore abbia reintrodotto dei parametri professionali minimi e, in caso positivo, quale possa essere il ribasso massimo che conduce a ritenere il compenso equo nell’ambito delle procedure di affidamento dei servizi di ingegneria e di architettura.

Nel citato documento l’Autorità ha illustrato tre possibili soluzioni, riprodotte poi nel testo del bando tipo n. 2/2024 in consultazione, ovvero:

(i) procedure di gara a prezzo fisso, con competizione limitata alla sola parte tecnica;
(ii) procedure di gara da aggiudicare secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in cui l’importo a base d’asta è limitato alle sole spese generali;
(iii) inapplicabilità della disciplina dell’equo compenso alle procedure di evidenza pubblica, con conseguente ribassabilità dell’intero importo posto a base di gara.

Come vedremo, il Tar Veneto nella sentenza in commento si è attestato sulla seconda opzione delle tre ipotizzate da ANAC ammettendo il ribasso limitatamente alle spese generali e agli oneri accessori, fermo il compenso ritenuto non ribassabile.

Nelle more di un intervento chiarificatore del legislatore sul punto, ANAC ha avuto modo di esprimersi con due pareri precontenzioso mediante cui sono state tuttavia raggiunte conclusioni tra loro discordanti.
Con un primo parere precontenzioso (n. 343 del 20 luglio 2023), veniva espresso il principio per cui la citata novella normativa, sembrerebbe aver previsto non solo l’inderogabilità delle tabelle ministeriali nella determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara – e, dunque, il superamento dell’indirizzo giurisprudenziale, inaugurato dal Consiglio di Stato con la sentenza 29 marzo 2019, n. 2094, secondo il quale alle Stazioni appaltanti è consentito, in sede di determinazione della base d’asta, di discostarsi motivatamente dai parametri ministeriali – ma, altresì, l’impossibilità di utilizzare i tradizionali criteri di aggiudicazione (ossia del prezzo più basso e dell’offerta economicamente più vantaggiosa), pena la corresponsione di un importo finale non in linea con le citate tabelle, conseguendone che “alla luce del nuovo quadro normativo sembra potersi ipotizzare che le procedure di gara aventi ad oggetto l’affidamento dei servizi tecnici dovrebbero essere costruite come gare “a prezzo fisso”, con competizione limitata alla componente qualitativa“.

Con un secondo parere di precontenzioso (n. 101 del 28 febbraio 2024), ANAC, rivedendo la posizione precedentemente espressa, ha stabilito, in una procedura di gara finalizzata all’affidamento di servizi di ingegneria e architettura, la legittimità di una proposta contrattuale formulata con una percentuale di ribasso che intacca anche il compenso professionale (oltre alle spese) e ciò in base alla considerazione per cui, in presenza di un quadro normativo poco chiaro, non sarebbe consentita l’eterointegrazione del bando di gara da ritenersi – in ragione della sua attitudine ad incidere in maniera significativa sull’affidamento che la platea dei potenziali concorrenti deve poter nutrire sulla chiarezza, precisione ed univocità delle condizioni richieste per l’accesso alle procedure evidenziali – “dispositivo del tutto eccezionale, suscettibile di operare solo in presenza di norme di settore a generale attitudine imperativa, la cui deroga sia in principio preclusa alle opzioni programmatiche della stessa amministrazione aggiudicatrice (Cons. Stato, 28 agosto 2019, n. 5922)“.

2.3 La decisione del TAR Veneto.

Sul controverso tema dell’applicazione dell’equo compenso agli affidamenti dei servizi di ingegneria e architettura è intervenuto, con la sentenza in commento, per la prima volta il giudice amministrativo stabilendo il principio per cui, all’indomani della entrata in vigore della legge 49/2023 sull’equo compenso, l’importo posto a base di gara definito dalle stazioni appaltanti con riferimento alle tabelle di cui al Dm 17 giungo 2016 non può essere oggetto di ribasso, se non limitatamente alla componente delle spese generali e oneri accessori, che non vanno considerati in termini di compenso in senso proprio.

La pronuncia è intervenuta in riferimento ad una procedura di gara retta dal previgente D.Lgs. 50/2016. Tuttavia, le considerazioni ivi contenute sembrano avere una portata di carattere generale, come tali riferibili anche alla disciplina contenuta nel nuovo Codice.

