Consiglio di Stato, Sez. III, del 20 ottobre 2025, n. 8094
Principio di equivalenza – art. 42, par. 5 e 6 Direttiva 2014/24/UE – favor partecipationis – par condicio – specifiche tecniche – requisiti minimi obbligatori – requisiti tecnici minimi “funzionali” e “strutturali”
Il principio di equivalenza è stato introdotto nel sistema dal legislatore europeo (ex art. 42, par. 6 della direttiva 2014/24/UE) al chiaro fine di evitare che le “specifiche tecniche” fossero utilizzate dalle stazioni appaltanti in modo restrittivo della concorrenza, richiedendo caratteristiche tecniche dei prodotti o servizi, se non addirittura riconducibili solo a specifici produttori o processi di produzione, idonee a limitare fortemente la platea degli operatori economici in possesso delle capacità tecniche che consentissero loro di partecipare alla procedura di affidamento.
In funzione del principio di equivalenza è stata elaborata dalla giurisprudenza la distinzione tra le “specifiche tecniche”, rispetto alle quali il principio di equivalenza è sempre applicabile, e i “requisiti minimi obbligatori”, che possono essere richiesti a pena di esclusione in quanto esprimono la definizione a priori dei bisogni dell’Amministrazione e quindi hanno l’effetto di perimetrare a monte i tipi di prestazioni che sono state considerate idonee a soddisfare tali bisogni.
Il principio di equivalenza è estensibile anche ai requisiti minimi qualificati come obbligatori dalla disciplina di gara, ma ciò sulla scorta di un approccio “funzionale”, ossia con riferimento a fattispecie in cui dalla stessa lex specialis (al di là dei casi in cui già quest’ultima richiami l’applicabilità del principio de quo anche ai requisiti tecnici minimi) emerge che determinate caratteristiche tecniche siano richieste al fine di assicurare all’Amministrazione il perseguimento di determinate finalità, e dunque può ammettersi la prova che queste ultime siano soddisfatte anche attraverso prodotti o prestazioni aventi caratteristiche tecniche differenti da quelle richieste.
La distinzione tra requisiti tecnici minimi “strutturali” (a cui il principio di equivalenza non sarebbe mai applicabile) e “funzionali”(per i quali varrebbe invece la possibilità di applicare tale principio) è molto sfumata e opinabile.
Indice
Il caso di specie
Un’azienda ospedaliero-universitaria e un’ASL indicevano una procedura aperta – sulla base di una proposta ai sensi dell’art. 193 d.lgs. n. 36/2023 (finanza di progetto) – per l’affidamento della concessione di reingegnerizzazione dei processi e l’erogazione di servizi per la gestione e la tracciabilità dei dispositivi medici monouso e impiantabili, da eseguirsi presso le sedi delle strutture sanitarie.
La proposta veniva presentata da un operatore di seguito alle esigenze manifestate dalle aziende suddette in merito all’innovazione dei sistemi di gestione e tracciabilità dei dispositivi medici attraverso una tecnologia a radio frequenze (“radio frequency identification”), con l’obiettivo di superare il sistema tradizionale di gestione a “vista” mediante codici a barre.
La disciplina di gara prevedeva che l’aggiudicazione sarebbe avvenuta sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, con un massimo di 70 punti per l’offerta tecnica e un massimo di 30 punti per l’offerta economica.
Il bando stabiliva anche una soglia di sbarramento fissata a 40 punti, precisando che, ove la valutazione dell’offerta tecnica presentata fosse risultata inferiore a quella soglia limite, non si sarebbe proceduto all’apertura dell’offerta economica e l’operatore economico sarebbe stato escluso.
Alla procedura partecipavano due soli concorrenti.
L’offerta tecnica di una delle due aziende non superava la soglia di “sbarramento” e pertanto veniva esclusa, con successivo affidamento della concessione, di durata pari a 15 anni, all’altro operatore concorrente.
