Enti locali – Alienazione della licenza di farmacia comunale – Destinazione dei proventi – Patrimonio indisponibile – Estinzione anticipata dei mutui
Deve ritenersi consentito agli enti locali destinare all’estinzione anticipata di quote di mutui contratti con la Cassa Depositi e Prestiti i proventi derivanti dall’alienazione della licenza della farmacia comunale, essendo la licenza bene facente parte del patrimonio indisponibile ai sensi dell’art. 826, comma 3, del codice civile, per cui non trovano applicazione i vincoli di destinazione riservati al solo patrimonio disponibile dall’art. 1, comma 443, della legge n. 228/2012 e dall’art. 56 bis, comma 11, del d.l. n. 69/2013.
PREMESSO
Il Sindaco del Comune di ***************** (PV) rivolge alla Sezione una richiesta di parere avente ad oggetto la destinazione dei proventi della vendita della licenza della farmacia comunale. Nello specifico, il Sindaco chiede se, nel caso di vendita della licenza farmaceutica, la norma da applicare sia l’art. 56 bis d.l. 69/2013, conv. con l.98/2013, che prevede la destinazione del 10% dei ricavi all’estinzione anticipata dei mutui e il restante 90% a spese di investimento.
Più nel dettaglio, richiede se la disciplina vigente consentirebbe di destinare il provento della vendita interamente all’estinzione anticipata di quota parte dei mutui con la Cassa Depositi e Prestiti.
L’Ente cita l’art.1, c.443, l. l. 228/2012, norma di cui chiede l’interpretazione, che prevede che detti proventi possono essere destinati alla riduzione del debito solo in assenza di spese di investimento o per la parte eccedente.
Non essendo certificabile la mancanza di opere d’investimento sul territorio, richiede se sia comunque possibile destinare dette risorse alla netta riduzione dell’indebitamento, motivando la scelta con la necessità di ridurre l’impatto dei mutui sulle spese correnti e la non ricorrenza dell’entrata.
Ai fini dell’ammissibilità il Sindaco precisa che:
• la disposizione di cui si richiede l’interpretazione è l’art. 1, c. 443, l. 228/2012,
• il parere riguarda la possibilità di utilizzare gli introiti della vendita della licenza della farmacia comunale (da contabilizzare in conto capitale) per ridurre il debito contratto dall’Ente contabilizzato in parte corrente,
• secondo l’Ente, essendo la spesa per mutui riconducibile al rimborso delle spese di investimento, la stessa può essere estinta con risorse di parte capitale destinate alle spese di investimento,
• non ricorrono le condizioni impeditive al rilascio del parere, in quanto la richiesta è di carattere generale e attiene alla contabilità pubblica, non riguarda provvedimenti già adottati, non involge questioni attinenti alla responsabilità erariale, non risultano pareri di altre sezioni regionali di controllo, né precedenti di altre giurisdizioni o interpretazioni di altre organismi pubblici (come Aran, Anci, Upi, Uncem, Ragioneria Generale dello Stato, etc.).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La richiesta di parere del Comune di ***************** supera il vaglio di ammissibilità e, pertanto, può essere esaminata nel merito.
Sotto il profilo soggettivo, infatti, provenendo dal sindaco, l’istanza è ammissibile. Quanto all’aspetto oggettivo, chiedendo l’Ente come debbano essere destinati sul bilancio gli introiti della vendita di un bene pubblico, il quesito, oltre a rivestire i profili della generalità e astrattezza, attiene indiscutibilmente alla materia della contabilità pubblica. La chiara ricorrenza dei requisiti di ammissibilità esclude in radice che il giudice contabile venga coinvolto in processi decisionali rimessi alla sola discrezionalità dell’ente, che nel valutare l’istanza si possano elidere od attenuare posizioni di responsabilità su fatti compiuti o da compiere (artt. 69, c. 2, e 95, c. 4, d.lgs. 174/2016), e vi sia interferenza con l’esercizio in corso di altra funzione intestata alla Corte dei conti o ad altri e diversi organi giurisdizionali o amministrativi (cfr. SRCLOM/147/2023/PAR; Sezione delle Autonomie, deliberazioni nn. 11 e 17 del 2020/QMIG).
2. Ciò premesso, il dubbio posto dal comune di ***************** trova soluzione, in realtà, in un precedente parere della Sezione, seppure reso relativamente ad altro bene pubblico (SRC Lombardia n. 24/2020/PAR). Prima di soffermarsi sulla ricostruzione del quadro normativo sotteso al quesito si rende necessaria una breve disamina della natura giuridica del bene oggetto di cessione e, ancor prima, dell’attività farmaceutica.
