Art. 94 del d. lgs. 36/2023 – Gold plating – Art. 57 Direttiva 2014/24/UE – DURC – Proporzionalità – Procedura negoziata senza bando.
TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, ord. 23 luglio 2025, n. 2386.
“Invero, secondo il Giudice di primo grado, la previsione nazionale, imponendo che la regolarizzazione contributiva debba avvenire necessariamente entro il termine di presentazione dell’offerta, si pone in contrasto con il principio eurounitario per cui tale sanatoria può avvenire anche successivamente, purché prima dell’aggiudicazione definitiva”.
“In particolare, il Tribunale ha evidenziato che non vi è alcuna prova che un operatore che regolarizza la propria posizione dopo la presentazione dell’offerta ma prima dell’aggiudicazione definitiva sia meno affidabile rispetto a chi lo fa in un momento antecedente. Inoltre, la soglia indicata dall’art. 3, co. 3, D.M. 30 gennaio 2015 (richiamato dall’allegato II.10) per qualificare come “grave” la violazione, ovverosia 150 euro, appare irragionevolmente bassa, e dunque sproporzionata”.
“[…] il gold plating consiste nell’introduzione, da parte del legislatore nazionale, di obblighi o restrizioni ulteriori rispetto a quelli minimi previsti dalla normativa europea in sede di recepimento. Questo fenomeno è vietato in quanto rischia di compromettere l’armonizzazione normativa tra gli Stati membri e di gravare indebitamente sugli operatori economici”.
Il caso di specie
La vicenda riguarda una procedura negoziata senza bando, indetta con lettera d’invito nel novembre 2024, avente ad oggetto la fornitura di inerti di cava e sabbia, per un importo a base d’asta superiore al milione e ottocentomila euro.
La società ricorrente era risultata destinataria della proposta di aggiudicazione, in virtù del miglior ribasso offerto e aveva, altresì, provveduto a dare avvio alla fornitura in via anticipata, su richiesta dell’amministrazione.
Tuttavia, nel gennaio 2025, in sede di verifica dei requisiti di cui agli artt. 94 e 95 del Codice, il RUP aveva riscontrato un’irregolarità contributiva a carico della società, in particolare un mancato pagamento alla Cassa Edile per un importo poco superiore ai seicento euro. In ragione di ciò, nel febbraio 2025 l’amministrazione revocava la proposta di aggiudicazione.
La società Omissis, nel frattempo, aveva già provveduto a sanare la propria posizione contributiva, come dimostrato dal DURC regolare rilasciato pochi giorni dopo. Nondimeno, l’amministrazione confermava la revoca, ritenendo non rilevante la sanatoria successiva al termine di presentazione delle offerte, conformemente a quanto stabilito dall’art. 94, co. 6, d.lgs. n. 36/2023, e disponeva l’aggiudicazione in favore di un altro operatore economico.
La società esclusa ha quindi impugnato davanti al T.a.r. Catania sia la revoca della proposta di aggiudicazione sia l’aggiudicazione definitiva intervenuta in favore della controinteressata, chiedendo altresì, in via subordinata, il risarcimento dei danni per la mancata aggiudicazione. In particolare, la società Omissis ha contestato la decisione dell’amministrazione, sostenendo che:
1. l’esclusione per irregolarità contributiva non regolarizzata prima della presentazione dell’offerta di cui all’art. 94, comma 6, d.lgs. n. 36/2023, sarebbe in contrasto con l’art. 57 della Direttiva 2014/24/UE, che consente la regolarizzazione fino all’aggiudicazione;
2. illegittimità costituzionale dell’art. 94, comma 6, del d.lgs. 36/2023 per violazione degli artt. 76 e 117 Cost., violazione del principio del divieto di gold plating;
3. illegittimità costituzionale dell’art. 94, comma 6, del d.lgs. 36/2023 per violazione dell’art. 3 Cost., violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza;
4. rinvio pregiudiziale alla CGUE ai sensi dell’art. 267 TFUE ritenuto che il considerando 101 della direttiva 2014/24/UE, prevede che le amministrazioni aggiudicatrici debbano prestare particolare attenzione al principio di proporzionalità nell’applicazione di motivi di esclusione facoltativi.
La decisione del TAR
Nella controversia in esame, il T.a.r. Catania, ha ritenuto fondate le censure sollevate dalla Società ricorrente.
