La chimera della semplificazione tra “opzione zero” e “buon funzionamento del settore pubblico”

a cura di Alessandro Massari

25 Marzo 2021
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L’insediamento del nuovo Governo Draghi ha inevitabilmente riacceso, pur nel drammatico contesto della perdurante emergenza pandemica, il mai sopito dibattito sulle politiche regolative nel settore degli appalti pubblici.

Editoriale estratto dal numero 3/2021 del mesile Appalti&Contratti

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Il Decreto “Semplificazioni” ha confermato che, mai come in questo momento, i contratti pubblici – che hanno da sempre costituito una importante leva strategica di politica economica e sociale – hanno assunto un ruolo strategico ed essenziale nella fase emergenziale aperta dal Covid. Gli obiettivi del DL 76/2020, di incentivazione degli investimenti pubblici e di contrasto alle inimmaginabili ricadute economiche negative a seguito dell’emergenza sanitaria globale, hanno prodotto una spinta verso la massima efficienza della spesa pubblica, compulsando le stazioni appaltanti ad  iniettare, con la massima urgenza, liquidità nel sistema produttivo grazie al tempestivo affidamento e alla sollecita esecuzione delle commesse pubbliche, nel rispetto di tempi contingentati e perentori e attraverso procedure semplificate.

Mai avremmo immaginato che i RUP si fossero trovati in uno scenario così inedito e inusuale, nel quale dover addirittura motivare il ricorso alla “procedura ordinaria” sotto-soglia (vista con “sfavore” nel contesto del regime transitorio), piuttosto che l’affidamento diretto, oppure leggere in pareri del MIT che “L’eventuale confronto dei preventivi di spesa forniti da due o più operatori economici rappresenta comunque una best practice, salvo che ciò comporti una eccessiva dilazione dei tempi di affidamento che, invece, sarebbe in contrasto con la ratio che informa l’intero Decreto «Semplificazioni»”.

Nel regime eccezionale, speciale e transitorio delineato dal Decreto Semplificazioni si assiste ad una tendenziale riconfigurazione del rapporto tra valori e principi dell’ordinamento: il valore della concorrenza pare tendenzialmente recessivo, nel sotto-soglia, rispetto all’urgenza di affidare ed eseguire i contratti pubblici.  Si delinea nel nuovo quadro normativo l’“interesse nazionale alla sollecita aggiudicazione ed esecuzione dei contratti pubblici” mediante la previsione di termini massimi per la conclusione delle procedure, e di una serie di misure tese contrastare l’inerzia e le condotte omissive ingiustificate dei dipendenti della P.A., prevedendo, da un lato, l’alleggerimento della responsabilità erariale dei dipendenti pubblici che agiscono entro i termini previsti, e dall’altro, sanzioni e aggravamento della responsabilità per quelli che sospendono o rallentano l’aggiudicazione e l’esecuzione delle opere pubbliche.

La dialettica tra efficienza e legalità, tra semplificazione/tempestività e trasparenza/concorrenza, già particolarmente avvertita nella recente evoluzione della normativa degli appalti pubblici e nelle procedure sotto-soglia, assume ora una tensione quasi drammatica. I Responsabili del procedimento devono giungere all’impossibile “quadratura del cerchio”: rispettare i termini di conclusione delle procedure e, allo stesso tempo, i principi generali – non incisi né derogati dal Decreto Semplificazioni.  Una dialettica che la relazione illustrativa del DL 76/2020 non ha mancato di evidenziare: “Il superamento delle ricadute economiche negative, riconducibili, in via diretta e non, agli effetti connessi alle misure assunte al fine di prevenire e contenere l’emergenza pandemica da COVID-19 impone l’adozione di mirate cautele volte a sventare il rischio di possibili infiltrazioni e condizionamenti della criminalità organizzata nel circuito dell’economia legale. La situazione emergenziale richiede, da un lato, la necessità di individuare strumenti di accelerazione delle procedure pendenti e, dall’altro, di rafforzare i presidi di legalità”.

Una dialettica che si coglie plasticamente anche nell’attuale dibattito politico sulle politiche regolative del mercato degli appalti pubblici.

Sono oramai noti gli esponenti politici e gli orientamenti favorevoli alla c.d. “opzione zero” ovvero la cancellazione o sospensione per un periodo significativo del Codice appalti con l’implementazione in via sistemica del “modello Genova”.

