In house 2.0: alla CGUE una nuova questione pregiudiziale sugli spazi per l’affidamento diretto in assenza di controllo analogo

A cura di Aldo Iannotti della Valle

3 Dicembre 2020
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La IV Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza n. 7161 del 18 novembre 2020, ha disposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di una questione interpretativa concernente la legittimità di un affidamento diretto di un servizio pubblico, effettuato in assenza del requisito del controllo analogo, qualora l’operatore economico affidatario sia stato individuato a seguito di pubblica gara effettuata “a monte” quale “successore” di una società in house.

La questione di pregiudizialità su cui si interroga la Corte di Giustizia dell’Unione europea, sollevata dal Consiglio di Stato ai sensi dell’art. 267 TFUE, è la seguente:

«se l’art. 12 della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 osti ad una normativa nazionale la quale imponga un’aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a seguito della quale l’operatore economico succeduto al concessionario iniziale a seguito di operazioni societarie effettuate con procedure trasparenti, comprese fusioni o acquisizioni, prosegua nella gestione dei servizi sino alle scadenze previste, nel caso in cui:

(a) il concessionario iniziale sia una società affidataria in house sulla base di un controllo analogo pluripartecipato;

(b) l’operatore economico successore sia stato selezionato attraverso una pubblica gara;

(c) a seguito dell’operazione societaria di aggregazione i requisiti del controllo analogo pluripartecipato più non sussistano rispetto a taluno degli enti locali che hanno in origine affidato il servizio di cui si tratta».

Con il quesito, in sostanza, si chiede alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di chiarire se sia legittimo, in una specifica ipotesi, effettuare un affidamento diretto del servizio anche quanto i relativi presupposti, con specifico riferimento al requisito del controllo analogo, non sussistano più.

Come è noto, l’art. 5, d.lgs. n. 50/2016, che ricalca la formulazione dell’art. 12, Direttiva 2014/24/UE, afferma che, per potersi procedere ad affidamento diretto in house, debbano sussistere congiuntamente tutti i seguenti requisiti:

a) «l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;

b) oltre l’80 per cento delle attività della persona giuridica controllata è effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore di cui trattasi;

c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati le quali non comportano controllo o potere di veto previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata».

Solo in presenza di detti requisiti, può legittimamente parlarsi di società in house, considerata equiparabile in tutto e per tutto ad un “ufficio interno” dell’ente pubblico che l’ha costituita. La contemporanea presenza di tutti e tre i requisiti giustifica, quindi, che si proceda ad affidamento diretto, prescindendo da una procedura di evidenza pubblica, dal momento che si tratterebbe di una vera e propria erogazione di servizi pubblici attraverso strumenti “propri” dell’Amministrazione (cfr., ex multis, il parere del Consiglio di Stato dell’8 novembre 2018, n. 2583, già commentato su questo sito).

La deroga al possesso degli anzidetti requisiti, nel caso di specie, sarebbe eventualmente resa possibile dal previo espletamento di una pubblica gara per l’individuazione del soggetto aggregatore dell’originaria società in house ed è sulla base di tale circostanza che il Consiglio di Stato si interroga sulla legittimità di un affidamento diretto, pur nella conclamata assenza del requisito del controllo analogo.

Nel sollevare la questione pregiudiziale, dopo aver esposto i dubbi che legittimerebbero il rinvio, il Consiglio di Stato prende anche posizione e segnala alla Corte la propria opzione interpretativa, auspicandone autorevole conferma (cfr. punto 5, “punto di vista del giudice del rinvio”).

In breve, il Consiglio di Stato suggerisce che un affidamento diretto sia comunque possibile quando il principio di concorrenza, che regola la materia, sia tutelato dal previo esperimento di una pubblica gara “a monte”, anche se questa gara abbia ad oggetto l’individuazione del soggetto aggregatore e non specificamente l’affidamento del servizio.

In sostanza, dunque, l’aggregazione avvenuta a seguito di gara soddisfarebbe i requisiti per procedere anche ad affidamento diretto di servizi pubblici, “a valle” di tale operazione societaria.