Insorgeva avverso la decisione della stazione appaltante la società esclusa, la quale chiedeva l’annullamento degli atti impugnati, oltre alla declaratoria di inefficacia del contratto ove nelle more stipulato e il risarcimento del danno in forma specifica, ovvero, in subordine, per equivalente monetario, assumendo (in sintesi): a) la illogicità, irrazionalità, irragionevolezza, contraddittorietà ed ingiustizia dei punteggi assegnati alla propria offerta, sia in termini assoluti, sia in comparazione con la valutazione dell’offerta della controinteressata; b) in subordine, la illegittimità della lex specialis di gara per violazione del principio di equivalenza e del risultato, andando asseritamente la stessa a limitare e penalizzare in modo irragionevole e ingiustificato tecnologie diverse da quelle oggetto della proposta di partenariato, pur formalmente in grado di raggiungere il medesimo risultato; c) sempre in subordine, la illegittimità della lex specialis di gara per violazione del principio del favor partecipationis, avendo legato il conseguimento del punteggio premiale per le “referenze” a criteri iper-restrittivi, che solo la controinteressata era in grado di soddisfare.
Con i secondi motivi aggiunti, la società impugnava pure il provvedimento di affidamento della concessione alla controinteressata, oltre agli atti già impugnati con i precedenti gravami, chiedendone l’annullamento, previa sospensione cautelare dell’efficacia, assumendone l’invalidità derivata per i medesimi vizi prospettati nel ricorso principale e nel primo ricorso per motivi aggiunti.
I contraddittori (aziende sanitarie e controinteressato affidatario del contratto) si costituivano eccependo l’inammissibilità delle censure sui punteggi, perché avrebbero concretizzato, a loro dire, uno sconfinamento nel merito amministrativo. Entrambi, poi, opponevano che la tecnologia offerta dall’azienda esclusa non sarebbe stata affatto equivalente a quella oggetto della proposta approvata e posta a base di gara. La controinteressata, in particolare, giungeva ad affermare che l’offerta della ricorrente avrebbe configurato un’ipotesi di aliud pro alio.
La P.A. e l’affidataria del contratto controdeducevano nel merito a tutte le doglianze avanzate dalla ricorrente, concludendo per la reiezione del ricorso principale e dei motivi aggiunti.
La decisione del TAR
Come si avrà avuto modo di notare, la questione, in sintesi, riguardava la tecnologia posta a base delle due soluzioni offerte dalle aziende partecipanti alla gara.
Il primo operatore, proponente il PPP, strutturava la sua offerta incentrandola su di un sistema di gestione della “filiera” (farmaci/dispositivi medici) basato sulla identificazione dei prodotti tramite etichette (tags) apposte sulle confezioni, sugli strumenti presenti presso i magazzini, le farmacie interne e le singole unità di intervento, beni (e strutture) che avrebbero dialogato tra loro attraverso onde radio.
L’altra società (quella esclusa) formulava un’offerta coerente con le finalità e gli obiettivi del partenariato (miglioramento della qualità dei processi, attraverso l’abbattimento degli errori e il risparmio di tempo infermieristico; messa a punto di un metodo di controllo sull’appropriatezza di impiego dei dispositivi medici basato sulle evidenze raccolte; superamento dei limiti della logistica tradizionale attraverso gli strumenti di tracciabilità, l’automazione e l’informatizzazione dei processi; ecc.), ma basata su di una tecnologia differente.
In questo caso, l’offerta si strutturava su di un sistema di identificazione del farmaco/dispositivo medico tramite codici a barre, i quali, come noto, contengono i dati identificativi generati dal fabbricante, informazioni che sono già presenti sulla confezione dei prodotti, in attuazione di quanto ormai previsto da qualche anno dal regolamento dell’Unione Europea n. 2017/745 sui dispositivi medici (c.d. “Medical Device Regulation” – “MDR”).
Più specificamente, prima dell’immissione in commercio di un dispositivo medico o di un farmaco è obbligatorio, per il fabbricante, assegnare ab origine il c.d. “UDI” (codice numerico o alfanumerico unico, specifico per modello, variante, versione ecc.) e registrare il prodotto con il relativo codice sulla banca dati “Eudamed” (banca dati istituita dalla Commissione UE per implementare l’applicazione del regolamento indicato e rafforzare, così, la trasparenza e la sorveglianza del mercato dei prodotti e dispositivi medici attraverso la raccolta di informazioni sull’intero loro ciclo di vita). Accanto al codice UDI ogni dispositivo ha, poi, un codice “UDI-PI”, il quale identifica l’unità di produzione del prodotto ed include il numero di serie, il numero di lotto, l’identificazione del software e la data di fabbricazione o di scadenza o entrambi i tipi di data.