Passando all’esame della pronuncia, in via preliminare il Tar Veneto esamina l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dall’amministrazione resistente in relazione all’eventuale onere di immediata impugnazione del bando che, consentendo il ribasso dell’importo a base di gara, si ritenga in violazione della normativa sull’equo compenso. Secondo l’eccezione di inammissibilità, infatti il ricorrente avrebbe dovuto impugnare immediatamente il bando di gara per farne valere l’illegittimità in quanto lo stesso, non consentendo la formulazione di una offerta secondo le modalità imposte dalla legge n. 49/2023, risulterebbe immediatamente lesivo della sua posizione giuridica.

L’eccezione veniva respinta dal Tar in base alla considerazione per cui, per giurisprudenza consolidata, il bando di gara, in quanto atto amministrativo generale, deve ritenersi non immediatamente impugnabile fatta eccezione per le cd. clausole escludenti, ossia quelle clausole che con assoluta e oggettiva certezza incidono direttamente sull’interesse delle imprese, precludendo, per ragioni oggettive e non di normale alea contrattuale, un’utile partecipazione alla gara dell’operatore economico e la possibilità di formulare un’offerta oggettivamente competitiva.

Secondo il TAR, questa ipotesi non ricorrerebbe nel caso di specie, in quanto l’operatore economico avrebbe comunque potuto presentare un’offerta nel rispetto della normativa sull’equo compenso: per arrivare a tale risultato, infatti, sarebbe stata sufficiente “la formulazione di un ribasso che, applicato percentualmente all’importo a base di gara, non implicasse la proposizione di un’offerta economica inferiore ai compensi equi quantificati dall’Amministrazione“.

Né l’inammissibilità del ricorso potrebbe derivare, come ulteriormente eccepito dall’amministrazione resistente, dal fatto che il ricorrente avesse operato il ribasso d’asta sull’unica voce indicata nella modulistica di gara relativa al complessivo prezzo a base di gara comprensivo di ogni tipo di spese e compensi accessori. Di fronte a un Disciplinare di gara che richiedeva di formulare un ribasso sull’intero importo a base di gara, lo stesso deve essere inteso (argomentandosi anche sulla scorta della giurisprudenza comunitaria formatasi in materia di mancata indicazione separata dei costi della manodopera) nel senso che il ricorrente non poteva che riporre affidamento sulla correttezza della modulistica predisposta dalla Stazione appaltante e, al tempo stesso, sulla circostanza per la quale la sua offerta, a prescindere dalla dicitura imposta per la formulazione dei ribassi economici, sarebbe stata valutata in conformità alle norme dell’ordinamento giuridico rilevanti nel caso concreto (comprese le previsioni della legge n. 49/2023).

In sostanza, qualora la modulistica di gara non consenta di scorporare la componente del prezzo relativa al compenso, i ribassi operati dagli operatori economici dovranno necessariamente essere imputati alle componenti del prezzo esterne al compenso, ossia le spese generali e gli oneri accessori.
Nel merito, il Tar Veneto ha ritenuto che la disciplina sull’equo compenso sia pienamente applicabile agli affidamenti di appalti pubblici di progettazione, conseguendone che il compenso determinato dall’Amministrazione ai sensi del D.M. 17 giugno 2016 non è ribassabile dall’operatore economico pena la formulazione di una proposta contrattuale volta alla conclusione di un contratto pubblico gravato da una nullità di protezione e contrastante con una norma imperativa.

Il TAR ha escluso che tale conclusione determini una antinomia tra la legge 49/2023 e la disciplina dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. 50/2016 (applicabile ratione temporis), come invece sostenuto dall’Amministrazione resistente secondo cui l’adozione di un compenso fisso non ribassabile limiterebbe la competizione alla sola componente tecnica dell’offerta con una evidente compromissione del confronto competitivo garantito dalla disciplina dei contratti pubblici dal criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Il Tar evidenzia infatti che, anche successivamente all’entrata in vigore della legge n. 49/2023, il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa in ragione del rapporto qualità/prezzo, resti comunque applicabile stante la libertà per l’operatore economico di formulare la propria offerta economica ribassando le voci estranee al compenso, ossia le spese e gli oneri accessori.

Siffatta conclusione“, si afferma nella pronuncia in esame, “oltre ad assicurare la coerente e coordinata applicazione dei due testi normativi, consente di escludere che la legge n. 49/2023 produca di per sé effetti anti concorrenziali o in contrasto con la disciplina dell’Unione Europea“.