Nel caso di specie, l’impresa cui veniva affidato il servizio era succeduta alla società partecipata già affidataria del servizio, nei cui confronti sussisteva pacificamente il requisito del controllo analogo, avendone acquisito le azioni a seguito di una complessa vicenda societaria originata dalla crisi della stessa società in house.

Più in particolare, la società in house, già affidataria del servizio, aveva selezionato, a seguito di pubblica gara indetta allo scopo, il soggetto con il quale aggregarsi.

Inizialmente, i Comuni dell’area, che esercitavano il controllo analogo congiuntamente rispetto alla società partecipata poi entrata in crisi, avevano ottenuto una quota corrispondente di azioni della società aggregatrice.

In un secondo momento, poi, le quote ancora possedute dai Comuni venivano cedute dagli stessi Comuni alla società aggregatrice, mediante accordo di investimento, senza che potesse esservi in questo ulteriore passaggio alcuna gara pubblica, stante l’esclusione dei servizi finanziari dall’ambito di applicazione dei Codice dei contratti pubblici: è a seguito di questo ulteriore passaggio, avvenuto senza alcuna procedura di evidenza pubblica, così come previsto dall’art. 17, comma 1, lett. e), dello stesso d.lgs. n. 50/2016, che è venuto meno ogni collegamento, e con esso ogni meccanismo di controllo analogo, tra i Comuni e la società deputata a gestire il servizio. Ciò è ammesso dallo stesso Consiglio di Stato, ove chiarisce che è in questo momento che «è venuto a mancare qualsiasi collegamento – e quindi, ogni possibile controllo – del Comune sulla società stessa».

In questo contesto, veniva disposto l’affidamento diretto del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani della Provincia da parte della Provincia stessa alla società aggregatrice: una società, lo si ricorda, nei cui confronti non sussisteva più ormai il requisito del controllo analogo, fuoriuscendo così dal perimetro delle cosiddette società in house, secondo i requisiti enucleati prima dalla giurisprudenza, a partire dall’ormai storica sentenza Teckal della Corte di Giustizia, e poi anche dai legislatori eurounitario e nazionale.

Il Consiglio di Stato si interroga, a questo punto, se sia sufficiente, per procedersi con un nuovo affidamento diretto del servizio, aver preliminarmente effettuato una gara per l’individuazione del soggetto aggregatore, successore dell’originaria società partecipata nei cui confronti sussisteva il requisito nel controllo analogo.

Ad avviso del Consiglio di Stato, come anticipato, sarebbe così comunque salvaguardato l’obiettivo di promuovere la concorrenza, che permea il diritto eurounitario: come è noto, infatti, la tutela della concorrenza costituisce uno dei pilastri del diritto dell’Unione europea, ai sensi nell’art. 3, comma 3, TUE, dell’art. 3, lett. b), e nell’art. 119, TFUE, per i benefici che porta al tessuto economico delle imprese e, in definitiva, agli stessi cittadini.

Secondo il Consiglio di Stato, dunque, la circostanza che sia stata esperita una pubblica gara, sia pure soltanto per l’individuazione del soggetto aggregatore e non per l’affidamento del servizio, soddisfarebbe il principio di concorrenzialità e renderebbe legittimo l’affidamento diretto effettuato.

Sarebbe indifferente, in sostanza, che sia stata esperita una gara per l’individuazione del soggetto aggregatore anziché per l’affidamento del servizio, dal momento che si verificherebbe un fenomeno simile a quello del negozio indiretto in diritto civile: nell’ipotesi presa ad esempio, il risultato finale consistente nell’alienazione di un bene immobile si realizzerebbe sia nel caso di un contratto di compravendita sia nel caso in cui si preferisca cedere il pacchetto azionario della società che è proprietà dell’immobile. Come nel caso del bene immobile entrambe le operazioni sarebbero legittime e porterebbero al medesimo risultato finale, così nel caso dell’affidamento del servizio il risultato raggiunto sarebbe lo stesso.