La proposta della società ricorrente, in sostanza, consisteva nell’utilizzare, tramite la strumentazione (hardware e software) da essa fornita, detti codici a barre (senza ricorrere a tecnologia con radio-frequenze), in modo da rendere superflua la fase di applicazione manuale, ad opera di personale del concessionario, dei tags (necessari per la radio frequenza) su ciascun farmaco/dispositivo medico in ingresso presso le strutture degli enti concedenti.
In tal modo, secondo la tesi del concorrente, sarebbe stata ridotta la possibilità di errori nella creazione manuale dei tags (che, peraltro, avrebbero dovuto riportare gli stessi dati già presenti nei codici a barre dei fabbricanti di dispositivi e farmaci) e nell’associazione dei tags al dispositivo medico oppure al farmaco. Tramite il sistema a codice a barre sarebbe stato escluso, sosteneva la ditta, pure il rischio di interferenze cui sono soggette le onde radio.
All’esito della controversia, nella quale il giudice trattava e smentiva in più punti l’operato della Commissione giudicatrice (le cui valutazioni tecnico-discrezionali – fermi i limiti tradizionalmente individuati dalla giurisprudenza – venivano qualificate come illogiche, abnormi, irragionevoli, ecc.) il TAR accoglieva il ricorso principale e quelli per motivi aggiunti, annullando per l’effetto gli atti impugnati, tra i quali l’affidamento del PPP.
Nel merito, il giudice riconosceva: “…profili di macroscopica incoerenza, illogicità, irrazionalità e irragionevolezza dei punteggi assegnati [dalla Commissione giudicatrice]” così diffusi ed estesi da rendere complessivamente inattendibile la valutazione dell’offerta della ricorrente operata dall’organo straordinario della P.A.
Secondo la giurisprudenza, concludeva il giudice, qualora la lex specialis demandi in modo decisivo (o addirittura esclusivo, come ritenuto nel caso di specie) l’attribuzione del punteggio alle scelte discrezionali della Commissione giudicatrice: “…la prova di resistenza si intende superata se le risultanze della gara non consentono di escludere che l’offerta della parte ricorrente, attraverso una diversa valutazione priva dei vizi denunciati, potesse divenire aggiudicataria oppure (come nel caso di specie) potesse superare la soglia di sbarramento (si cfr., T.A.R. Calabria – Catanzaro, sez. II, sentenza n. 259/2025; T.A.R. Liguria, sez. I, sentenza n. 492/2023)”.
In definitiva, come accennato, venivano annullati gli atti contestati.
La decisione del Consiglio di Stato
Dinanzi al Consiglio di Stato (adito dalla stazione appaltante e dall’operatore controinteressato) è stata riproposta la questione relativa all’assunta mancata ed esplicita dimostrazione dell’equivalenza della soluzione tecnica proposta dall’appellata (ricorrente vittoriosa in primo grado) rispetto a quanto richiesto dalla legge di gara (e offerto dall’azienda originariamente affidataria del PPP).
Sul punto, il Consiglio di Stato ha innanzitutto illustrato che vige, in linea generale, il principio secondo cui è a carico dell’offerente l’onere di indicare, in sede di procedura concorsuale, l’equivalenza funzionale dei prodotti e servizi proposti, non potendo egli integrare ex post (dopo la presentazione della domanda di partecipazione alla gara) né tantomeno in sede giudiziale la propria offerta, fatto salvo il potere della stessa amministrazione aggiudicatrice di effettuare una simile valutazione (anche di seguito a chiarimenti chiesti all’offerente) nell’ambito del procedimento di affidamento.
Ciò sul presupposto per cui, nell’ambito di una procedura ad evidenza pubblica, le caratteristiche minime stabilite nella documentazione di gara non devono intendersi come vincolanti nel quomodo, ma soltanto quoad effectum, nel senso, cioè, che le offerte sono ritenute rispettose della lex specialis laddove siano, comunque, capaci di conseguire il fine ultimo dell’affidamento.