In particolare, secondo l’ordinanza analizzata, la disciplina interna contenuta nell’art. 94, comma 6, del d.lgs. 36/2023 solleva fondati dubbi di compatibilità con il diritto dell’Unione Europea, in particolare con l’art. 57 della Direttiva 2014/24/UE.
Secondo il Giudice di primo grado, infatti, la previsione nazionale, imponendo che la regolarizzazione contributiva debba avvenire necessariamente entro il termine di presentazione dell’offerta, si pone in contrasto con il principio eurounitario per cui tale sanatoria può avvenire anche successivamente, purché prima dell’aggiudicazione definitiva.
In particolare, il Tribunale ha evidenziato che non vi è alcuna prova che un operatore che regolarizza la propria posizione dopo la presentazione dell’offerta ma prima dell’aggiudicazione definitiva sia meno affidabile rispetto a chi lo fa in un momento antecedente. Inoltre, la soglia indicata dall’art. 3, co. 3, D.M. 30 gennaio 2015 (richiamato dall’allegato II.10) per qualificare come “grave” la violazione, ovverosia 150 euro, appare irragionevolmente bassa, e, dunque, sproporzionata.
Il Collegio ha, pertanto, ritenuto che la norma nazionale non garantisca un adeguato bilanciamento tra l’obiettivo di selezione degli operatori affidabili e il rispetto del principio di proporzionalità, specialmente nei casi di irregolarità di entità minima.
Rilevata dunque l’incertezza interpretativa e l’assenza di margini per una disapplicazione diretta della norma interna, il T.a.r. ha disposto la sospensione interinale del giudizio e ha rimesso alla CGUE due questioni pregiudiziali, concernenti la legittimità del vincolo temporale previsto dalla disciplina interna e l’automatismo dell’esclusione anche in presenza di regolarizzazione intervenuta prima dell’aggiudicazione.
Considerazioni conclusive
Il caso affronta una questione centrale nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica: l’esclusione automatica per irregolarità contributive e i limiti temporali entro cui la regolarizzazione può essere considerata idonea a evitare tale esclusione.
L’art. 94, comma 6, del d.lgs. n. 36/2023, non consente alcuna sanatoria dopo la scadenza del termine per la presentazione dell’offerta.
Tuttavia, tale rigidità si pone in contrasto con l’art. 57 della Direttiva 2014/24/UE, secondo cui la causa di esclusione per irregolarità contributiva non può più operare quando l’operatore economico ha provveduto alla regolarizzazione prima dell’aggiudicazione.
Alla luce di ciò, Il Tribunale adito ritiene che la norma italiana succitata costituisca un caso di gold plating, cioè un aggravamento ingiustificato degli obblighi previsti dalla normativa europea, in violazione dei principi di proporzionalità e non aggravamento.
Invero, il gold plating consiste nell’introduzione, da parte del legislatore nazionale, di obblighi o restrizioni ulteriori rispetto a quelli minimi previsti dalla normativa europea in sede di recepimento. Questo fenomeno è vietato in quanto rischia di compromettere l’armonizzazione normativa tra gli Stati membri e di gravare indebitamente sugli operatori economici.
In Italia, il divieto di gold plating è stato sancito già con la legge n. 183/2011 e ribadito nelle successive leggi delega in materia di contratti pubblici (legge n. 11/2016 e legge n. 78/2022). Esso impone al legislatore delegato di limitarsi a recepire le direttive europee in modo fedele e proporzionato, senza introdurre aggravamenti normativi non giustificati da specifiche esigenze dell’ordinamento interno.
Nel caso di specie, il Collegio ha ritenuto che l’art. 94, comma 6, del d.lgs. 36/2023 introduca un vincolo temporale (la regolarizzazione contributiva solo entro la scadenza del termine di presentazione delle offerte) che non è previsto dalla direttiva 2014/24/UE, configurando così una forma di gold plating in contrasto sia con il diritto dell’Unione che con i vincoli costituzionali interni (artt. 76 e 117 Cost.).
Sul punto, in apparente dicotomia con l’ordinanza analizzata, occorre evidenziare una recentissima sentenza della Corte Costituzionale del 28 luglio 2025, n. 138, che ha affrontato il tema dell’esclusione automatica degli operatori economici dalle gare pubbliche in presenza di violazioni tributarie definitivamente accertate.
