La legge delega approvata dal Senato e il futuro nuovo Codice dei contratti pubblici

A cura di Alessandro Massari – Editoriale estratto dal mensile Appalti&Contratti n.6/2022

16 Giugno 2022
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codice dei contratti pubbliciEditoriale estratto dal mensile Appalti&Contratti n.6/2022

Come ben noto, tra gli impegni assunti dal Governo italiano per l’attuazione del PNRR, nel quadro delle c.d. “riforme abilitanti” figura la revisione dell’attuale Codice dei contratti pubblici, il quale, come si rileva nello stesso PNRR “ha causato diverse difficoltà attuative”.

La riforma prevista, dunque, “si concreta nel recepire le norme delle tre Direttive UE (2014/23, 24 e 25), integrandole esclusivamente nelle parti che non siano self executing e ordinandole in una nuova disciplina più snella rispetto a quella vigente, che riduca al massimo le regole che vanno oltre quelle richieste dalla normativa europea, anche sulla base di una comparazione con la normativa adottata in altri Stati membri dell’Unione europea. Da tenere in particolare considerazione – per la loro rilevanza sul piano della semplificazione – le discipline adottate in Germania e nel Regno Unito”.

Si ricorda che l’entrata in vigore della legge delega per la riforma del quadro legislativo in materia di appalti pubblici costituisce un traguardo del PNRR da conseguire entro il 30 giugno 2022.

Ascolta “La voce del direttore – AppaltieContratti 6/2022” su Spreaker.

Il disegno di legge A.C. T.U. 3514, approvato dal Senato (QUI IL TESTO), si compone di due articoli.

L’articolo 1 reca la norma di delega al Governo in materia di contratti pubblici. In particolare, il comma 1 delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge delega, uno o più decreti legislativi relativi alla disciplina dei contratti pubblici, al fine di adeguare la disciplina dei contratti pubblici a quella del diritto europeo e ai principi espressi dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, interne e sovranazionali, e di razionalizzare, riordinare e semplificare la disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, nonché al fine di evitare l’avvio di procedure di infrazione da parte della Commissione europea e di giungere alla risoluzione delle procedure avviate.

Sul versante dell’allineamento della disciplina italiana al diritto unionale, come abbiamo ricordato nel precedente editoriale, la Commissione europea, con la lettera del 6 aprile scorso ha invitato le autorità italiane ad affrontare alcune questioni rimanenti e aggiuntive concernenti il recepimento delle norme dell’UE in materia di appalti pubblici.  Secondo la Commissione, alcune delle nuove norme italiane, come le disposizioni sulle procedure negoziate senza gara d’appalto, non sono conformi alla legislazione dell’UE in materia di appalti pubblici. Nonostante le attenzioni europee siano state polarizzate dalla disciplina emergenziale-transitoria (affidamenti diretti e procedure negoziate sotto e sopra soglia), pare di tutta evidenza come le sollecitazioni di Bruxelles (e le analoghe raccomandazioni dell’ANAC) avranno effetti anche sul nuovo Codice, sia nella definizione delle soglie degli affidamenti diretti, sia nella disciplina delle altre procedure “semplificate” o “derogatorie”. Inoltre, sebbene la Commissione abbia preso atto dei notevoli progressi compiuti dall’Italia nel conformare la propria legislazione al quadro dell’UE in materia di appalti pubblici, la stessa ha invitato l’Italia “ad affrontare le questioni ancora in sospeso già sollevate nelle precedenti lettere di costituzione in mora, come il divieto per i subappaltatori di ricorrere ad altri subappaltatori”. E’ quindi lecito attendersi, in attuazione delle predette indicazioni, un intervento sul divieto di subappalto a cascata e, parimenti, sull’omologo divieto di subavvalimento.

Ulteriore allineamento al diritto unionale è quello imposto dalla Corte di Giustizia UE con la recentissima sentenza del 28 aprile 2022 (C-642/2020) della  Corte di Giustizia UE, la quale  ha dichiarato la non conformità alle direttive UE dell’art. 83, comma 8, III periodo, del nostro Codice, affermando che “L’articolo 63 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale secondo la quale l’impresa mandataria di un raggruppamento di operatori economici partecipante a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico deve possedere i requisiti previsti nel bando di gara ed eseguire le prestazioni di tale appalto in misura maggioritaria“.

rivista appalti

Alcuni criteri direttivi della delega sono stati integrati in sede di approvazione da parte dell’VIII Commissione ambiente del Senato, evidenziando una particolare attenzione alla tutela del lavoro,  della sicurezza, alle politiche inclusive dei soggetti svantaggiati e all’integrazione del socially responsible procurement.

