D.lgs. n. 36/2023 – Appalti pubblici – Avvalimento premiale – Avvalimento partecipativo – Avvalimento misto – Certificazione della parità di genere – Qualità aziendale – Contratto di avvalimento – T.R.G.A. Bolzano – Art. 46-bis del d.lgs. n. 198/2006 – Processo aziendale – Favor partecipationis – Unione europea – Principio di concorrenza – Miglioramento dell’offerta – Art. 104 del d.lgs. n. 36/2023 – Art. 108, comma 7, del d.lgs. n. 36/2023 – Prassi UNI/PdR 125:2022 – Accesso al mercato – D.lgs. n. 50/2016
Consiglio di Stato, sez. VI, 18 giugno 2025, n. 5345
La certificazione de qua, rilasciata da organismi accreditati, attesta, quindi, l’adozione all’interno di un’azienda di un sistema di gestione conforme ad una specifica prassi (la UNI/PdR 125:2022) ed attiene, pertanto, all’organizzazione ed ai processi aziendali comprovando che si è prescelto un assetto di questi in grado di assicurare inclusione ed equità di genere.
Ciò ne fa un attributo del compendio aziendale (inteso ex art. 2555 c.c. quale “complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”), esportabile, come tale, nella sua oggettività da un’impresa all’altra.
La vicinanza, pur nelle sue indubbie specificità, della certificazione della parità di genere di cui all’articolo 46-bis del d.lgs. n. 198 del 2006 alla figura del “certificato di qualità” si percepisce, peraltro, con chiarezza dalla simmetria con la formulazione letterale dell’attuale Allegato II.8 del nuovo Codice (che ha sostituito l’art. 87, comma 3 del d.lgs. n. 50 del 2016) il quale, al suo punto I, definisce il secondo come il “certificato rilasciato da un organismo di valutazione di conformità quale mezzo di prova di conformità dell’offerta ai requisiti o ai criteri stabiliti nelle specifiche tecniche, ai criteri di aggiudicazione o alle condizioni relative all’esecuzione dell’appalto”.
Non può, del resto, sfuggire che l’art. 108, comma 7, ultimo periodo, del nuovo Codice dei Contratti Pubblici ha inteso menzionare espressamente il possesso della certificazione della parità di genere come criterio premiale di aggiudicazione.
Né dalla diposizione da ultimo citata possono trarsi, come invece sostenuto da parte appellata, argomenti contrari alla tesi che qui si è voluto accogliere.
E, infatti, l’art. 108, comma 7, ultimo periodo, del nuovo Codice dei Contratti Pubblici (secondo cui “Al fine di promuovere la parità di genere, le stazioni appaltanti prevedono, nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, il maggior punteggio da attribuire alle imprese per l’adozione di politiche tese al raggiungimento della parità di genere comprovata dal possesso della certificazione della parità di genere di cui all’articolo 46-bis del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198”) si limita a imporre alle stazioni appaltanti la previsione di un criterio premiale di aggiudicazione legato al possesso della certificazione della parità di genere senza, tuttavia, prescriverne il necessario possesso diretto.
V’è, peraltro, da ritenere, che se il legislatore avesse inteso introdurre un divieto di avvalimento “premiale” rispetto a tale particolare figura di certificazione lo avrebbe fatto in maniera espressa intervenendo nella sede materiale più opportuna (e cioè sulla disciplina dell’avvalimento ex art. 104 e non anche su quella generale in materia di criteri di aggiudicazione).
Il fatto
Il Comune di Bolzano indiceva una procedura aperta – con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa – per la fornitura del servizio sostitutivo di mensa mediante buoni pasto elettronici per i dipendenti comunali, alla quale partecipavano due imprese.
Tra i criteri di valutazione rientrava quello relativo alla valorizzazione della “certificazione della parità di genere di cui all’art. 46-bis del codice delle pari opportunità tra uomo e donna di cui al d.lgs. n. 198/2006” – voce “Q5_Certificazioni” – con il riconoscimento di 2 punti aggiuntivi.
Al termine della procedura l’impresa appellante risultava prima in graduatoria, con un punteggio pari a 96,25, mentre la seconda classificata otteneva un punteggio pari a 96, 17.