In particolare, i giudici rimettenti del Consiglio di Stato dubitavano della compatibilità dell’art. 80, comma 4, secondo periodo, del d.lgs. n. 50/2016 (vigente all’epoca dei fatti) con l’art. 3 Cost., in particolare sotto il profilo del contrasto della disposizione con i principi di ragionevolezza e proporzionalità, in quanto si considera “grave” la violazione tributaria nel caso di “mero superamento della soglia fissa e predeterminata di cinquemila euro, in forza della relatio all’art. 48-bis d.P.R. 602 del 1973”.
Secondo i giudici rimettenti, l’esclusione automatica – applicata in assenza di una valutazione sulla gravità della violazione e sull’affidabilità dell’operatore – avrebbe potuto determinare effetti irragionevoli e sproporzionati, tanto più in presenza di violazioni di modesto importo o non più attuali. Inoltre, l’impossibilità per la stazione appaltante di esercitare alcun margine di discrezionalità appariva in contrasto con i principi europei di proporzionalità e adeguatezza.
La Corte, dopo un’attenta disamina della cornice normativa che regola il requisito della regolarità fiscale richiesto per la partecipazione a gare per l’affidamento di contratti pubblici, ha rigettato tali censure, affermando che la previsione di un automatismo in caso di violazioni gravi e definitivamente accertate non viola il principio di ragionevolezza. Anzi, essa costituisce una scelta legislativa legittima, giustificata dall’esigenza di garantire l’affidabilità degli operatori economici chiamati a contrattare con la pubblica amministrazione nonché quello di indurre indirettamente gli operatori stessi ad assolvere ai propri obblighi fiscali integralmente e nei tempi di legge. In questo contesto, conclude la Corte, la misura in esame si rivela idonea allo scopo.
Quanto al profilo europeo, la Corte ha ritenuto che la misura è, altresì, necessaria, tenuto conto dell’obbligo, imposto dalla direttiva 2014/24/UE, di escludere l’operatore economico che ha commesso una violazione fiscale definitivamente accertata. La normativa europea, evidenzia il Giudice delle leggi, mostra un chiaro disfavore per la possibilità di consentire l’accesso alle gare dell’operatore economico che ha debiti fiscali, tranne il caso del mancato pagamento di «piccoli importi di imposte» (art. 57, paragrafo 3, della direttiva).
Per quanto concerne la proporzionalità in senso stretto della misura prevista, va osservato che la soglia dei 5.000 euro, fissata dal legislatore nazionale, trae origine da una disciplina che persegue finalità non coincidenti con quelle proprie del Codice dei contratti pubblici (art. 48-bis, commi 1 e 2-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, rubricato Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito).Ciò nonostante, tale limite può essere valorizzato anche nell’ambito della contrattualistica pubblica, quale parametro utile per identificare una soglia di rilevanza del debito fiscale. Tale soglia, invero, esprime un certo grado di significatività del debito fiscale e, pertanto, il legislatore ha ritenuto correttamente che il superamento della stessa non consenta la partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici.
In conclusione, secondo la Consulta, la misura adottata non appare manifestamente irragionevole, poiché cerca di bilanciare, da un lato, l’esigenza, imposta dal diritto europeo, di sanzionare con rigore le violazioni fiscali definitivamente accertate e, dall’altro, la necessità di non precludere l’accesso alle gare in presenza di irregolarità di modesta entità.
Tale pronuncia, però, si colloca su un piano diverso rispetto a quello affrontato dal T.a.r. Catania nella vicenda oggetto di commento.
Mentre la Corte Costituzionale ha esaminato l’automatismo in relazione a violazioni fiscali accertate in via definitiva, nel caso deciso dal Giudice di primo grado si discute dell’impossibilità di regolarizzare la posizione contributiva dopo la scadenza del termine per la presentazione delle offerte ma prima dell’aggiudicazione definitiva.
L’ordinanza del T.a.r. Catania, infatti, solleva dubbi specificamente rivolti alla sproporzione temporale della previsione nazionale rispetto alla normativa europea, profilando un possibile caso di gold plating. In questo contesto, la CGUE sarà chiamata a chiarire se il diritto dell’Unione consenta effettivamente agli Stati membri di porre un limite anticipato alla regolarizzazione, oppure se una tale previsione violi i principi di proporzionalità e tutela della concorrenza.
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