Contenzioso amministrativo in materia di appalti pubblici: impugnazione immediata del provvedimento di esclusione, anche dopo l’abrogazione del rito “super-accelerato”

Il concorrente estromesso dalla procedura di gara è gravato dall’onere di impugnazione immediata dell’esclusione, non potendo posporla sino al termine di trenta giorni dall’avvenuta conoscenza del provvedimento di aggiudicazione

23 Aprile 2021
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Il concorrente estromesso dalla procedura di gara è gravato dall’onere di impugnazione immediata dell’esclusione, non potendo posporla sino al termine di trenta giorni dall’avvenuta conoscenza del provvedimento di aggiudicazione

Una recente sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana (sez. giur., 16 aprile 2021, n. 322) offre l’occasione per tornare sul rapporto – ancora di difficile e complessa ricostruzione, come dimostrano anche le differenti determinazioni assunte dai giudici di primo e secondo grado nel giudizio in esame – fra lesione, interesse al ricorso e legittimazione ad agire nell’ambito del contenzioso in materia di appalti pubblici (in argomento, cfr. D. Capotorto, Le condizioni dell’azione nel contenzioso amministrativo in materia di appalti: l’interesse meramente potenziale nuovo paradigma dell’ordinamento processuale?, in Dir. proc. amm., 2020, 3, 665 ss.).

Negli ultimi anni, tale tema è stato reso nuovamente attuale dall’introduzione (ad opera del codice dei contratti pubblici) e successiva abrogazione (da parte del decreto «sblocca cantieri» nel 2018) del rito «super speciale» di cui all’art. 120, comma 2-bis c.p.a., che imponeva agli operatori economici di impugnare i provvedimenti di ammissione ed esclusione dalle gare – adottati all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali – nel termine di trenta giorni dalla loro pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante, pena la preclusione processuale di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti della procedura, anche con ricorso incidentale (sull’abrogazione del comma 2-bis dell’art. 120 c.p.a., cfr. su questo sito G. F. Maiellaro, Focus sul decreto sblocca cantieri: il superamento del rito “super speciale”).

Come noto, detta previsione ha posto nel periodo della sua (invero breve) vigenza numerose problematiche di carattere interpretativo e applicativo, in quanto diretta ad anticipare in maniera significativa il momento di accesso al giudice, attribuendo rilevanza, ai fini dell’instaurazione del giudizio e del radicamento dell’interesse a ricorrere, ad una lesione indiziaria e potenziale, e non già concreta ed effettiva, in quanto ancora lontana dal provvedimento conclusivo della procedura (in argomento, cfr. su questo sito A. Iannotti della Valle, La Corte costituzionale salva il rito “superaccelerato” (per quel che ne resta) e, del medesimo Autore, Dalla Corte di Giustizia via libera al rito superaccelerato (con condizioni), nonché gli ulteriori contributi e riferimenti giurisprudenziali ivi citati).

Ma già prima dell’introduzione del rito in esame, con riguardo alla definizione delle condizioni dell’azione nell’ambito del contenzioso amministrativo in materia di appalti, si erano incontrate talune difficoltà nell’individuare correttamente le diverse fattispecie che consentono ad un interesse di mero fatto di elevarsi ad interesse processualmente rilevante, azionabile in giudizio. Tali questioni, come si avrà modo di osservare nel prosieguo, sono riemerse a seguito dell’abrogazione del comma 2-bis dell’art. 120 c.p.a., ponendosi in termini ancora problematici nell’ambito della giurisprudenza amministrativa di primo e secondo grado.

Il caso di specie

In particolare, nel caso di specie l’impresa ricorrente si era limitata, in un primo momento, a contestare l’esclusione disposta dalla stazione appaltante nei propri confronti a seguito della valutazione dei requisiti di partecipazione alla gara, ed aveva impugnato detto provvedimento solo una volta adottata l’aggiudicazione definitiva, nel termine di trenta giorni decorrente da quest’ultima.

In primo grado, i giudici del T.a.r. per la Sicilia-Catania (sez. III, 12 marzo 2021, n. 750) hanno ritenuto ricevibile il ricorso; in secondo grado, il C.G.A.R.S., con la sentenza citata in premessa, ha, viceversa, considerato tardiva l’impugnazione, in quanto il termine decadenziale per agire legittimamente in giudizio sarebbe dovuto decorrere dal provvedimento di esclusione.