La similitudine è indubbiamente evocativa e potrebbe portare a condividere, a una prima lettura, l’impostazione seguita dal Consiglio di Stato. Eppure, a ben vedere, poco aggiunge alle scarne argomentazioni fornite dal Collegio a sostegno della sua tesi. Nel caso del bene immobile portato ad esempio, infatti, la legittimità del negozio indiretto, consistente nell’acquisto del pacchetto azionario, non deriva certo dalla legittimità dell’operazione di compravendita che avrebbe portato al medesimo risultato. Si tratta di due operazioni che indubbiamente conducono al medesimo risultato ma la cui legittimità va indagata singolarmente, volta per volta. Allo stesso modo, nel caso che qui interessa dell’affidamento di un pubblico servizio, la legittimità di un affidamento diretto in assenza dei requisiti necessari di certo non può essere fatta derivare dalla legittimità della gara effettuata a monte per l’individuazione del soggetto aggregatore. Si tratta, anche in questo caso, di due distinti problemi, da esaminare quindi separatamente.

Nessuno dubita della legittimità dell’esperimento di una gara per l’individuazione del soggetto aggregatore, che indubbiamente, come tutte le procedure di evidenza pubblica, è funzionale a una tutela della concorrenza.

Qui si discute, però, se, pur nell’assenza ormai conclamata del requisito del controllo analogo, sia possibile procedere mediante affidamento diretto a una società che non è più in house, per il solo fatto di essere stata selezionata mediante gara quale soggetto aggregatore della fu società in house. Peraltro, il Consiglio di Stato omette di evidenziare che, in concreto, la cessione del pacchetto azionario dei Comuni alla società aggregatrice, vale a dire il passaggio che ha effettivamente eliminato ogni collegamento tra i Comuni e la società, è avvenuta senza che potesse darsi luogo a procedura di evidenza pubblica, stante l’esclusione dei servizi finanziari dall’ambito di operatività del Codice. Il che pure è significativo, se si pensa di valorizzare l’unica gara pubblica “a monte” per giustificare un affidamento diretto “a valle”.

Ebbene, in questi termini, la lettura fornita dal Consiglio di Stato potrebbe destare più di qualche dubbio e le argomentazioni fornite risultare insufficienti agli occhi della Corte di Giustizia.

In definitiva, ci si dovrebbe piuttosto chiedere: la società aggregatrice che abbia acquisito il controllo di una società in house a seguito di pubblica gara avrà acquisito a tempo indeterminato, soltanto per questo motivo, la possibilità di risultare beneficiaria di affidamenti diretti da parte delle amministrazioni un tempo controllanti della società aggregata?

L’espletamento di un’unica gara “a monte” può giustificare la deroga all’evidenza pubblica per tutti gli affidamenti “a valle”?

Così ricostruita la questione interpretativa oggetto di rinvio pregiudiziale, pare non possa non leggersi una seria compromissione del principio di concorrenza nell’ammissione di una tale possibilità, a danno del tessuto economico delle imprese. La sottrazione al mercato della gestione di pubblici servizi, che per il diritto eurounitario costituisce sempre l’eccezione e mai la regola, verrebbe così a estendersi in ipotesi ulteriori rispetto a quelle previste dall’art. 12, Direttiva 2014/24/UE, e ammesse dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Più chiaramente, verrebbe ad essere surrettiziamente introdotta la possibilità di un “affidamento in house 2.0”, a favore non più solo della società partecipata, nei cui confronti sussista il controllo analogo da parte dell’ente, ma anche della società ad essa succeduta, sulla base del diverso requisito dell’espletamento di una gara per il trasferimento della partecipazione azionaria, a prescindere dal controllo analogo o da alcuno degli altri requisiti previsti dal sopra citato art. 12 della Direttiva.

L’introduzione di una tale deroga al ricorso al mercato, in assenza di una seria delimitazione, rischierebbe di aprire una crepa difficile da sanare e tale aspetto non potrà non essere tenuto in debita considerazione dalla Corte di Giustizia, da sempre attenta alla funzione proconcorrenziale delle procedure di evidenza pubblica.

L’affidamento diretto, dunque, dovrebbe rimanere, ad avviso di chi scrive, un’ipotesi eccezionale rispetto alla regola consistente nel ricorso al mercato, cui non sia possibile derogare per il solo fatto che sia stata esperita un’unica gara per l’individuazione di un soggetto aggregatore, a fronte delle svariate gare che avrebbero dovuto essere esperite per i diversi servizi pubblici.

Aldo Iannotti della Valle