D.lgs. n. 36/2023 – Appalti pubblici – Principio del risultato – Art. 1 del d.lgs. n. 36/2023 – Principio della fiducia – Art. 2 del d.lgs. n. 36/2023 – Interpretazione della lex di gara – Offerta economica – Giudizio di anomalia – Applicazione del ribasso – Costi della manodopera
Consiglio di Stato, sez. III, 4 novembre 2025, n. 8574
E’ invero indubbio che, nella fattispecie, la prescritta allegazione dei listini sia stata sostituita da parte di tutti i concorrenti, totalmente o parzialmente, dall’allegazione di un link di rinvio a piattaforme telematiche; la circostanza è confermata dalla stessa stazione appaltante (…). Tuttavia, la modalità utilizzata non ha interferito con il raggiungimento dello scopo sostanziale (ossia l’individuazione della migliore offerta) né ha determinato un’alterazione della par condicio, determinando il superamento di tutti i rilievi articolati nei primi motivi; restando peraltro indimostrato che l’accesso ai listini telematici non sia stato consentito prima dell’avvio della fase di esecuzione della fornitura.
Si veda in proposito una recente pronunzia di questo Consiglio:”Il principio della fiducia, insieme a quello del risultato, contenuti nella prima parte del d.lgs. n. 36 del 2023 (artt. 1 e 2), impongono l’interpretazione della legge di gara secondo buona fede (artt. 1337 e 1338 c.c.) per tutte le parti coinvolte nella procedura volta all’assegnazione della commessa pubblica; da ciò consegue che il bando e il disciplinare di gara, in tutte le ipotesi in cui insorgano criticità che non si traducono in vizi che abbiano inciso in maniera sostanziale e lesiva sulla posizione soggettiva delle parti, vadano interpretati alla luce del principio di legalità, al fine del perseguimento del fine ultimo della procedura concorsuale, che consiste nella tempestiva aggiudicazione alla migliore offerta nel rispetto della par condicio”.
Tanto più che la modalità di allegazione di cui si discute è stata utilizzata da tutti i concorrenti, ivi compresa l’interessata (…); sicché la pretesa rigorosa applicazione della clausola de qua nel suo significato strettamente letterale si pone in contrasto con il divieto di abuso del diritto “quale è da ritenersi, a guisa di figura paradigmatica, il venire contra factum proprium dettato da ragioni meramente opportunistiche” (cfr., mutatis mutandi, questa Sezione, 24/12/2024, n.10362).
Il fatto
La controversia giunta all’attenzione del Consiglio di Stato ha avuto origine da una procedura di gara indetta dall’Asl Napoli 2 Nord per l’affidamento del servizio di riparazione, manutenzione ordinaria e straordinaria degli autoveicoli in dotazione alle strutture dell’Azienda.
La terza ed ultima classificata aveva impugnato innanzi al T.A.R. Campania il provvedimento di aggiudicazione e gli altri atti di gara, articolando tre distinti motivi di ricorso.
In particolare, con il primo motivo, la ricorrente aveva dedotto la violazione dell’art. 4.2 punto 3 lett. a), b.) e c) del Disciplinare di gara, nella parte in cui prescriveva che l’offerta economica dei concorrenti dovesse essere corredata, a pena di esclusione, dalla documentazione indicante le caratteristiche dei materiali da fornire, nonché dai relativi listini prezzi con la misura dello sconto praticato.
Secondo parte ricorrente, tali informazioni non sarebbero state presenti nell’offerta economica né dell’aggiudicataria né della seconda classificata, in quanto entrambe avevano in parte rinviato a piattaforme esterne dalle quali, tuttavia, non sarebbe stato possibile reperire le informazioni richieste. Tale ragione avrebbe dovuto indurre la Stazione Appaltante ad escludere l’aggiudicataria e la seconda classificata, non essendo possibile, nel caso di specie, ricorrere al soccorso istruttorio, poiché l’omissione documentale afferiva all’offerta economica e il listino prezzi costituiva elemento essenziale dell’offerta.
Con il secondo motivo di ricorso, poi, la ricorrente aveva censurato in via subordinata l’illegittimità del medesimo articolo del Disciplinare di gara nella parte in cui non prevedeva l’indicazione del costo della manodopera per la determinazione del minor prezzo, in quanto in contrasto con l’art. 108, comma 9, del d.lgs. 36/2023.
Infine, con il terzo motivo di censura, l’impresa aveva dedotto l’abnormità per eccesso dei ribassi applicati dall’aggiudicataria e dalla seconda classificata.
Cionondimeno, il T.A.R. Campania aveva ritenuto infondati tutti i motivi di ricorso, confermando la disposta aggiudicazione e condannando il ricorrente all’integrale refusione delle spese di lite.