Come noto, il c.d. “Piano Colao” predisposto dal “Comitato di esperti in materia economica e sociale” del precedente esecutivo Conte, aveva indicato il principio indicato di una “revisione del codice degli appalti per allinearlo agli standard europei”. Nella voce “Contesto”, si dava conto del difficile equilibrio tra “polo della legalità vs. polo dell’efficienza”, ben centrato dal comitato che scriveva «In tutti i casi nei quali si è privilegiata una sola delle esigenze contrapposte si è ottenuto un effetto positivo immediato lungo quella direttrice, rapidamente compensato dalla reazione opposta». Nel piano si suggeriva sostanzialmente di abrogare il Codice vigente e di passare ad un’applicazione della “Direttiva + integrazione minima”, che poteva essere transitoria o permanente.

Dall’altra parte vi sono le voci per le quali tale operazione risulterebbe giuridicamente impossibile atteso che il Codice costituisce per il 90% recepimento di direttive europee self executing, mentre è stato affermata (per l’ennesima volta) la contrarietà alla logica del massimo ribasso e del subappalto indiscriminato. Insomma, la difficile quadratura tra “procedure di selezione delle imprese contraenti efficienti e rapide, ma di massima garanzia e trasparenza, a tutela di una effettiva libera concorrenza, senza abbassare le tutele dei lavoratori e la lotta alla criminalità organizzata”.

Altre voci stigmatizzano la persistente mancata attuazione del nuovo Codice: “Lavorando sulla qualificazione e centralizzazione delle stazioni appaltanti e potenziando le assunzioni di figure tecniche necessarie e competenti, digitalizzando le procedure di gara per ridurre gli oneri a carico delle imprese e accelerare i tempi, superando la logica del massimo ribasso per premiare invece qualità e sostenibilità delle offerte, regolando la disciplina del subappalto e dando attuazione al DURC di congruità per garantire tutela e sicurezza ai lavoratori e combattere il rischio di infiltrazioni criminali”.

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Che il nuovo Codice non sia mai realmente decollato (o atterrato ?) è vicenda tristemente nota a tutti gli operatori, e le affermazioni di alcuni esponenti politici circa il necessario rilancio della fase di attuazione, dopo oramai un lustro dall’entrata in vigore del Dlgs. 50/2016, rischiano di suonare come slogan oramai logori e fuori tempo massimo.

Sulla “missione impossibile” della qualificazione delle stazioni appaltanti, il quadro è oramai noto a tutti. Senza un deciso e vigoroso impulso politico e normativo, l’art. 38 del Codice è destinato a rimanere lettera morta. Anche il rating di impresa – realtà già operativa in quasi tutti gli stati membri – è da includere tra le promesse non mantenute. La qualificazione delle stazioni appaltanti non può prescindere da un massivo intervento di formazione qualificata, e permanente, per i RUP.

L’annunciata rivoluzione della P.A. da parte del Ministro Brunetta e l’obiettivo del “buon funzionamento del settore pubblico” includerà misure di reale efficienza per il settore dei contratti pubblici ?  La formazione dei dipendenti pubblici è in effetti compresa tra le sei azioni che la riforma promette di attuare.

Il pensiero corre ad un’altra mancata occasione di concreta semplificazione ed accelerazione delle procedure: la famigerata Banca Dati Nazionale degli Operatori Economici, che, nel disegno del nuovo Codice, avrebbe dovuto sollevare le stazioni appaltanti dalla pesante incombenza della verifica dei requisiti per ciascuna procedura di aggiudicazione –  ancora oggi percepita dagli operatori come elemento di forte criticità e rallentamento dei tempi di conclusione delle procedure di scelta del contraente.

Un fattore di auspicabile “centralizzazione” e “digitalizzazione” di un importante segmento delle procedure di aggiudicazione potrebbe realizzarsi proprio a partire dall’esternalizzazione delle attività di verifica attribuendo ad un’Agenzia nazionale il monitoraggio, l’aggiornamento e la verifica di buona parte dei requisiti generali e speciali degli operatori economici, insieme all’implementazione del famigerato “rating di impresa”, evitando così duplicazioni di attività e dispersione di tempi ed energie amministrative.  E’ vero che, a diritto vigente,  alcuni requisiti generali e cause di esclusione sottendono una valutazione necessariamente discrezionale da parte delle stazioni appaltanti (ad es. i gravi illeciti professionali) e quindi osterebbero ad un sistema esclusivamente di tipo binario “on/off”, ma l’Agenzia potrebbe prestare supporto giuridico nella valutazione di alcune fattispecie border-line (si pensi anche al “self-clenaning”), lasciando l’ultima decisione al RUP.