Se è vero, allora, che la difformità dell’offerta rispetto alle caratteristiche tecniche previste nel capitolato di gara per i beni o servizi da fornire può risolversi, in astratto, in un aliud pro alio idoneo a giustificare, di per sé, l’esclusione dalla selezione anche in assenza di una espressa comminatoria in tal senso: “…tuttavia questo rigido automatismo opera nel solo caso in cui le specifiche tecniche previste nella legge di gara consentano di ricostruire con esattezza il servizio richiesto dall’Amministrazione e di fissare in maniera analitica ed inequivoca determinate caratteristiche tecniche come obbligatorie, e quindi laddove la disciplina di gara preveda qualità del prodotto che con assoluta certezza si qualifichino come caratteristiche minime”.
Viceversa, qualora residui un margine di ambiguità circa l’effettiva portata delle clausole afferenti il perimetro tecnico di quanto richiesto dalla P.A., riprende vigore il principio che impone di preferire l’interpretazione della lex specialis maggiormente rispettosa del favor partecipationis e dell’interesse al più ampio confronto concorrenziale, oltre che della tassatività – intesa anche nel senso di tipicità ed inequivocabilità – della cause di esclusione (il Collegio cita Cons. Stato, sez. III, 14 maggio 2020, n. 3084). Ciò è tanto più vero se la presentazione di un’offerta secondo una data tecnologia non è esclusa a priori, ma è anzi addirittura ammessa dalle amministrazioni concedenti, purché rispettosa degli obiettivi di gara.
In tali casi, ha spiegato il Collegio, si lascia aperta la possibilità di prestazioni quanto meno uguali, se non migliorative, di quelle previste dalla lex specialis (con conseguente rafforzamento dell’obbligo motivazionale in caso di non ammissione) proprio in virtù della valutazione fatta a monte dalla stazione appaltante, sull’ammissibilità di tecnologie diverse (sempreché, come sopra accennato, il servizio o il bene non sia richiesto esattamente ed esclusivamente con quelle caratteristiche che il bando deve eventualmente stabilire a pena di esclusione).
Allora, la verifica del rispetto delle caratteristiche tecniche minime richieste dalla lex specialis: “…costituisce l’esito di un vaglio strettamente documentale, condotto dalla Commissione anche implicitamente (si cfr. Cons. Stato, sez. III, 9 giugno 2022, n. 4721) sulla base del proprio apprezzamento, da considerare di per sé astrattamente insuscettibile di revisione nella sede giurisdizionale in mancanza di chiari rilievi di illogicità ed incongruità manifesta, secondo i comuni principi in materia”. Il ragionamento porta a concludereche ciò che conta:“…è che dall’offerta tecnica complessivamente considerata emerga il rispetto delle previsioni [della legge di gara] secondo un non irragionevole apprezzamento, dovendo escludersi a tal riguardo che possa avere un’incidenza determinante la sedes da cui ciò si trae nell’ambito dell’offerta tecnica”.
Ciò premesso, il giudice ha poi ricordato – ma il concetto permea tutta la sentenza fin dalle prime considerazioni del Collegio – che il principio di equivalenza è stato (a suo tempo) introdotto nel sistema dal legislatore europeo (ex art. 42, par. 6 Direttiva 2014/24/UE) al chiaro fine di evitare che le “specifiche tecniche” fossero utilizzate dalle stazioni appaltanti in modo restrittivo della concorrenza, richiedendo caratteristiche, dei prodotti o servizi, se non addirittura riconducibili solo a specifici produttori o processi di produzione, idonee a limitare fortemente la platea degli operatori economici in possesso delle capacità tecniche per partecipare alle procedure di affidamento.
Da qui: “…la distinzione operata dalla giurisprudenza tra le «specifiche tecniche», rispetto alle quali il principio di equivalenza è sempre applicabile, e i «requisiti minimi obbligatori», che possono essere richiesti a pena di esclusione in quanto esprimono la definizione a priori dei bisogni dell’Amministrazione, e quindi hanno l’effetto di perimetrare a monte i tipi di prestazioni che sono state considerate idonee a soddisfare tali bisogni”.
Il Collegio, fatta questa premessa, si è preoccupato, dunque, di valutare il principio di equivalenza anche in relazione ai “requisiti minimi” stabiliti dalla legge di gara per poter partecipare alla competizione.