Il primo criterio direttivo prevede in realtà una molteplicità di subcriteri:  “il perseguimento di obiettivi di stretta aderenza alle direttive europee, mediante l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione corrispondenti a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse, ferma rimanendo l’inderogabilità delle misure a tutela del lavoro, della sicurezza, del contrasto al lavoro irregolare, della legalità e della trasparenza, al fine di assicurare l’apertura alla concorrenza e al confronto competitivo fra gli operatori dei mercati dei lavori, dei servizi e delle forniture, con particolare riferimento alle micro, piccole e medie imprese, tenendo conto delle specificità dei contratti nei settori speciali e nel settore dei beni culturali, anche con riferimento alla fase esecutiva, nonché di assicurare la riduzione e la razionalizzazione delle norme in materia di contratti pubblici, con ridefinizione del regime della disciplina secondaria, in relazione alle diverse tipologie di contratti pubblici, ove necessario”.

Dunque viene ribadito e rafforzato il divieto di gold-plating (“stretta aderenza alle direttive europee”) mentre si sottolinea l’inderogabilità del sistema delle tutele del lavoro e della sicurezza, presidiate anche a livello costituzionale. Nel corso dell’esame in sede referente presso la VIII Commissione, è stato precisato che nell’attuazione della delega si dovrà tenere conto anche delle specificità dei contratti nei settori speciali (ossia i settori del gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi postali, sfruttamento di area geografica) e che l’apertura alla concorrenza e al confronto competitivo tra i diversi operatori deve includere anche le micro imprese (inizialmente escluse nel testo originario del ddl).

Alla luce poi del criterio teso ad “assicurare la riduzione e la razionalizzazione delle norme in materia di contratti pubblici, con ridefinizione del regime della disciplina secondaria, in relazione alle diverse tipologie di contratti pubblici, ove necessario”, viene legittimo chiedersi che fine farà il Regolamento attuativo del Codice (la cui ultima versione della bozza risale alla fine di luglio 2020). Nel sistema degli appalti pubblici pare definitivamente tramontata la stagione della soft-law col ritorno allo strumento regolamentare reintrodotto dal DL “Sblocca-cantieri”; strumento che pare quindi confermato (“ridefinizione del regime della disciplina secondaria”), salvo subire una possibile dieta dimagrante (“riduzione e. razionalizzazione delle norme in materia di contratti pubblici”).

Tra i criteri direttivi più significativi e di stringente attualità si richiama quello di cui alla lettera  f) relativo alla  “previsione dell’obbligo per le stazioni appaltanti di inserire nei bandi di gara, negli avvisi e inviti, in relazione alle diverse tipologie di contratti pubblici, un regime obbligatorio di revisione dei prezzi al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva e non prevedibili al momento della formulazione dell’offerta, compreso il costo derivante dal rinnovo dei CCNL nazionali sottoscritti dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicabili in relazione all’oggetto dell’appalto e delle prestazioni da eseguire anche in maniera prevalente stabilendo che gli eventuali oneri derivanti dal suddetto meccanismo di revisione dei prezzi siano a valere sulle risorse disponibili del quadro economico degli interventi e su eventuali altre risorse disponibili per la stazione appaltante da utilizzare nel rispetto delle procedure contabili di spesa”. Il criterio, generalizzato a tutti i contratti pubblici, dovrebbe contribuire a colmare l’attuale vuoto normativo esistente per i meccanismi compensativi per servizi e forniture. In sede referente è stata poi aggiunta, in sintonia con le altre forme di tutela del lavoro, la previsione del costo derivante dal rinnovo dei CCNL.