Alla prima classificata erano attribuiti i 2 punti aggiuntivi inerenti la voce “Q5_Certificazioni”, in ragione del ricorso all’avvalimento premiale per la certificazione della parità di genere.
La seconda classificata presentava ricorso al T.R.G.A. Bolzano chiedendo l’annullamento dell’aggiudicazione.
Per quanto di interesse, la ricorrente contestava l’utilizzo dell’avvalimento premiale per ovviare al mancato possesso in proprio della certificazione della parità di genere.
Il T.R.G.A. Bolzano accoglieva il ricorso di primo grado con la sentenza n. 54/2025.
L’originaria aggiudicataria presentava appello avverso la decisione di primo grado.
La decisione del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato accoglieva l’appello in relazione al motivo riguardante l’astratta possibilità di ricorrere all’avvalimento premiale per sopperire alla mancanza della certificazione della parità di genere.
Nel dettaglio, i giudici di Palazzo Spada dapprima procedevano ad un’analisi dell’istituto dell’avvalimento, sottolineando che “è istituto di ascendenza eurounitaria tradizionalmente ispirato, in un’ottica pro-concorrenziale, al favor partecipationis e, quindi, a consentire l’ampliamento della platea dei potenziali concorrenti alla procedura”, e rilevando come – nel nuovo Codice dei contratti pubblici – sia stato spostato “l’asse della sua disciplina” tramite l’espresso riconoscimento dell’avvalimento premiale c.d. puro (nel quale il prestito della risorse è finalizzato solo al miglioramento del punteggio, e non all’acquisizione dei requisiti di partecipazione mancanti), con il definitivo superamento degli arresti giurisprudenziali che avevano ammesso l’avvalimento premiale nella sola forma c.d. mista (migliorativa e partecipativa) sotto la vigenza del d.lgs. n. 50/2016.
Il giudice di appello precisava che “l’avvalimento cd. “premiale” risulta dotato di un’“autonoma funzione pro-concorrenziale”, qualitativamente distinta rispetto all’avvalimento partecipativo, e che consiste, in maniera non dissimile a quanto accade per altri istituti (tra cui in primis le forme di partecipazione aggregata alla procedura- R.T.I., consorzi), nella possibilità per l’operatore economico di accrescere la qualità tecnica della propria offerta, rendendola più idonea a conseguire l’aggiudicazione al fine di ottenere maggiore spazio sul mercato ed incrementare la propria efficienza produttiva e i propri livelli di redditività”, aggiungendo che “Ebbene, in questa ottica, costituendo l’avvalimento anche nella sua versione “premiale”, istituto servente alla realizzazione del fondamentale principio di matrice eurounitaria della concorrenza (art. 3 del nuovo Codice dei Contratti Pubblici, Considerando 1 alla Direttiva 2014/24/UE DEL Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014), i giudici nazionali sono tenuti a prediligere, in sede interpretativa, anche al fine di garantire il cd. “effetto utile”, le soluzioni ermeneutiche che ne consentano l’operatività o che, comunque, ne assicurino il più vasto campo di applicazione”.
Successivamente, il Consiglio di Stato analizzava la disciplina dell’avvalimento premiale nel nuovo Codice dei contratti pubblici, evidenziando che in esso si ammette in via generale il ricorso a tale forma di avvalimento con la contestuale previsione espressa di taluni limiti puntuali – i quali, rappresentando delle eccezioni alla regola generale, devono essere necessariamente interpretati e applicati in modo restrittivo.
I giudici di Palazzo Spada procedevano poi all’analisi delle caratteristiche oggettive della certificazione della parità di genere, precisando che essa si riferisce “all’organizzazione ed ai processi aziendali comprovando che si è prescelto un assetto di questi in grado di assicurare inclusione ed equità di genere. Ciò ne fa un attributo del compendio aziendale (inteso ex art. 2555 c.c. quale “complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”), esportabile, come tale, nella sua oggettività da un’impresa all’altra”.
Infine, il giudice di appello comparava la certificazione della parità di genere alla certificazione di qualità – pacificamente suscettibile di avvalimento premiale –, sottolineandone i profili di simmetria e vicinanza.