In questo caso, il Consiglio di Stato ha ricordato che il principio di equivalenza risulta estensibile anche ai requisiti minimi qualificati come “obbligatori” dalla disciplina di gara, ma ciò sulla scorta di un approccio “funzionale”, ossia con riferimento a fattispecie in cui dalla stessa lex specialis emerga come determinate caratteristiche tecniche siano richieste al fine di assicurare all’amministrazione il perseguimento di determinate finalità, potendosi ammettere, allora, che queste ultime (le finalità) possano essere soddisfatte pure attraverso prodotti o prestazioni aventi caratteristiche tecniche differenti da quelle richieste (si riporta la sentenza Cons. Stato, sez. III, 6 settembre 2023, n. 8189).
In tali ultimi casi: “…l’estensione in via giurisprudenziale dell’ambito di applicazione del principio di equivalenza, ancorché in sé e per sé non confliggente con il diritto europeo, trova fondamento – a ben vedere – non già nelle esigenze pro-concorrenziali perseguite dal citato art. 42, par. 6, della direttiva 2014/24/UE, ma nel più generale principio del favor partecipationis (e, difatti, come già rilevato, trova il limite del rispetto della par condicio tra i concorrenti, che si verificherebbe laddove fosse consentito a un concorrente di offrire aliud pro alio)”.
Sempre sull’argomento (applicabilità del principio di equivalenza ai requisiti minimi), il Collegio ha inoltre ricordato che le considerazioni che precedono: “…devono essere valutate con l’avvertenza che […] la distinzione tra requisiti tecnici minimi “strutturali” (a cui il principio de quo non sarebbe mai applicabile) e “funzionali” (per i quali varrebbe quanto sopra detto) è molto sfumata e opinabile, essendo stato adottato l’approccio “funzionale” finanche per ammettere la possibilità di offrire prodotti di materiale diverso da quello richiesto a pena di esclusione dalla lex specialis (come nelle fattispecie esaminate in Consiglio di Stato, sez. III, 6 dicembre 2023, n. 10536, e 25 novembre 2020, n. 7404)”.
Per concludere, il giudice ha poi analizzato nel merito l’appello, confermando – a fronte delle critiche mosse alla sentenza – le statuizioni del TAR circa le valutazioni svolte in sede di gara dalla Commissione giudicatrice, confermando, a tal proposito, le “censure” espresse dal primo giudice avverso l’operato dell’organo valutativo e ritenendo, per l’effetto, infondate le ragioni di doglianza delle parti appellanti.
Note sul principio di equivalenza
Il principio di equivalenza rappresenta uno dei capisaldi della disciplina degli appalti pubblici, configurandosi come strumento essenziale per garantire la massima apertura alla concorrenza e il rispetto del principio del favor partecipationis. Esso trova la sua disciplina nel vigente Codice dei contratti (d.lgs. n. 36/2023) nell’art. 79, norma che però, in realtà, stabilisce soltanto che le specifiche tecniche sono definite e disciplinate nell’allegato II.5, che ne regola l’applicazione in continuità con la precedente normativa (art. 68 d.lgs. n. 50/2016).
Il principio, come già ricordato nella sentenza, affonda le proprie radici nel diritto euro-unitario, costituendo attuazione dell’art. 42, parr. 5 e 6 direttiva 2014/24/UE. La normativa europea (par. 5), in particolare, prevede che le stazioni appaltanti non possono escludere un’offerta per il solo fatto che i lavori, le forniture o i servizi offerti non sono conformi alle specifiche tecniche prescritte, se l’offerente dimostra che le soluzioni proposte ottemperano in maniera equivalente alle prestazioni, ai requisiti funzionali e alle specifiche tecniche richieste.
Il principio di equivalenza permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica ed è finalizzato ad evitare un’irragionevole limitazione del confronto competitivo fra gli operatori economici, precludendo l’ammissibilità di offerte aventi oggetto sostanzialmente corrispondente a quello richiesto ma formalmente prive della specifica prescritta.