In entrambe le pronunce, i giudici amministrativi hanno ritenuto applicabile alla fattispecie rimessa al loro esame la novella di cui al d.l. 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla l. 14 giugno 2019, n. 55, che per i processi avviati dopo la data di relativa entrata in vigore ha previsto l’abrogazione del comma 2-bis dell’art. 120 c.p.a.; conseguentemente, da tale modificazione legislativa, sarebbe discesa – si legge in entrambe le sentenze – la riespansione delle regole generali sull’interesse ad impugnare gli atti delle procedure di affidamento.

A sostegno di tali considerazioni, sia il T.a.r. Catania che il C.G.A.R.S. richiamano la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 3 dicembre 2020, n. 7669, ove si afferma proprio «la riespansione delle regole generali sull’interesse ad impugnare gli atti delle procedure di affidamento di contratti pubblici valevoli prima dell’introduzione del rito “super-speciale” previsto dall’art. 120, comma 2-bis, Cod. proc. amm.» a seguito dell’intervento del decreto «sblocca cantieri», e si fa riferimento all’ulteriore precedente del Consiglio di Stato, sez. V, 5 agosto 2020, n. 4927 «che ha in particolare messo in risalto la portata sostanziale dell’abrogazione quale risultante dal combinato disposto delle due norme sopra richiamate, attraverso il richiamato riferimento “ai processi iniziati”. Esso è consistito nel rimuovere la qualificazione di atto immediatamente lesivo a quelli adottati dall’amministrazione nella fase di ammissione degli operatori economici alla gara, con conseguente ripristino per le procedure di gara concluse dopo l’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 32 del 2019 (ma per la verità sin da quest’ultimo) della regola generale secondo cui l’interesse ad ottenere un appalto pubblico all’esito della relativa procedura di gara è leso solo con l’altrui aggiudicazione, quale atto conclusivo dell’unitario procedimento amministrativo contraddistinto da atti nel loro complesso preordinati al risultato finale di selezionare il contraente privato della pubblica amministrazione».

Dei suesposti principi, le sentenze del T.a.r. Catania e del C.G.A.R.S., qui in commento, hanno tuttavia offerto autonome letture, proponendo differenti ricostruzioni delle regole processuali applicabili prima dell’introduzione del rito «super speciale», e tornate operative a seguito delle modificazioni apportate dal decreto «sblocca cantieri».

La posizione del T.a.r. Catania

In particolare, i giudici di primo grado hanno ritenuto tempestivo – e, quindi, ricevibile – il gravame proposto dall’impresa ricorrente avverso la propria esclusione e l’aggiudicazione della gara in favore della controinteressata nel termine decadenziale di trenta giorni decorrente dalla comunicazione del provvedimento da ultimo citato, e non da quello di esclusione, sul presupposto che, in base alle regole processuali generali, l’interesse dell’operatore economico ad ottenere un appalto pubblico risulterebbe leso solo con l’altrui aggiudicazione.

A tal fine, i giudici del T.a.r. Catania valorizzano le statuizioni contenute nelle sentenze del Consiglio di Stato sopra richiamate, senza tuttavia tenere conto che le stesse si riferiscono nello specifico agli atti di ammissione alla procedura di gara, rispetto ai quali l’onere di immediata impugnazione, introdotto dall’art. 120, comma 2-bis c.p.a., aveva presentato il maggiore tasso di innovatività rispetto ai principi generali in tema di lesività degli atti e di interesse ad agire (per considerazioni analoghe, cfr. F. Caringella, Il sistema del diritto amministrativo. Il nuovo processo amministrativo, Roma, 2019, 55 ss.).

newsletter 300 2021 1Si legge, infatti, nella parte conclusiva della sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 5 agosto 2020, n. 4927 che «proprio in ragione della definitiva eliminazione (o, secondo altra prospettiva, della intervenuta sanatoria) delle preclusioni processuali che conseguivano alla vigenza dell’art. 120, comma 2 bis, Cod. proc. amm., i provvedimenti sulle ammissioni mantengono natura endo-procedimentale, senza che sia più autonomamente rilevante l’interesse procedimentale alla corretta preventiva selezione dei concorrenti. Venuto meno l’onere dell’impugnazione immediata dell’atto di ammissione di un concorrente per carenza dei requisiti soggettivi, l’atto da impugnarsi dall’operatore economico, che non sia stato escluso dalla gara, è l’aggiudicazione, anche quando si assuma viziata per illegittimità derivata dall’illegittimità dell’ammissione; l’effetto lesivo dell’interesse sostanziale a conseguire il “bene della vita” dell’aggiudicazione si produce infatti con l’affidamento dell’appalto in favore altrui, determinando l’insorgenza dell’interesse ad agire ex art. 100 Cod. proc. civ. al fine di conseguirne l’annullamento».

