Giurisdizione ordinaria sulle società a partecipazione pubblica non strettamente necessarie

27 Aprile 2016
Scarica PDF Stampa
Modifica zoom
100%

Il Tar Liguria (TAR Liguria sez. II 4/4/2016 n. 333) si pronuncia alla questione della cessazione ope legis della partecipazione degli enti pubblici in società a partecipazione pubblica non strettamente necessarie, ex art. 1 comma 569 della legge n. 147/2013. In particolare, si trattava della partecipazione del Comune di Genova al capitale della società Stazioni marittime s.p.a., società mista che gestisce le operazioni di sbarco e di imbarco da e su navi da crociera e traghetti nel porto di Genova.

Il quadro normativo sulle partecipazioni non strettamente necessarie

Ai sensi dell’art. 3 commi 27 e 29 della legge 24.12.2007, n. 244 (Finanziaria 2008),“27. Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società […] 29. Entro trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, cedono a terzi le società e le partecipazioni vietate ai sensi del comma 27”. Successivamente, la legge di stabilità 2014 (legge 27.12.2013, n. 147) ha stabilito, all’art. 1 comma 569, che “il termine di trentasei mesi fissato dal comma 29 dell’articolo 3 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, è prorogato di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge [1° gennaio 2014, n.d.r.], decorsi i quali la partecipazione non alienata mediante procedura di evidenza pubblica cessa ad ogni effetto; entro dodici mesi successivi alla cessazione la società liquida in denaro il valore della quota del socio cessato in base ai criteri stabiliti all’articolo 2437-ter, secondo comma, del codice civile”.

Il caso della società Stazioni marittime s.p.a.

Nel caso di specie, è avvenuto che il comune di Genova, con deliberazione del consiglio comunale 15.11.2011, n. 80, deliberasse la cessione dell’intera partecipazione azionaria nella società Stazioni marittime s.p.a., mediante ricorso ad una procedura di evidenza pubblica, e che l’asta pubblica per la vendita della partecipazione azionaria andasse deserta.

Alla scadenza del termine previsto per la dismissione delle partecipazioni vietate il comune ha ritenuto cessata ex lege, in forza della disposizione da ultimo citata, la sua partecipazione alla società Stazioni marittime s.p.a., cui ha chiesto di procedere alla liquidazione del controvalore delle azioni.

Ma, secondo i giudici liguri, su entrambi gli atti (sia su quello con cui viene ritenuta cessata ex lege la partecipazione, sia su quello con il quale si è chiesta la liquidazione del valore della partecipazione) si deve ritenere sussistente la giurisdizione ordinaria, e non quella amministrativa.

La giurisdizione ordinaria sulle dismissioni ope legis

Per prima cosa i giudici entrano nel merito della “stretta necessarietà” della società in questione. Seppure la società in questione presti un servizio di interesse generale, esso non rientrerebbe, anche per la sua rilevanza meramente economica, tra le finalità istituzionali del comune (quanto piuttosto, semmai, in quelle dell’Autorità Portuale), né è “strettamente necessario” al loro perseguimento. In situazioni di questo tipo, prosegue il Tar, la disposizione di cui all’art. 1 comma 569 della legge n. 147/2013 ha previsto, con riferimento alle partecipazioni azionarie vietate, un’ipotesi eccezionale di cessazione ope legis della qualità di socio.

Ma la disposizione è chiarissima, secondo i giudici amministrativi, nel collegare la cessazione delle partecipazioni azionarie vietate al solo spirare del termine di dodici mesi dal 1° gennaio 2014, senza richiedere alcun preventivo apprezzamento discrezionale (circa l’an, il quid od il quomodo) ad opera dell’amministrazione pubblica socia. Si tratta, in altre parole, di una tipica norma di relazione, intesa a disciplinare non tanto i poteri degli organi pubblici – che, anzi, il legislatore ha inteso per l’appunto surrogare, mediante la predisposizione di un’ipotesi eccezionale di recesso al solo verificarsi dei presupposti di legge – quanto i rapporti tra la pubblica amministrazione e le società partecipate, fonte immediata di diritti soggettivi (di recesso e di liquidazione della quota) e di corrispondenti obblighi.

In conclusione, non venendo in questione l’esercizio di un potere amministrativo propriamente detto, ma soltanto l’accertamento – vincolato – del ricorrere dei presupposti di legge per la cessazione della partecipazione azionaria, deve ritenersi che la controversia esuli – ex art. 7 comma 1 c.p.a. – dalla giurisdizione del giudice amministrativo, per rientrare appieno in quella dell’autorità giudiziaria ordinaria, cui del resto spetta la cognizione sulle domande concernenti il diritto di recesso del socio e, per il caso di contestazioni, sulla liquidazione del valore delle azioni.

LEGGI IL TESTO DELLA SENTENZA

Redazione