L’attività farmaceutica integra un servizio pubblico locale, come previsto dallo stesso art. 1 r.d. 2578/1925 (per cui “i comuni possono assumere, nei modi stabiliti dal presente testo unico, l’impianto e l’esercizio diretto dei pubblici servizi e segnatamente di quelli relativi agli oggetti seguenti: [..] 6° impianto ed esercizio di farmacie”), che può essere esercitato anche dal comune nella qualità di ente preposto alla cura e soddisfazione dei bisogni primari della collettività stanziata sul territorio.
In particolare, il servizio farmaceutico è riconducibile alla nozione di servizio di interesse economico generale di livello locale o di rilevanza economica, in quanto reso dall’ente locale all’utenza dietro corrispettivo economico su un mercato contingentato e regolamentato (cfr., art. 2, d.lgs. 201/2022; cfr, inoltre, Cons. Stato, III, n.992/2019, che richiama la sentenza della C. cost. n. 87/2006, nonché SRC Marche n. 57/2013/PAR; SRC Lombardia n. 532/2012/PAR).
L’esercizio dell’attività farmaceutica è regolato dalla normativa di settore e, in particolare, dalla legge n. 475/1968.
Alle modalità di gestione delle farmacie di titolarità comunale è dedicato l’art. 9 di detta legge, che contiene una disciplina, dapprima esclusa (cfr. per l’esclusione l’art. 15 d.l. 135/2009, conv. con l. 166/2009, di integrazione dell’art. 23-bis del d.l. 112/2008, conv. con l. 133/2008, confermata dall’art. 1, c. 3, lett. d), d.P.R. 168/2010 e dall’art. 4, co. 34, d.l. 138/2011, inciso dalla sentenza della Corte Cost. n. 199/2012) e poi coordinata con la normativa generale sui servizi pubblici locali (l’art. 34 d.lgs. 201/2022).
Quanto alla possibilità di cessione del diritto all’esercizio, l’art. 12, c. 11, l. 475/1968 prevede che “il trasferimento della titolarità delle farmacie, a tutti gli effetti di legge, non è ritenuto valido se insieme col diritto di esercizio della farmacia non venga trasferita anche l’azienda commerciale che vi è connessa, pena la decadenza”.
La disposizione, applicabile anche alle farmacie comunali ex art. 15-quinquies, c. 2, d.l. 415/1989, conv. con l. 38/1990 (che indurrebbe, però, a ritenere incompatibile lo strumento della concessione per la gestione delle farmacie comunali, tesi poi superata dalla giurisprudenza; SRC Lombardia n. 532/2012/PAR; Cons. Stato, III, n. 5587/2014), consente, quindi, all’ente locale di trasferire a terzi l’autorizzazione farmaceutica e l’azienda connessa. A parere della Sezione, tali beni, in quanto di titolarità dell’ente locale e volti all’erogazione di un pubblico servizio, sono destinati a ricadere nell’ambito del patrimonio indisponibile del comune ai sensi dell’art. 826, c. 3, cod. civ. (la norma, prevede, infatti, che fanno parte del patrimonio indisponibile dei comuni, oltre agli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, “e gli altri beni destinati a un pubblico servizio”). Così intesa la natura del bene che il comune di ***************** intende cedere a terzi, occorre soffermarsi sulle disposizioni normative richiamate nella richiesta di parere e, in particolare, sull’art. 1, c. 443, l. 228/2012.
La norma s’inquadra nell’ambito del processo di valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare degli enti locali non strumentali all’esercizio delle rispettive funzioni istituzionali (art. 58 d.l. 112/2008, conv. con l. 133/2008; cfr. SRC Lombardia n. 24/2020/PAR) e dispone che “in applicazione del secondo periodo del comma 6 dell’articolo 162 del decreto legislativo 18 agosto. 2000, n. 267, i proventi da alienazioni di beni patrimoniali disponibili possono essere destinati esclusivamente alla copertura di spese di investimento ovvero, in assenza di queste o per la parte eccedente, per la riduzione del debito”. La norma, pertanto, impone il vincolo di destinazione solo dei proventi derivanti dall’alienazione dei beni che appartengono al patrimonio disponibile dell’ente locale. In modo analogo, ma con diversa prospettiva, il successivo art. 56 bis d.l. 69/2013, con l. 98/2013, stabilisce che “in considerazione dell’eccezionalità della situazione economica e tenuto conto delle esigenze prioritarie di riduzione del debito pubblico, al fine di contribuire alla stabilizzazione finanziaria e promuovere iniziative volte allo sviluppo economico e alla coesione sociale [..]”, il 10 per cento delle risorse nette derivanti dall’alienazione dell’originario patrimonio immobiliare disponibile degli enti territoriali, salvo che una percentuale uguale o maggiore non sia destinata per legge alla riduzione del debito del medesimo ente, è destinata prioritariamente all’estinzione anticipata dei mutui e per la restante quota secondo quanto stabilito dal comma 443 dell’art. 1, l. 228/2012.