La decisione del C.G.A.R.S.

Più lineare, e maggiormente coerente con le esigenze di effettività ed efficacia della tutela giurisdizionale amministrativa, risulta invece il percorso argomentativo seguito dai giudici di secondo grado, i quali in riforma della sentenza sopra esaminata hanno ritenuto tardivo – e, quindi, irricevibile – il ricorso introduttivo avverso l’aggiudicazione e il provvedimento di esclusione, poiché non proposto entro il termine di legge decorrente da tale ultimo atto.

La decisione dei giudici del C.G.A.R.S. si fonda, essenzialmente, sulla considerazione che «i provvedimenti di esclusione (erano e) sono da considerarsi immediatamente impugnabili in quanto immediatamente lesivi, così come riconosciuto dalla giurisprudenza già prima dell’introduzione del comma 2-bis dell’art. 120 c.p.a. (Cons. St., sez. V, 23.2.2015, n. 856 e 4.3.2011, n. 1398, Ad. pl. 31.7.2012, n. 31)».

Essa poggia, a sua volta, sulla corretta perimetrazione delle condizioni dell’azione nel contenzioso amministrativo in materia di appalti pubblici (su cui v. D. Capotorto, Le condizioni dell’azione nel contenzioso amministrativo in materia di appalti: l’interesse meramente potenziale nuovo paradigma dell’ordinamento processuale?, op. cit.)

Il Collegio muove, infatti, dalla premessa che, conformemente al criterio generale di individuazione dell’interesse a ricorrere, anche nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica l’atto immediatamente lesivo è costituito dal provvedimento conclusivo del procedimento – cioè, dall’aggiudicazione della gara – con il quale possono essere impugnati i prodromici atti endoprocedimentali.

Al di là di tale ipotesi, è possibile riconoscere una portata immediatamente lesiva (e ciò avveniva – come ricordano i giudici del C.G.A.R.S. – anche prima dell’introduzione del comma 2-bis dell’art. 120 c.p.a. ad opera dell’art. 204 del d.lgs. n. 50 del 2016) anche all’atto endoprocedimentale di esclusione dalla procedura di gara. Infatti, tale provvedimento conclude, nei confronti del destinatario, il procedimento cui il medesimo aspira a partecipare, imponendone così l’impugnazione nei termini di legge.

Da tale circostanza deriva un’ulteriore rilevante conseguenza: non solo il provvedimento di esclusione produce una lesione della situazione giuridica soggettiva del destinatario, facendo sorgere un bisogno (rectius interesse) concreto e attuale di tutela giurisdizionale, ma comportando l’estromissione del medesimo dalla competizione costituisce, ove non annullato, un impedimento a che questi impugni l’aggiudicazione, atteso che l’escluso non è più legittimato a gravare gli atti di gara, in quanto non (più) partecipante alla medesima.

In altri termini, il provvedimento di esclusione produce una sorta di ‘degradazione’ della posizione dell’operatore economico: l’interesse del soggetto (inoppugnabilmente) escluso è, cioè, da qualificare quale interesse di mero fatto, non dissimile da quello di qualsiasi operatore del settore che, non avendo partecipato alla gara, non ha titolo ad impugnarne gli atti, pur essendo portatore di un interesse di mero fatto alla caducazione dell’intera selezione, al fine di poter presentare la propria offerta in ipotesi di riedizione della gara (sul tema, cfr. nuovamente D. Capotorto, Le condizioni dell’azione nel contenzioso amministrativo in materia di appalti: l’interesse meramente potenziale nuovo paradigma dell’ordinamento processuale?, op. cit. 665 ss.)

Dunque, in questo senso, l’atto di esclusione dalla procedura di gara non solo radica l’interesse a ricorrere, producendo l’effetto lesivo dell’estromissione, ma supporta la stessa legittimazione a impugnare l’aggiudicazione.

