Dal Consiglio di Stato via libera (con riserva) al decreto sul dibattito pubblico

Con parere n. 359 del 12 febbraio 2018 il CdS, ha espresso un giudizio sostanzialmente positivo (con osservazioni) sullo schema di DPCM adottato ai sensi dell’art. 22, comma 2, d.lgs. n.50/2016, per disciplinare le modalità di svolgimento, le tipologie e le soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico

20 Febbraio 2018
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L’Adunanza della Commissione speciale del Consiglio di Stato, con parere n. 359 del 12 febbraio 2018, ha espresso un giudizio sostanzialmente positivo (con osservazioni) sullo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri adottato ai sensi dell’art. 22, comma 2, d.lgs. n. 50/2016, per disciplinare le modalità di svolgimento, le tipologie e le soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico.

Come è noto, il nuovo Codice dei contratti pubblici, in attuazione dell’art. 1, comma 1, lett. qqq) della legge delega, aveva introdotto in Italia un istituto modellato sul débat public francese, senza tuttavia essere vincolato a ciò dalle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, al fine di consentire – già nella fase progettuale – la consultazione pubblica delle possibili istanze e osservazioni delle comunità locali dei territori interessati dalla realizzazione di opere infrastrutturali strategiche.

Nelle intenzioni del legislatore, l’introduzione di forme di dibattito pubblico era vista non solo in un’ottica di trasparenza, informazione e partecipazione democratica ai processi decisionali ma, consentendo un confronto “a monte” in vista dell’inizio dei lavori, anche quale possibile strumento di prevenzione di forme di contrasto alla realizzazione di opere pubbliche e di deflazione del successivo contenzioso.

L’art. 22, comma 2, d.lgs. n. 50/2016, in realtà, non si preoccupava di definire i contorni dell’istituto, demandando in massima parte la disciplina concreta a un d.P.C.M., da adottarsi entro un anno dall’entrata in vigore del Codice.

Sullo schema di d.P.C.M. si è espresso ora il Consiglio di Stato, affermando che esso si è attenuto ai limiti contenutistici tracciati dall’art. 22 ed è riuscito a raggiungere il difficile obiettivo di «un contemperamento tra l’esigenza di non allungare troppo i tempi di realizzazione delle grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale e quella di dare effettività al coinvolgimento dei cittadini, dei portatori di interessi e delle amministrazioni interessate dalla realizzazione dell’opera».

L’obiettivo è stato raggiunto circoscrivendo effettivamente l’intervento dei diversi portatori di interessi alla fase iniziale della progettazione, con particolare riguardo ai contenuti del progetto di fattibilità e del documento di fattibilità delle alternative progettuali: ad avviso del Consiglio di Stato, ciò consente al proponente di poter valutare – alla luce delle osservazioni emerse – se realizzare o meno l’opera e quali modifiche eventualmente apportare, ottimizzando così il progetto e diminuendo il possibile futuro contenzioso.

Se il parere è quindi nel complesso senz’altro positivo, non mancano importanti profili di criticità che il Consiglio di Stato invita a correggere per non vanificare l’operatività dell’istituto.

Il primo elemento ostativo all’effettiva operatività del dibattito pubblico è individuato nelle soglie economiche fissate dal decreto, definite «di importo così elevato da finire per rendere, nella pratica, minimale il ricorso a tale istituto». Tali soglie, nello schema in esame, sono previste in modo differenziato per ogni tipologia di opera dall’Allegato 1 e, per le più rilevanti categorie di autostrade e strade extraurbane principali (superiori a 15 km) e ferrovie (superiori ai 30 km), sono fissate in un importo superiore a 500 milioni di euro al netto di IVA del complesso dei contratti previsti.

In secondo luogo, il Consiglio di Stato auspica una migliore definizione del ruolo della Commissione nazionale del dibattito pubblico, istituita dal decreto correttivo al Codice dei contratti pubblici, e le cui modalità di intervento non risultano adeguatamente specificate nello schema di d.P.C.M.: si suggerisce, quindi, «di potenziare l’attività di monitoraggio successivo ad essa demandato dalla legge, prevista dall’articolo 4, comma 6, lettera e), dello schema di decreto ma in modo poco incisivo».

In aggiunta a queste due osservazioni di carattere generale, il Consiglio di Stato ha suggerito numerosi altri interventi sull’articolato, alcuni dei quali riguardanti aspetti formali e di dettaglio, altri invece più rilevanti. Tra questi ultimi, in particolare, si suggerisce:

  • di approntare strumenti di prevenzione anche per i beni culturali nazionali non protetti a livello UNESCO (art. 3);
  • di individuare un numero dispari di componenti la Commissione per evitare situazioni di stallo (art. 4);
  • di indicare il soggetto pubblico titolare del potere di indire il dibattito pubblico (art. 5);
  • di specificare che il compito di coordinatore del dibattito pubblico, al fine di garantirne l’indipendenza e la terzietà, debba essere svolto da un soggetto esterno all’amministrazione aggiudicatrice o all’ente aggiudicatore ed estraneo agli interessi che vengono in rilievo, ma pur sempre da soggetto appartenente allo Stato-apparato (art. 6);
  • di prevedere un termine entro il quale avviare il dibattito pubblico (art. 8).

In definitiva, il parere espresso è sì favorevole ma le osservazioni effettuate sono numerose e di non poco rilievo, attenendo alcune anche ai rischi di possibile compromissione dell’effettiva operatività del nuovo istituto.

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Aldo Iannotti della Valle