L’impresa aveva quindi proposto appello avverso la sentenza di prime cure, ribadendo tutte le ragioni di censura dedotte innanzi al T.A.R., e contestando altresì la statuizione in ordine alle spese di giudizio.
La decisione del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha confermato le statuizioni del giudice di primo grado, operando una lettura “conservativa” e sostanzialistica degli atti di gara, tesa a valorizzare l’applicazione dei principi del nuovo Codice e, segnatamente, del principio del risultato.
In particolare, quanto al primo motivo di doglianza, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto di non accogliere la ricostruzione operata dal ricorrente, invocando una rilettura della lex di gara basata sul suddetto principio.
Nella specie, pur riconoscendo che l’allegazione dei listini prescritta dal Disciplinare era stata sostituita da parte di tutti i concorrenti (totalmente o parzialmente) dall’allegazione di un link di rinvio a piattaforme telematiche, il Consiglio di Stato ha rilevato come tale modalità di predisposizione dell’offerta non avesse “interferito con il raggiungimento dello scopo sostanziale (ossia l’individuazione della migliore offerta)” né avesse “determinato un’alterazione della par condicio”.
Per tale ragione, una lettura della lex specialis improntata alla valorizzazione del risultato perseguito dalla procedura concorsuale – vale a dire la tempestiva aggiudicazione in favore del miglior offerente-, secondo il Cds, avrebbe senz’altro imposto un’interpretazione di carattere conservativo e “sanante”, volta a riconoscere la legittimità della disciplina di gara e del conseguente provvedimento di aggiudicazione.
Quanto, poi, al secondo motivo di appello, afferente alla pretesa anomalia delle offerte, lo stesso è stato ritenuto meritevole di rigetto da parte del Consiglio di Stato. Ciò in ossequio al principio, pacifico in giurisprudenza, secondo cui il sindacato giurisdizionale sulla verifica di anomalia dell’offerta deve “muoversi sui binari della manifesta irragionevolezza e nella prospettiva della sostenibilità dell’offerta”, in quanto il giudizio di anomalia si connota per essere espressione di un tipico potere tecnico-discrezionale dell’Amministrazione, di carattere globale e sintetico.
In applicazione di tale principio, il Consiglio di Stato ha ritenuto che non sussistessero i presupposti per censurare la legittimità del giudizio in ordine alla congruità delle offerte, non essendo stato dedotto alcun adeguato elemento di prova a supporto della pretesa anomalia: parte appellante si era limitata, infatti, a disconoscere la qualità di partners ufficiali delle case produttrici in capo alle prime due classificate, ricavandone la “non perfetta sovrapponibilità del ribasso da queste offerto in sede di gara al tasso di sconto massimo praticabile da entrambe sui listini di riferimento” e sollecitando, in tal modo, “un’autonoma – quanto inammissibile – verifica di congruità in sede giurisdizionale”.
Infine, con riferimento all’ultimo motivo di censura relativo all’esclusione dal ribasso dei prezzi della manodopera e della sicurezza, il Consiglio di Stato ha affermato la coerenza della predetta clausola del Disciplinare di gara con l’art. 41 del D.lgs. n. 36/2023, che esclude tali voci dall’applicazione del ribasso da parte dell’operatore economico.
L’unica parte della sentenza di primo grado che è stata riformata dai giudici di Palazzo Spada ha riguardato la statuizione relativa alle spese di lite. Ed invero, condividendo l’assunto di parte ricorrente secondo cui la stessa Amministrazione aveva ammesso la sostanziale fondatezza dell’impianto principale del gravame proposto (nella parte in cui aveva riconosciuto che tutti i concorrenti avevano seguito modalità di allegazione diverse dallo stretto dato testuale del disciplinare), il Consiglio di Stato ha ritenuto di disporre la compensazione delle spese di giudizio in ragione della reciproca soccombenza.
Brevi considerazioni conclusive
Ora, sintetizzato il contenuto della decisione, la pronuncia merita un commento con particolare riguardo all’attenzione riservata dai Giudici al principio del risultato e alla sua valenza precettiva.
Come noto, nell’ambito della contrattualistica pubblica, il principio del risultato consiste, per espressa previsione normativa, nell’affidamento dei contratti di appalto e di concessione e nella loro esecuzione “con la massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, concorrenza e trasparenza” (art. 1 del D.lgs. n. 36/2023).
Nell’impianto disegnato dal legislatore con l’introduzione del nuovo Codice (d.lgs. n. 36/2023), tale principio – che costituisce una delle novità più significative introdotte dalla novella legislativa – rappresenta uno dei capisaldi che governano la materia dell’affidamento delle commesse pubbliche.