Continuando nel suo iter argomentativo, il giudice amministrativo giunge ancora ad affermare che, nonostante la lex di gara non avesse esplicitamente previsto la non ribassabilità del compenso, tale lacuna può ritenersi colmata sulla base del principio dell’eterointegrazione, stante la natura imperativa della normativa sull’equo compenso.
La natura imperativa della normativa sull’equo compenso – che consente di integrare dall’esterno le previsioni del Disciplinare – è associata non solo alla previsione testuale della nullità ma anche al fatto che lo scopo della normativa è quello di assicurare al professionista quale “contraente debole” nei confronti del “committente forte” il diritto a un’equa retribuzione del lavoro. Inoltre il carattere imperativo sarebbe rafforzato proprio in relazione alle prestazioni di cui sia committente una pubblica amministrazione, rispetto alle quali vengono in considerazione “interessi generali ulteriori correlati alla tutela della concorrenza e della par condicio dei concorrenti in gara” oltre che quelli legati alla qualità delle prestazioni degli affidatari dei servizi di progettazione.

Il Tar afferma infine la compatibilità delle predette conclusioni con i principi eurounitari di libertà di stabilimento, di prestazione di servizi e di libera concorrenza nel mercato europeo. Ciò, in quanto “il meccanismo derivante dall’applicazione della legge n. 49/2023 è tale da garantire sia dei margini di flessibilità e di competizione anche sotto il profilo economico, sia la valorizzazione del profilo qualitativo e del risultato, in piena coerenza con il dettato normativo nazionale e dell’Unione Europea. In particolare, si ricorda che, sin dalle direttive del 2014, il legislatore dell’UE ha voluto superare il criterio del minor prezzo quale strumento predominante di aggiudicazione delle pubbliche gare, favorendo il ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che consente alla Stazione appaltante di strutturare l’aggiudicazione valorizzando la qualità dell’offerta tecnica, ma anche considerazioni ambientali, aspetti sociali o innovativi, pur tenendo conto del prezzo e dei costi“.

3. Considerazioni conclusive

Secondo il Tar Veneto la normativa sull’equo compenso non pregiudicherebbe l’accesso al libero mercato, in condizioni di concorrenza, ad operatori di altri Stati membri.

Tale statuizione si fonda sull’assunto fondamentale per cui la finalità della normativa sull’equo compenso è essenzialmente quella di tutelare il “contraente debole”, salvaguardando nel contempo la qualità delle prestazioni, costituendo dunque un rafforzamento delle tutele e dell’interesse alla partecipazione alle gare pubbliche.
In tale logica, il Tar Veneto sembra dunque sovrapporre il principio comunitario del libero accesso al mercato a quello della tutela della concorrenza, in maniera tale che, se l’accesso al mercato è garantito, anche il principio di concorrenzialità è rispettato.

Tale prospettazione non appare del tutto convincente. È evidente infatti che la libera concorrenza, per poter essere effettiva, presuppone (non solo la libertà di accesso al mercato garantita dall’eliminazione degli ostacoli alla partecipazione alle gare pubbliche, ma altresì) una competizione tra offerte che devono poter essere confrontate non solo sotto il profilo qualitativo, ma anche sotto quello economico.

Non a caso, l’ordinamento comunitario privilegia il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, mentre solo in rari casi (ed in relazione a fattispecie del tutto peculiari) ammette la legittimità delle tariffe minime.

Tale prospettiva viene invece decisamente invertita con la pronuncia in esame, secondo cui sarebbe conforme alla disciplina comunitaria una normativa nazionale che, per un’intera categoria di affidamenti complessivamente considerati, non consente lo svolgimento della concorrenza anche sul prezzo offerto.
A tale riguardo, non convince del tutto la soluzione “di compromesso” adottata dal TAR per salvaguardare il gioco concorrenziale costituita dalla possibilità di effettuare il ribasso sulle sole spese generali e oneri accessori. È evidente infatti che si tratti di elementi, per l’appunto, accessori e di rilievo economico marginale, inadeguati a consentire una concorrenza effettiva sull’elemento economico dell’offerta.

Si osserva infine che la pronuncia in commento riguarda una procedura di gara indetta nella vigenza del vecchio D.Lgs. 50/2016, ma che i principi affermati sembrano tuttavia potersi riferire anche alla disciplina del nuovo codice appalti (che, anzi, all’art. 8 oggi prevede espressamente che le Pubbliche Amministrazioni, salvo ipotesi eccezionali di prestazioni rese gratuitamente, devono garantire comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso nei confronti dei prestatori d’opera intellettuale).

In conclusione (ed in attesa di un possibile – quanto auspicato – intervento legislativo chiarificatore), visti gli evidenti profili critici che emergono dall’interpretazione offerta dal Tar Veneto, appare probabile che sul tema della portata applicativa della normativa sull’equo compenso alle gare pubbliche possano esservi in futuro altre pronunce del giudice amministrativo anche del Consiglio di Stato.

Michele Di Michele