Tale impostazione trova conferma nella giurisprudenza della Corte di Giustizia che, ai fini della corretta instaurazione del contenzioso amministrativo in materia di appalti pubblici, presuppone la partecipazione alla procedura di gara dell’impresa ricorrente (CGUE 11 maggio 2017, causa C-131/16; 5 ottobre 2019, causa C-333/18).

Peraltro – conclude il C.G.A.R.S. – anche la giurisprudenza amministrativa nazionale, nella scelta se legittimare all’impugnazione dell’aggiudicazione (e dei prodromici atti di gara) solo chi ha partecipato alla procedura (o, essendone stato escluso, ha impugnato il relativo provvedimento) ovvero anche chi non vi ha preso parte (o pur avendovi partecipato, è stato escluso con provvedimento inoppugnato), ha già avuto modo di privilegiare la prima opzione, rinvenendo solo nella prima categoria di situazioni quell’interesse qualificato e differenziato che integra la legittimazione ad agire. Così facendo, pur onerando l’escluso dell’impugnazione immediata del provvedimento di esclusione (pur senza conoscere gli esiti della gara), si è garantita la sussistenza della suddetta condizione dell’azione.

Viceversa, con riguardo all’atto di altrui ammissione, la giurisprudenza amministrativa precedente all’introduzione del comma 2-bis dell’art. 120 c.p.a., lo ha ritenuto impugnabile solo unitamente al provvedimento di aggiudicazione, atteso che nella fase antecedente della procedura l’interesse a ricorrere non può definirsi concreto e attuale, e attesa la perdurante legittimazione a impugnare gli atti di gara da parte di tutti i soggetti ammessi.

Brevi considerazioni conclusive

La soluzione dei giudici del C.G.A.R.S., la quale richiama come si è visto orientamenti consolidati della giurisprudenza amministrativa, appare del tutto coerente con la peculiare fisionomia assunta dagli elementi dell’interesse e della legittimazione ad agire nell’ambito del contenzioso amministrativo, e in particolare in quello relativo alla contrattualistica pubblica, che ha animato anche i dubbi di compatibilità comunitaria e costituzionale posti dal rito «super accelerato» di cui all’art. 120, comma 2-bis c.p.a.

In generale, l’interesse a ricorrere presuppone l’avvenuta lesione della situazione giuridica soggettiva del ricorrente derivante da un episodio di esercizio del potere amministrativo, che egli reputa illegittimo, e la possibilità di porvi rimedio, o di conseguire in ogni caso un risultato favorevole o praticamente utile, attraverso l’accoglimento del gravame proposto. Per poter agire in giudizio, è però necessario che il ricorrente abbia anche la legittimazione a farlo, in quanto titolare della situazione soggettiva sostanziale dedotta in giudizio, che lo distingue dal quisque de populo rispetto all’esercizio del potere amministrativo.

Ciò posto, se nell’ambito degli appalti pubblici, l’aggiudicazione è il bene della vita che l’interessato intende conseguire attraverso la procedura di gara, il pregiudizio effettivo e concreto di detto bene – che consente di radicare l’interesse specifico al ricorso – si ha solo con le fattispecie di esclusione o soccombenza finale nella gara, che ne impediscono il raggiungimento. In queste ipotesi, è evidente che l’operatore economico ha interesse a proporre ricorso avverso l’illegittimo diniego dell’aggiudicazione, in quanto dall’ottenimento della pronuncia giurisdizionale richiesta discenderebbe la medesima utilità pratica (cioè l’aggiudicazione) in origine perseguita; la legittimazione ad agire sussiste, invece, fintanto che il ricorrente riveste la qualifica di concorrente (come richiesto in via generale nel contenzioso amministrativo in materia di appalti pubblici, salvo le eccezioni individuate sul punto dalla giurisprudenza), in quanto tale posizione lo differenzia rispetto a quella di qualunque altro operatore economico estraneo alla specifica vicenda amministrativa.

Viceversa, in questa prospettiva, la fattispecie dell’altrui ammissione non è in grado di produrre una lesione immediata e diretta (ma, al più, meramente potenziale e indiziaria) del bene della vita avuto di mira dall’operatore, in quanto non gli impedisce con certezza di conseguirlo, non essendo la procedura ancora giunta a conclusione.

irene picardi