I rapporti fra le ipotesi di falso di cui all’art. 80, comma 5, lettere c-bis) ed f-bis), d.lgs. n. 50 del 2016

Nota di commento al Consiglio di Stato, Ad. Plen., 28 agosto 2020, n. 16

11 Settembre 2020
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Secondo i giudici della Plenaria, la lettera f-bis) dell’art. 80, comma 5 del codice dei contratti pubblici ha carattere residuale e si applica in tutte le ipotesi di falso non rientranti fra quelle previste dalla lettera c-bis)

Nota di commento al Consiglio di Stato, Ad. Plen., 28 agosto 2020, n. 16

Autori: Dario Capotorto e Irene Picardi

Sul finire di agosto, è stata pubblicata la sentenza della Plenaria avente ad oggetto la questione relativa alla consistenza, alla perimetrazione e agli effetti degli obblighi dichiarativi gravanti sugli operatori economici in sede di gara, con particolare riguardo ai presupposti per l’imputazione della falsità dichiarativa di cui alle lettere c) – oggi c-bis) – ed f-bis) del comma 5 dell’art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016, sollevata dalla quinta sezione del Consiglio di Stato (ordinanza 9 aprile 2020, n. 2332; per un primo commento, sia consentito il rinvio a I. Picardi, Alla Plenaria la perimetrazione degli obblighi informativi in sede di gara: fra interpretazione formalistica e sostanzialistica dell’art. 80, comma 5 del codice appalti).

Intorno a tale decisione, si sono concentrate in questi mesi le attese degli operatori del settore, in cerca di maggiore chiarezza in ordine all’individuazione delle regole da applicare nelle gare pubbliche e delle conseguenze derivanti dalla loro violazione. Tuttavia, i principi di diritto enunciati, pur aggiungendo un tassello importante nella definizione del sistema delle cause di esclusione delineato dal nuovo codice, anche con riferimento alla complessa categoria dell’illecito professionale, non sembrano risolvere in via definitiva la questione di diritto rimessa all’esame della Plenaria.

Nei paragrafi seguenti si darà, quindi, conto delle fondamentali coordinate ermeneutiche tracciate da quest’ultima, cercando di mettere in evidenza anche taluni (persistenti) profili problematici della disciplina in esame.

La fattispecie e gli effetti della pronuncia sul caso concreto

La dichiarazione oggetto di contestazione riguardava l’attestazione in merito alla cifra d’affari in lavori resa da un Consorzio in qualità di ausiliario del concorrente, ritenuta falsa sia dalla stazione appaltante, sia dai giudici di prime cure (T.a.r  Lecce, sez. I, sent. n. 846 del 2019) dinnanzi ai quali era stato impugnato il provvedimento di esclusione.

Il presunto mendacio si sarebbe consumato in ragione dell’impossibilità di imputare al Consorzio la cifra di affari in lavori realizzati da un’imprese consorziata sospesa dall’ente consortile (a causa dell’intervenuta scadenza dell’attestazione SOA). Secondo l’amministrazione e i giudici del T.a.r. tale sospensione avrebbe impedito di cumulare il corrispondente fatturato in capo al Consorzio, sicché l’erronea imputazione dello stesso nella cifra d’affari complessiva dichiarata dal Consorzio in gara avrebbe imposto l’esclusione del concorrente, sebbene la parte erroneamente imputata non fosse determinante per il superamento del fatturato richiesto nel bando, avendo l’aggiudicatario comunque superato la cifra d’affari richiesta dal bando anche senza considerare la cifra in lavori del consorziato sospeso.

L’Adunanza Plenaria ipotizza conclusioni opposte. Secondo la pronuncia la dichiarazione resa dalla Consorzio non si presterebbe a essere immediatamente  predicata di falsità. Ciò in quanto la stessa sarebbe stata resa sulla base di valutazioni giuridiche errate. Si è evidenziato come non fosse in contestazione che la consorziata “sospesa” avesse realmente conseguito la cifra d’affari esposta dal Consorzio ausiliario in sede di gara, ma solo se tale fatturato potesse o meno cumularsi a quello delle altre consorziate ai fini della procedura. Si tratterebbe cioè di «valutazioni riferite ad elementi di carattere giuridico, irriducibili all’antitesi vero/falso, e relativi: alla persistente validità del rapporto consortile in presenza di una delibera di sospensione; e alla possibilità di cumulare la cifra d’affari comunque realizzata nel triennio in considerazione dalla consorziata, ancorchè priva di un’attestazione SOA». Invece, come ampiamente precisato anche dal Consiglio di Stato in sede di rimessione, la falsità di una dichiarazione risulta predicabile solo rispetto ad un «dato di realtà» ovvero ad una «situazione fattuale per la quale possa alternativamente porsi l’alternativa logica vero/falso», in relazione alla quale valutare quanto attestato dall’operatore economico in gara.