Lo conferma, innanzitutto, la sua collocazione topografica, giacché esso figura, assieme ai principi della fiducia e dell’accesso al mercato, nei primi tre articoli del rinnovato corpus codicistico, dedicati ai principi che assurgono a criteri di interpretazione delle altre norme del codice.
Ma a confermarlo è anche lo stesso tenore testuale dell’art. 1, che al quarto comma chiarisce come lo stesso costituisca “il criterio prioritario nell’esercizio del potere discrezionale e nella determinazione della regola per il caso concreto”.
E’ soprattutto in questa specifica parte dell’art. 1 che si coglie l’intento di semplificazione che ha animato il legislatore nell’opera di riforma normativa, ove la superiore esigenza di affidamento, in modo tempestivo ed efficace, delle commesse pubbliche è stata anteposta ad altre esigenze ritenute sacrificabili in ragione del perseguimento del risultato.
In questo senso, la valorizzazione del principio del risultato, nell’impianto del rinnovato codice, ha come suo necessario contraltare il principio della fiducia, giacché, soltanto una stazione appaltante che si veda riconosciuta la fiducia dal sistema senza l’ombra della cultura del sospetto può essere in condizione di perseguire il “massimo risultato con il minimo sforzo”(inteso in termini di affidamento dei contratti in modo tempestivo, efficiente e parsimonioso).
In realtà, nell’introdurre il principio del risultato all’interno del nuovo codice il legislatore non si è mosso su un terreno inesplorato, giacché sin da tempi immemori la dottrina aveva in più occasioni posto l’attenzione su tale precipuo obiettivo della contrattualistica pubblica. In tale contesto, può essere senz’altro richiamato, a titolo esemplificativo, quel dibattitto che ha condotto all’introduzione nell’art. 21 octies, comma 2, della L. 241/1990 di una forma di sanatoria dei vizi meramente formali e procedimentali dell’atto amministrativo, a testimonianza dell’attenzione sempre presente all’efficienza dell’azione amministrativa quale valore preminente rispetto al “cieco” rispetto del diritto positivo.
Ora, è chiaro che il principio del risultato, nella sua funzione di criterio prioritario, deve guidare non soltanto la Stazione Appaltante nello svolgimento della procedura di gara (e, a valle, nella fase esecutiva del contratto), ma anche l’attività dell’interprete – e, in particolare del Giudice – nell’interpretazione del significato da attribuire alla disciplina di gara e alle prescrizioni ivi contenute.
Tale funzione del principio in esame ha dispiegato tutta la sua “forza” nel caso di specie, ove i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto di attribuire al principio in argomento una portata precettiva cogente, statuendo che l’aggiudicazione non fosse in contrasto con la clausola del disciplinare di gara che imponeva l’allegazione alle offerte dei listini prezzi.
In tal senso, l’esegesi della lex di gara da parte del Consiglio di Stato si è orientata in modo netto nel senso di valorizzare lo scopo sostanziale perseguito dall’Amministrazione con la procedura, ovvero l’individuazione della migliore offerta, ritenendo che la modalità utilizzata dai concorrenti – e fatta propria, in realtà, anche dallo stesso appellante – avesse consentito di raggiungere al meglio tale obiettivo.
Ed infatti, secondo la ricostruzione operata dal Cds, il principio del risultato, insieme a quello della fiducia (art. 2), impongono l’interpretazione della legge di gara secondo buona fede (artt. 1337 e 1338 cc.) per tutte le parti coinvolte nella procedura volta all’assegnazione della commessa pubblica. Da ciò discende che che il bando e il disciplinare di gara, in tutte le ipotesi in cui insorgano criticità che non si traducono in vizi che abbiano inciso in maniera sostanziale e lesiva sulla posizione soggettiva delle parti, vanno interpretati alla luce del principio di legalità, al fine del perseguimento dell’obiettivo ultimo proprio della procedura concorsuale, che consiste nella tempestiva aggiudicazione alla migliore offerta nel rispetto della par condicio.
Nel caso di specie, una lettura improntata alla valorizzazione del risultato dell’affidamento, – quale criterio-guida dell’attività amministrativa nella procedura di gara -, ha indotto il Consiglio di Stato ad accogliere una ricostruzione “conservativa” del significato delle disposizioni di gara, tesa a valorizzare la funzione ultima dell’aggiudicazione della commessa in favore del miglior contraente.
In tal senso, secondo i Giudici, il ricorso a “rigidi” criteri formalistici per la formulazione delle offerte avrebbe rappresentato un mero ostacolo al perseguimento del risultato perseguito attraverso la procedura di gara; anzi, la pretesa rigida applicazione della clausola del Disciplinare da parte dell’appellante avrebbe addirittura potuto configurarsi come una forma di abuso di diritto, dal momento che era stata la stessa appellante ha utilizzare parzialmente la modalità di allegazione oggetto di contestazione, venendo contra factum proprium.
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