Dal punto di vista del diritto “interno”, la possibilità di ammettere alla comparazione prodotti (o servizi o lavori) aventi specifiche tecniche equivalenti a quelle richieste risponde, da un lato, ai principi costituzionali di imparzialità, buon andamento e libertà d’iniziativa economica e, dall’altro, come detto, al principio euro-unitario di concorrenza (con il noto corollario del favor partecipationis alle pubbliche gare).
L’equivalenza ha, peraltro, il fine di contrastare il fenomeno dei c.d. “bandi fotografia”, ossia i casi di individuazione “su misura” dei requisiti tecnici, oggetto dei pubblici appalti (si pensi alla scelta, ad esempio, di un determinato prodotto, fabbricato da un determinato produttore, ecc.), idonei ad alterare il funzionamento (e le finalità) delle gare.
La corretta applicazione del principio richiede un equilibrio tra diverse istanze: da un lato, la necessità di ampliare la platea dei concorrenti e favorire la concorrenza; dall’altro, l’esigenza di garantire che le offerte ammesse siano effettivamente idonee a soddisfare i bisogni della stazione appaltante, nel rispetto (anche e forse soprattutto) del “risultato” (art. 1 Codice).
Con riferimento al principio di equivalenza, la giurisprudenza ha affermato che: “…in linea generale, il tema va inquadrato in principi di derivazione unionale che attribuiscono la possibilità di ammettere alla comparazione prodotti aventi specifiche tecniche equivalenti a quelle richieste, ai fini della selezione della migliore offerta, e risponde, da un lato, ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento e di libertà d’iniziativa economica e, dall’altro, al principio euro-unitario di concorrenza, che vedono quale corollario il favor partecipationis alle pubbliche gare, mediante un legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’Amministrazione alla stregua di un criterio di ragionevolezza e proporzionalità. L’equivalenza presuppone, quindi, la corrispondenza delle prestazioni del prodotto offerto, ancorché difforme dalle specifiche tecniche indicate dalla stazione appaltante, quale conformità sostanziale con le dette specifiche tecniche, nella misura in cui queste vengano nella sostanza soddisfatte. Ne deriva, sul piano applicativo, che, sussistendone i presupposti, la stazione appaltante deve operare il giudizio di equivalenza sulle specifiche tecniche dei prodotti offerti non già attenendosi a riscontri formalistici, ma sulla base di criteri di conformità sostanziale (e funzionale) delle soluzioni tecniche offerte, sì che le specifiche indicate dal bando vengono in pratica comunque soddisfatte (si cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. III, 7 luglio 2021, n. 5169)” (Cons. Stato, sez. III, 13 marzo 2025, n. 2066).
Il principio, così, sottende una valutazione di omogeneità funzionale tra soluzioni, prodotti o dispositivi tecnici, ravvisabile ogni qual volta questi siano in grado di assolvere, in modo sostanzialmente analogo, alla finalità di impiego loro assegnata (si cfr. TAR Liguria, sez. I, 11 ottobre 2023, n. 853; TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 27 luglio 2023, n. 2506; TAR Lazio, Roma, sez. III, 20 giugno 2023, n. 10468 e 6 giugno 2023, n. 9488; TAR Campania, Napoli, sez. V, 3 febbraio 2023, n. 792).
Il fine ultimo dell’equivalenza èquello: “…di evitare che le stazioni appaltanti, le quali, in ipotesi, all’atto di redazione del capitolato, non avendo specialistica conoscenza del singolo mercato di riferimento, non abbiano ben individuato tutte le caratteristiche di dettaglio dei prodotti ed in presenza di prodotti che pur pienamente e financo meglio garantirebbero le esigenze sottese alla gara, si trovino private della possibilità di conseguire l’offerta nel complesso migliore con una artificiosa riduzione della concorrenza per eccessiva rigidità della legge di gara” (TAR Lazio, Roma, sez. III, 29 novembre 2024, n. 21463).
L’equivalenza trova applicazione indipendentemente da espressi richiami negli atti di gara o da parte dei concorrenti, in tutte le fasi della procedura di evidenza pubblica. Tale caratteristica ne evidenzia la natura di principio a carattere etero-integrativo, capace di operare anche in assenza di una esplicita previsione nella lex specialis (in questo senso, la commissione di gara può effettuare la valutazione di equivalenza anche in forma implicita, ove dalla documentazione tecnica sia desumibile la rispondenza del prodotto al requisito previsto dalla lex specialis: TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 27 giugno 2024, n. 2083; Cons. Stato, sez. V, 15 febbraio 2024, n. 1545; TAR Marche, sez. II, 4 marzo 2024, n. 207).