Poste tali premesse, i giudici della Plenaria hanno quindi osservato che le questioni relative al possesso dei requisiti da parte del Consorzio ausiliario, indicato dall’impresa partecipante ai fini della qualificazione economico finanziaria nella procedura di affidamento in esame, «non hanno il loro sostrato nella realtà materiale ma […] vertono sull’interpretazione – opinabile al più – di norme giuridiche, ed in particolare l’art. 47 del codice dei contratti pubblici concernente la qualificazione dei consorzi stabili, o di patti consortili».

Come si vedrà, il giudice di ultima istanza impone all’amministrazione una nuova valutazione sulla base di inediti principi di diritto che ora si passeranno in rassegna.

Le ipotesi di falso di cui all’art. 80, comma 5, lett. c-bis) del codice appalti

Così ricostruita la vicenda fattuale, il complesso e articolato ragionamento della Plenaria si è, poi, incentrato sull’analisi dei rapporti esistenti fra le fattispecie escludenti di cui alla lett. c-bis) del comma 5 dell’art. 80 e fra queste ultime e quella di cui alla successiva lettera f-bis), al fine di delimitarne il rispettivo ambito di operatività, individuando così anche la disciplina da applicare al caso di specie.

Al riguardo, i giudici della Plenaria muovono dalla considerazione che, rispetto all’ipotesi della falsità dichiarativa (o documentale) di cui alla lettera f-bis), quella relativa alle «informazioni false o fuorvianti» presenta un elemento specializzante, dato dalla loro idoneità ad «influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione» di competenza della stazione appaltante. Dunque, ai fini dell’esclusione, non è sufficiente che l’informazione sia falsa, ma deve anche essere diretta (ed idonea) a sviare l’amministrazione nell’adozione dei provvedimenti concernenti la procedura.

Tenendo conto di tale elemento strutturale, la norma equipara all’informazione falsa quella fuorviante, rilevante nella sua «attitudine decettiva di influenza indebita» – secondo la definizione datane nell’ordinanza di rimessione – cioè di informazione potenzialmente incidente sulle decisioni della stazione appaltante, e che rispetto alla falsità presenta un maggiore grado di aderenza al vero. Infatti, in entrambe le ipotesi le informazioni sono strumentali rispetto ai provvedimenti della stazione appaltante, i quali vengono a loro volta emessi non solo sulla base dell’accertamento di presupposti di fatto ma anche di valutazioni di carattere giuridico, opinabili sia per l’amministrazione che per l’operatore economico. Ne consegue che in presenza di un margine di apprezzamento discrezionale la demarcazione tra informazione contraria al vero e informazione ad esso non rispondente, ma comunque in grado di sviare la valutazione della stazione appaltante, diventa difficile, con rischi di aggravio della procedura di gara e di proliferazione del contezioso, e in definitiva irrilevante rispetto al disvalore delle fattispecie, consistente nella comune attitudine di entrambe le informazioni a sviare l’operato dell’amministrazione.

Nella medesima direzione si spiega anche la circostanza che l’art. 80, comma 5, lett. c-bis) prenda in considerazione, quale ulteriore fattispecie di grave illecito professionale, «l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione», a completamento e chiusura dell’ipotesi precedente, ma rispetto a questa tipizzata in termini più ampi, attraverso il riferimento al «corretto svolgimento della procedura di selezione», ed in cui il disvalore si polarizza sull’ «elemento normativo della fattispecie» (così l’ordinanza di rimessione), ovvero sul carattere doveroso dell’informazione. L’ipotesi presuppone cioè un obbligo il cui assolvimento è necessario affinché la competizione in gara possa svolgersi correttamente e il cui inadempimento giustifica l’esclusione.

Tale obbligo deve essere previsto a livello normativo o dall’amministrazione, attraverso le norme speciali regolatrici della gara; ma, come anche ricordato dalla Sezione rimettente, deve darsi atto del consolidato convincimento della giurisprudenza amministrativa secondo cui l’art. 80, comma 5, lett. c) (ora articolato nelle lettere c-bis), c-ter) e c-quater) costituisce una norma di chiusura, in grado di comprendere anche fatti non predeterminabili ex ante, ma in concreto incidenti in modo negativo sull’integrità dell’operatore economico.