Brevi considerazioni conclusive
La pronuncia in esame appare di notevole rilevanza date le oscillazioni e i contrasti sorti in giurisprudenza sul tema dell’avvalimento premiale per la certificazione della parità di genere.
Alle aperture di alcuni TAR (v. in particolare, TAR Marche n. 862/2024; TAR Toscana 1026/2025) si sono infatti contrapposte le nette chiusure di altri giudici, tra cui il T.R.G.A. Bolzano con le sentenze nn. 257/2024 e 54/2025.
La tesi contraria appare fondarsi su una serie di argomenti, tra i quali la lettura della certificazione della parità di genere quale “condizione soggettiva intrinseca” dell’impresa, in quanto tale non trasferibile a terzi; la radicale e assoluta inidoneità di un contratto di avvalimento – quali ne siano i contenuti – a garantire che le prassi rispettose della parità di genere siano concretamente implementate dall’impresa ausiliata; l’intrasferibilità della qualità dell’impresa in ragione della sua certificazione da parte di uno specifico organismo accreditato.
A parere di chi scrive, la diversa impostazione accolta dal Consiglio di Stato appare preferibile per una serie di ragioni.
In primo luogo, la tesi del T.R.G.A. Bolzano appare forzare il dato letterale dell’art. 108, comma 7, del d.lgs. n. 36/2023, laddove ritiene che la tale disposizione imponga il possesso diretto della certificazione della parità di genere da parte dell’impresa che vuole ottenere il punteggio migliorativo, mentre in realtà essa prevede solo che l’adozione delle “politiche tese al raggiungimento della parità di genere” sia “comprovata dal possesso della certificazione”, senza, cioè, escludere il possesso “indiretto” tramite il ricorso all’avvalimento.
Non si riscontra, cioè, un’univoca ed espressa presa di posizione del legislatore in favore del “possesso in proprio” della certificazione.
In secondo luogo, a non essere condivisibile appare anche l’interpretazione della certificazione in esame quale “condizione soggettiva intrinseca” dell’impresa, che rappresenta essenzialmente il nodo centrale della tesi del T.R.G.A. Bolzano.
Questa lettura sembra frutto di una confusione di ruoli tra legislatore e Amministrazione: al primo spetta il compito di individuare l’obiettivo di politica sociale e il relativo strumento con il quale perseguirlo; l’Amministrazione è invece chiamata ad attuare e a rendere operativo lo strumento previsto dalla legge, riconoscendo il punteggio migliorativo alle imprese “socialmente virtuose” – sia perché in direttamente in possesso della certificazione, sia perché, grazie all’apporto dell’ausiliaria, adottano nella propria organizzazione le politiche rispettose della parità di genere.
Del resto, consentire il ricorso all’avvalimento permette di diffondere più rapidamente i modelli gestionali socialmente virtuosi, e non di rado accade che le imprese ausiliate ottengano successivamente la certificazione in esame proprio grazie alla precedente implementazione nella propria azienda di tali politiche.
Ciò accade poiché il prestito del requisito qui in rilievo richiede, per realizzarsi, il trasferimento da un’impresa all’altra di approcci e pratiche gestionali e produttive volte a ridurre il divario di genere, a garantire la parità salariale e a tutelare la maternità, il che evidenzia che si tratta in realtà di un trasferimento di condizioni “oggettive” – che attengono, cioè, all’organizzazione strutturale e operativa dell’impresa – e non di “condizioni soggettive intrinseche”.
Trattasi, in sintesi, del passaggio di un modello di organizzazione aziendale tramite l’adozione degli stessi processi e delle medesime pratiche.
In terzo luogo, la presenza di un soggetto certificatore non rende ex se intrasferibile il requisito esaminato, date le palesi analogie con la certificazione di qualità (per le quali si rinvia alla sentenza del Consiglio di Stato) la quale – similmente alla certificazione della parità di genere – attiene all’organizzazione dell’impresa.
In conclusione, la tesi dei giudici di Palazzo Spada appare maggiormente persuasiva di quella dei TAR dal punto di vista sia letterale, sia sistematico, e rappresenta una presa di posizione che potrebbe consentire di superare il contrasto giurisprudenziale ancora aperto.
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