Tuttavia, è stato precisato che l’operatore non può pretendere che tale accertamento (quello relativo all’equivalenza) sia compiuto d’ufficio dalla stazione appaltante o, addirittura, che sia demandato alla sede giudiziaria una volta impugnato l’esito della gara, avendo pertanto il concorrente l’onere di dimostrare (e dichiarare se del caso), già nella propria offerta, l’equivalenza, ad esempio, tra i servizi o tra i prodotti (si v. quanto riportato in TAR Lombardia, Milano, sez. II, 2 febbraio 2024, n. 276).
La giurisprudenza, come già accennato in questa nota, ha poi operato una distinzione tra le “specifiche tecniche”, rispetto alle quali il principio di equivalenza sarebbe sempre applicabile, e i “requisiti minimi obbligatori”, richiesti a pena di esclusione, in quanto esprimono la definizione a priori dei bisogni del soggetto pubblico e quindi hanno l’effetto di predeterminare la tipologia di prestazioni considerate idonee a soddisfare tali bisogni.
In relazione a questi ultimi, un orientamento ha ritenuto non applicabile il principio di equivalenza.
Secondo l’indirizzo negativo (si cfr. Cons. Stato, sez. III, 28 giugno 2023, n. 6306), tale principio non potrebbe trovare applicazione nel caso di requisiti minimi c.d. “strutturali”, essendo gli stessi legati al perimetro “invalicabile” dell’utilità richiesta (si pensi, ad esempio, a specifici requisiti tecnici necessari a garantire l’interoperabilità di un sistema con le infrastrutture digitali di diverse amministrazioni).
Un altro, invece, ha ritenuto il principio di equivalenza estensibile anche ai requisiti minimi qualificati come obbligatori dalla disciplina di gara, ma ciò ha fatto sulla scorta di un approccio “funzionale”, ossia con riferimento a fattispecie in cui dalla stessa lex specialis emerga la richiesta di determinate caratteristiche tecniche al fine di assicurare alla P.A. il perseguimento di determinate finalità, potendosi ammettere la prova che queste (le finalità) possano essere soddisfatte anche attraverso prodotti o prestazioni aventi caratteristiche tecniche differenti da quelle richieste (si cfr. Cons. Stato, sez. III, 9 maggio 2024, n. 4155).
La qualificazione in termini “strutturali” o “funzionali” di un requisito minimo prescritto dalla legge di gara (distinzione di per sé incerta), è bene precisarlo, non dipende, però, dalla natura del requisito in sé considerata, bensì dall’esistenza o meno nella lex specialis dell’esplicitazione delle finalità e dei bisogni dell’amministrazione che la previsione di una determinata caratteristica tecnica è destinata a soddisfare.
Il principio di equivalenza incontra, poi, un limite invalicabile nella difformità del bene o del servizio rispetto a quello descritto dalla lex specialis, configurante l’ipotesi di aliud pro alio non rimediabile (si v. Cons. Stato, sez. V, 25 luglio 2019, n. 5258; Cons. Stato, sez. III, 30 agosto 2022, n. 7558).
L’aliud pro alio, concretamente,si configura quando si offre un bene radicalmente diverso rispetto a quello descritto nella lex specialis, finendo per rendere sostanzialmente indeterminato l’oggetto dell’appalto. La giurisprudenza ha precisato che l’aliud pro alio deve essere valutato sulla base di tre profili: “tipologico, strutturale e funzionale”, rammentando che è rinvenibile una “variante” non consentita allorquando siano introdotte modifiche (rispetto a quanto individuato dalla legge di gara) che nulla abbiano a che vedere con la richiesta della P.A. (si cfr. Cons. Stato, sez. V, 2 luglio 2025, n. 5706, che richiama Cons. Stato, sez. V, 3 maggio 2019, n. 2873).