Si tratta delle medesime considerazioni sulle quali poggia l’orientamento giurisprudenziale che pone a carico delle imprese, che intendano partecipare alle procedure ad evidenza pubblica, l’onere di fornire una rappresentazione quanto più dettagliata possibile delle proprie pregresse vicende professionali (cfr., a titolo esemplificativo, I. Picardi, La teoria della onnicomprensività della dichiarazione sul possesso dei requisiti di ordine generale fra vecchio e nuovo Codice; Limiti e condizioni di rilevanza delle risoluzioni contrattuali). Ma sul punto la Plenaria fornisce taluni chiarimenti: una ricostruzione a posteriori degli obblighi dichiarativi può sì essere ammessa, ma deve trattarsi di casi incidenti in modo evidente sulla moralità ed affidabilità dell’operatore economico, di cui quest’ultimo doveva ritenersi consapevole e rispetto ai quali non sono configurabili esclusioni “a sorpresa”.

I rapporti con l’ipotesi di falso di cui alla lettera f-bis)

Da quanto sopra emerge, pertanto, che l’elemento comune alle fattispecie dell’omissione dichiarativa e di quella relativa alle informazioni false o fuorvianti, e che a sua volta le differenzia dal falso dichiarativo di cui alla lett. f-bis) del comma 5 dell’art. 80, è dato dal fatto che in nessuna delle prime ipotesi citate si ha l’automatismo espulsivo della seconda.

Infatti, tanto «il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione», quanto «l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione» sono considerati dalla norma quali «gravi illeciti professionali» in grado di incidere sull’ «integrità o affidabilità» dell’operatore economico, e richiedono una valutazione in concreto da parte della stazione appaltante (come, del resto, tutte le altre ipotesi previste in origine dalla lettera c) ed ora articolate nelle lettere c-bis), c-ter) e c-quater). Nel contesto di tale valutazione, l’amministrazione dovrà in particolare stabilire se l’informazione è effettivamente falsa o fuorviante; se la stessa era in grado di sviare le proprie valutazioni; ed, infine, se il comportamento tenuto dall’operatore economico incida in senso negativo sulla sua integrità o affidabilità. Allo stesso scopo, l’ente appaltante dovrà stabilire se sono state omesse informazioni rilevanti, sia perché previste dalla legge o dalla normativa di gara, sia perché evidentemente in grado di incidere sul giudizio di moralità professionale del concorrente.

Per la Plenaria, quindi, una puntuale valutazione della rilevanza delle dichiarazioni acquisite dall’operatore economico in merito agli illeciti professionali costituisce un momento imprescindibile della procedura, non potendo farsi ricorso in tali ipotesi ad alcun automatismo espulsivo.

Ciò posto con riguardo ai profili di diritto sostanziale, i giudici amministrativi si spingono oltre formulando anche brevi considerazioni di carattere processuale che, seppur non centrali per la risoluzione della questione interpretativa rimessa al loro esame, assumono rilievo – come si vedrà – per la definizione del caso concreto. Sul punto, la sentenza ricorda sinteticamente che la suddetta valutazione, di competenza esclusiva della stazione appaltante, non può essere rimessa al giudice amministrativo, che in base all’art. 34, comma 2 c.p.a. – e al principio di separazione dei poteri – non può pronunciare «con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati»; laddove invece svolta, operano per essa i consolidati limiti del sindacato di legittimità rispetto a valutazioni di carattere discrezionale dell’amministrazione.

In ogni caso, individuato quale elemento di differenziazione fra le fattispecie in esame quello degli effetti derivanti dalla violazione delle disposizioni di cui alle lettere c-bis) e f-bis) del comma 5 dell’art. 80 – rispettivamente implicanti un apprezzamento discrezionale dell’amministrazione, nel primo caso, e l’esclusione automatica dalla procedura, nel secondo – i giudici della Plenaria hanno riconosciuto fra le stesse anche una parziale sovrapposizione degli ambiti di applicazione, derivante dal fatto che entrambe fanno riferimento ad ipotesi di falso.

Ed è anzi proprio questo l’aspetto più problematico della disciplina sopra esaminata, che ha dato luogo a numerosi dubbi interpretativi culminati nell’ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato.