Nell’attuale contesto normativo dominato da pressanti esigenze di accelerazione delle procedure, nelle more dell’attivazione della famigerata Banca Dati Nazionale degli Operatori Economici, la valutazione dei requisiti in sede di gara per ciascun concorrente sulla base del DGUE (con apertura di frequenti subprocedimenti di soccorso istruttorio o di contraddittorio) dovrebbe lasciare il passo alla verifica solo in capo all’aggiudicatario, mettendo “a regime” e generalizzando l’istituto dell’inversione procedimentale (oggi ammessa solo nelle procedure ordinarie e solo fino al 31.12.2021 per le amministrazioni aggiudicatrici). Si potrebbe ritornare al principio dell’autodichiarazione “definitivamente” sostitutiva, prevedendo controlli a campione, ed efficaci sanzioni dissuasive in caso di dichiarazioni false o mendaci.

Su questo e altri aspetti di criticità le future nuove direttive eurounitarie, che probabilmente vedranno la luce nel 2024, se sarà rispettata l’oramai consolidata cadenza decennale, potrebbero introdurre elementi di innovazione, maggiore efficienza, certezza e accelerazione delle procedure di gara.

Su altro versante, la questione del subappalto deve essere certamente tra le priorità nell’agenda del legislatore, anche alla luce di una imbarazzante giurisprudenza interna apertamente contraddittoria:  “L’art. 105 del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, che pone limiti al subappalto deve essere disapplicata in quanto incompatibile con l’ordinamento euro-unitario” (Consiglio di Stato, sez. V, 17 dicembre 2020, n. 8101); “Per gli appalti sotto-soglia non valgono i principi recentemente affermati dalla Corte di Giustizia dell’UE sull’illegittimità dei limiti prefissati dal Codice dei contratti alla quota di lavori subappaltabile, tornando applicabile la disciplina italiana che impone un tetto massimo della suddetta quota, pari al 30% dei lavori (elevato al 40% fino al 30 giugno 2021” (TAR Lazio, Roma sez. III ter, 8/2/2021 n. 1575). Attendiamo con trepidazione l’annunciata legge europea 2019-2020 che dovrebbe porre mano all’art. 105 del Codice e risolvere il contrasto tra l’ottimistica visione eurounitaria sul subappalto, e quella interna, assai più cupa, restrittiva e pervasa da preoccupazioni antimafia.

E che ne sarà del “Regolamento attuativo del Codice” ?  L’ultima bozza resa nota dell’imponente provvedimento (314 articoli) è quella del luglio 2020. E’ scontato che il Regolamento non potrà entrare in vigore durante il periodo transitorio introdotto dal DL 76/2020, pena la sovrapposizione di due regimi non coordinati e polarizzati verso valori eterogenei. Nello scenario dell’”opzione zero” il Regolamento non dovrebbe forse nemmeno vedere la luce, in quanto elemento di ulteriore appesantimento normativo in un quadro dove dovrebbero operare solo le direttive UE e interventi minimalistici per il sotto-soglia.

E’ più probabile che il nuovo Governo metta mano ad un ulteriore intervento di “semplificazione” ed ottimizzazione del comparto degli appalti pubblici,  tentando l’ennesima quadratura tra efficienza-legalità-concorrenza-accelerazione-trasparenza-prevenzione-aspetti sociali e ambientali-digitalizzazione, ecc.

Come ha osservato il Tar Piemonte in una delle prime sentenze sul DL Semplificazioni: “… l’intero obiettivo della disciplina è quello di semplificare l’andamento delle gare (obiettivo al cui raggiungimento, per incidens, non sembra funzionale, come reso evidente dal presente giudizio, il continuo e disallineato mutare della disciplina, con reiterata modifica dei valori di riferimento e delle tipologie di procedura, che inevitabilmente ingenera come più immediato effetto il disorientamento tanto delle stazioni appaltanti che degli operatori)” (TAR Piemonte, sez. I, 17 novembre 2020, n. 736).

L’auspicio è che il nuovo esecutivo possa introdurre misure non affrettate nè mal formulate, ma  tecnicamente e qualitativamente ben strutturate,  coerenti con l’annunciato ambizioso obiettivo del “buon funzionamento del settore pubblico”, e nella consapevolezza della natura strategica degli appalti pubblici nell’attuale contesto della drammatica perdurante fase emergenziale.

Alessandro Massari