Con riferimento alla disciplina del Codice, considerato che l’art. 79 nulla chiarisce circa il contenuto dell’equivalenza rinviando all’allegato II.5, nella “Parte II” di detto allegato (“specifiche tecniche”) si stabilisce (punto 6) che, salvo che siano giustificate dall’oggetto dell’appalto, le specifiche tecniche non possono menzionare una fabbricazione o provenienza determinata o un procedimento particolare caratteristico dei prodotti forniti da un operatore economico specifico, né far riferimento a un marchio, brevetto, tipo, origine o produzione apposita che avrebbero l’effetto di favorire o eliminare talune imprese o taluni prodotti.
Tale menzione o riferimento sono tuttavia consentiti, in via eccezionale, nel caso in cui non sia possibile una descrizione sufficientemente precisa e intelligibile dell’oggetto dell’appalto (secondo i criteri indicati nel punto 5 di tale Parte II). In tal caso, la menzione deve essere accompagnata dall’espressione: “o equivalente”.
La prova dell’equivalenza di quanto offerto, da rendersi secondo le modalità eventualmente indicate nella disciplina di gara, costituisce parte integrante dell’offerta e grava sul concorrente, mentre spetta alla stazione appaltante svolgere una verifica effettiva e proficua della dichiarazione.
Concretamente, l’operatore economico che intende avvalersi del principio in esame deve dimostrare (in gara) la corrispondenza fra la propria offerta e quanto richiesto dalla stazione appaltante. Secondo l’allegato II.5, cit.: “…l’offerente dimostra, nella propria offerta, con qualsiasi mezzo appropriato, compresi i mezzi di prova di cui all’articolo 105 del codice, che le soluzioni proposte ottemperano in maniera equivalente alle prestazioni, ai requisiti funzionali e alle specifiche tecniche prescritti” (punto 8).
I concorrenti non devono presentare una “formale dichiarazione” circa l’equivalenza del prodotto offerto (anche se rende più agevole il compito di valutazione della S.A.), potendo la relativa prova essere data, come appena detto, con qualsiasi mezzo appropriato (la giurisprudenza, a tal proposito, ha ritenuto che, ad esempio, negli appalti di forniture, la produzione in sede di offerta delle schede tecniche dei prodotti è generalmente idonea a consentire alla stazione appaltante lo svolgimento del giudizio di conformità e di equivalenza: si v. Cons. Stato, sez. V, 25 marzo 2020, n. 2093; Cons. Stato, sez. IV, 4 marzo 2021, n. 1863; negli appalti di servizi, si v. quanto stabilito da Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2021, n. 4353, secondo cui le caratteristiche minime stabilite nella documentazione di gara per il servizio non debbono intendersi come vincolanti nel quomodo, ma soltanto quoad effectum: le offerte, in altre parole, dovranno dimostrare di essere capaci di conseguire il fine ultimo del servizio).
Logico corollario di quanto detto è quello per cui, in mancanza della predetta prova, non è ammesso il soccorso istruttorio, ma deve essere disposta l’esclusione dalla gara dell’offerta difforme per difetto di una qualità essenziale della proposta (Cons. Stato, sez. V, 3 agosto 2023, n. 7502).
Solo per completezza, infine, un’applicazione “concreta” del principio in questione è stata introdotta nel corpo del Codice con il correttivo del 2024 (d.lgs. n. 209/2024), con l’equivalenza tra Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro.
In particolare, è stato “aggiunto” l’allegato I.01 al Codice, che specifica il contenuto dell’art. 11 d.lgs. n. 36/2023, il quale stabilisce che gli operatori economici, in sede di offerta, possono indicare il differente contratto collettivo da essi applicato, purché (tale contratto) garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o ente concedente nei documenti iniziali di gara e nella decisione di contrarre.
L’allegato fornisce alle stazioni appaltanti una metodologia per l’individuazione del CCNL di riferimento (ai fini della predisposizione della gara) ed i criteri per la valutazione dell’equivalenza (in relazione ai contratti proposti dai partecipanti alla competizione), rafforzando così l’obbligo di verifica puntuale a carico della P.A., che deve analizzare le componenti fisse della retribuzione globale annua e le tutele normative; ciò attraverso il riscontro di una serie di voci (per l’una e per l’altra componente) indicate nell’art. 4 dell’allegato citato.
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