Per risolvere il conflitto fra le predette norme, potenzialmente concorrenti fra loro, la Plenaria invoca il criterio di specialità di cui all’art. 15 delle preleggi, per effetto del quale deve attribuirsi prevalenza alla lettera c-bis) del comma 5 dell’art. 80, a causa dell’elemento specializzante sopra evidenziato. In conseguenza di ciò, l’ambito di applicazione della lettera f-bis) si restringe alle ipotesi in cui le dichiarazioni rese o la documentazione presentata in gara siano obiettivamente false, senza alcun margine di opinabilità, e non siano finalizzate all’adozione dei provvedimenti di competenza dell’amministrazione relativi all’ammissione, alla valutazione delle offerte o all’aggiudicazione della gara o comunque relativi al corretto svolgimento della procedura, come invece previsto dalla lettera c-bis). Rispetto a tale disposizione – conclude la Plenaria – la lett. f-bis) dell’art. 80, comma 5 ha, quindi, carattere residuale e si applica a tutte le ipotesi di falso non rientranti in quelle previste dalla precedente lettera c-bis). 

Conclusioni

Sebbene la pronuncia della Plenaria compia significativi passi in avanti nella ricostruzione dei rapporti fra le lettere c) – oggi c-bis) – ed f-bis) dell’art. 80, comma 5, d.lgs. n. 50 del 2016, attribuendo il valore di regola generale a quella prevista dalla prima delle disposizioni citate e di regola residuale alla seconda, la concreta individuazione dei rispettivi ambiti di applicazione risulta, come affermato dalla stessa Plenaria, «di non agevole verificazione».

Nei paragrafi precedenti, si è evidenziato che la sentenza pone l’accento sulla circostanza che ove la falsità o l’omissione di informazioni rese dall’operatore economico in sede di gara siano finalizzate all’adozione dei provvedimenti concernenti l’ammissione, la selezione delle offerte e l’aggiudicazione, esse sono riconducibili all’ipotesi prevista dall’odierna lett. c-bis) dell’art. 80, comma 5, e quindi richiederanno una valutazione da parte della stazione appaltante ai fini dell’esclusione; ove le stesse siano, invece, obiettivamente non rispondenti al vero, senza che residui alcun margine di apprezzamento discrezionale dell’amministrazione, e non siano strumentali alle predette operazioni di gara troverà applicazione la lettera f-bis), con conseguente allontanamento automatico dell’operatore.

Tuttavia tali considerazioni, che dovrebbero dare risposta definitiva ai dubbi interpretativi all’origine della rimessione, sembrano in realtà porne di nuovi, in primo luogo poiché non risulta sempre agevole nella prassi stabilire ciò che può essere ritenuto (obiettivamente) falso. In secondo luogo, la sentenza non chiarisce una volta per tutte la reale consistenza degli obblighi dichiarativi posti a carico degli operatori economici, la cui delimitazione continua ad essere affidata all’attività interpretativa dei giudici amministrativi e ancor prima delle amministrazioni. In assenza di indicazioni chiare sul punto, auspicate anche dai giudici della quinta sezione del Consiglio di Stato nell’ordinanza di rimessione, che stabiliscano quali informazioni siano da ritenersi obbligatorie e quali solo potenzialmente rilevanti ai fini della gara, la distinzione tra la falsità dichiarativa e l’omissione di cui all’art. 80, comma 5 lett, c-bis) e la falsità dichiarativa di cui all’art. 80, comma 5, lett. f-bis) continua a risultare tutt’altro che scontata.

Infine, la pronuncia cala nel caso concreto queste riflessioni immaginando una metodologia di analisi coerente con il dettato dell’art. 80, comma 5, lett. c bis, d.lgs. n. 50/2016 e imponendone l’applicazione alla stazione appaltante in prima battuta.

Anzitutto, la dichiarazione sulla cifra d’affari del Consorzio ausiliario viene riqualificata dai giudici della Plenaria come fuorviante «nella misura in cui è stata taciuta la sospensione dal rapporto consortile» dell’impresa interessata; posta tale premessa, si precisa che la stazione appaltante avrebbe dovuto conseguentemente verificare se la stessa avesse attitudine a sviare le proprie decisioni sull’ammissione alla gara dell’impresa concorrente e sull’aggiudicazione già disposta a favore di quest’ultima, valorizzando, per esempio, il raggiungimento del requisito di capacità economico-finanziaria previsto dal bando di gara a prescindere dal fatturato della consorziata “sospesa”.

 

Applicando i principi di diritto sostanziale e processuale sopra enunciati, l’Adunanza Plenaria ha quindi accolto l’appello principale, ha annullato il provvedimento di esclusione e ha imposto alla stazione appaltante di rideterminarsi alla luce dei nuovi principi di diritto ivi enucleati.