Al riguardo, questa Sezione ha precisato che “in base alle disposizioni richiamate il Collegio ritiene che le norme in materia di vincoli di destinazione dei proventi da alienazione del patrimonio disponibile (art. 1, comma 443 della legge n. 228/2012 e art. 56 bis, comma 11, del d.l. n. 69/2013) non possano trovare applicazione nei confronti dei beni patrimoniali indisponibili, indipendentemente dalla loro commerciabilità. Trattasi, infatti, di norme aventi uno specifico ambito di applicazione oggettiva che non lascia spazio ad interpretazioni estensive. D’altra parte quando il legislatore ha voluto sottoporre allo stesso trattamento i beni patrimoniali disponibili e i beni patrimoniali indisponibili, non si è specificatamente riferito agli uni o agli altri; si pensi all’art. 1, comma 866, della legge n. 205/2017, dove la norma ha fatto riferimento alla possibilità, per gli enti locali, di utilizzo dei proventi derivanti dalle “alienazioni patrimoniali”, anche di quelli derivanti da azioni o piani di razionalizzazione, senza distinguere tra beni del patrimonio disponibile o indisponibile dell’Ente” (SRC Lombardia n. 24/2020/PAR).
In particolare, l’art. 1, c. 866, l. 205/2017 (nel testo risultante a seguito della modifica ad opera dall’art. 11-bis, c. 4, d.l. 135/2018, n. 135, conv. con l. 12/2019, che ha reso generale una disposizione originariamente limitata al triennio 2018/2020) dispone che “gli enti locali possono avvalersi della possibilità di utilizzo dei proventi derivanti dalle alienazioni patrimoniali, anche derivanti da azioni o piani di razionalizzazione, per finanziare le quote capitali dei mutui o dei prestiti obbligazionari in ammortamento nell’anno o in anticipo rispetto all’originario piano di ammortamento. Tale possibilità è consentita esclusivamente agli enti locali che:
a) dimostrino, con riferimento al bilancio consolidato dell’esercizio precedente, un rapporto tra totale delle immobilizzazioni e debiti da finanziamento superiore a 2;
b) in sede di bilancio di previsione non registrino incrementi di spesa corrente ricorrente, come definita dall’allegato 7 annesso al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118;
c) siano in regola con gli accantonamenti al fondo crediti di dubbia esigibilità”.
Se ne deve dedurre, pertanto, che -solo in presenza delle su indicate e specifiche condizioni previste dall’art. 1, c. 866, l. 205/2017- sia consentito agli enti locali destinare i proventi derivanti dalle alienazioni patrimoniali di beni, indifferentemente disponibili o indisponibili, per finanziare le quote capitali dei mutui o dei prestiti obbligazionari in ammortamento nell’anno o in anticipo rispetto all’originario piano di ammortamento. Limitandosi allo specifico contenuto del quesito del Comune di *****************, la possibilità per l’Ente di utilizzare i proventi della vendita della licenza della farmacia comunale per ridurre il debito derivante da mutui o prestiti, discende esclusivamente dalla riconducibilità della “licenza” al patrimonio indisponibile ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 826 del Codice civile che attribuisce tale carattere ai “beni destinati a un pubblico servizio”.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, in risposta al quesito formulato dal Comune di ***************** (PV) rende parere nei termini di seguito esposti: “Deve ritenersi consentito agli enti locali destinare all’estinzione anticipata di quote di mutui contratti con la Cassa Depositi e Prestiti i proventi derivanti dall’alienazione della licenza della farmacia comunale, essendo la licenza bene facente parte del patrimonio indisponibile ai sensi dell’art. 826, comma 3, del codice civile, per cui non trovano applicazione i vincoli di destinazione riservati al solo patrimonio disponibile dall’art. 1, comma 443, della legge n. 228/2012 e dall’art. 56 bis, comma 11, del d.l. n. 69/2013”.
Alienazione licenza farmacia comunale – Destinazione Proventi
Corte dei conti, Sez. Reg. di Controllo per la Lombardia, deliberazione n. 110/2025/PAR del 12 maggio 2025
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