Ulteriore criterio, in linea con il  favor per il “socially responsible procurement” e le politiche inclusive di integrazione dei soggetti svantaggiati e disabili si presenta quello di cui alla lett. g), con la “previsione della facoltà per le stazioni appaltanti di riservare il diritto di partecipazione alle procedure di appalto e a quelle di concessione ad operatori economici il cui scopo principale sia l’integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate previsione dell’obbligo per le stazioni appaltanti di inserire, nei bandi di gara, avvisi e inviti, tenuto conto della tipologia di intervento, in particolare ove riguardi beni culturali, e nel rispetto dei princìpi dell’Unione europea, specifiche clausole sociali con le quali sono indicati, come requisiti necessari dell’offerta, criteri orientati tra l’altro a: 1) garantire la stabilità occupazionale del personale impiegato; 2) garantire l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore, tenendo conto, in relazione all’oggetto dell’appalto e alle prestazioni da eseguire anche in maniera prevalente, di quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nonché garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell’appaltatore e contro il lavoro irregolare; 3) promuovere meccanismi e strumenti anche di premialità per realizzare le pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa per le persone con disabilità o svantaggiate”.

Come noto, la dialettica tra le logiche sociali di stabilità occupazionale e quelle, speculari, di ricambio generazionale previste dalla disciplina speciale per gli appalti PNRR, deve essere risolta da ogni stazione appaltante nella motivata valutazione circa i valori etico-sociali ai quali accordare maggiore protezione (con la possibilità, ad esempio, di non fare applicazione delle clausole di pari opportunità e ricambio generazionale ex art. 47 DL 77/2021 in caso di applicazione della clausola sociale).

Sul versante delle procedure sotto-soglia si richiama il criterio di cui alla lett. d) teso alla “semplificazione della disciplina applicabile ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea, nel rispetto dei princìpi di pubblicità, di trasparenza, di concorrenzialità, di rotazione, di non discriminazione, di proporzionalità, nonché di economicità, di efficacia e di imparzialità dei procedimenti e della specificità dei contratti nel settore dei beni culturali, nonché previsione del divieto per le stazioni appaltanti di utilizzare, ai fini della selezione degli operatori da invitare alle procedure negoziate, il sorteggio o altro metodo di estrazione casuale dei nominativi, se non in presenza di situazioni particolari e specificamente motivate”.

In disparte il richiamo agli oramai noti e ricevuti principi generali, l’elemento innovativo è costituito dal divieto del sorteggio come regola per la selezione degli operatori da invitare. Sul punto non si è mancato di evidenziare come l’impossibilità di utilizzare dinamiche casuali imporrà al RUP di valutare, propedeuticamente, altre strategie sia per ridurre l’elevato numero di candidature ad un’entità “sostenibile”, sia per selezionare in modo imparziale gli operatori da invitare (sempre che non insistano motivazioni per applicare il sorteggio): oltre all’opzione di procedere all’invito di tutti i candidati (declinando la procedura in una modalità “di tipo aperto” con esenzione dall’applicazione del principio di rotazione), si profilano altri criteri selettivi che dovranno essere però imparziali e non discriminatori (dunque non “territoriali” o basati solo sul fatturato generale, ma eventualmente focalizzati su specifici elementi curriculari correlati all’oggetto del contratto) e implicano peraltro uno sforzo amministrativo ulteriore da parte del RUP.

Di rilievo, per i servizi tecnici ed intellettuali, la previsione di cui alla lett. h-bis) secondo la quale il nuovo Codice dovrà prevedere il “divieto di prestazione gratuita delle attività professionali, salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione”. Si tratta di questione, quella degli incarichi gratuiti, assai complessa e controversa, che sottende la problematica della “concezione debole dell’onerosità” degli appalti pubblici, come affermata dalla recente giurisprudenza europea e interna, e che il legislatore più recente ha tentato di gestire attraverso la disciplina dell’equo compenso.
Come attentamente osservato (Armeli), rispetto alla situazione attuale, verrebbe sancita a livello normativo proprio l’eccezionalità della prestazione gratuita, imponendosene legislativamente i limiti. Sarebbero pertanto da valorizzare detti limiti posti all’eccezione e che il decreto attuativo dovrà aver cura di circostanziare e definire senza margini di incertezza, esplicitando -quantomeno- le categorie di “casi eccezionali” nei quali ammettersi la gratuità della prestazione professionale. In tal modo, verrebbe agevolato anche l’assolvimento dell’onere motivazionale della pubblica amministrazione che, in questo caso, dovrà essere specificatamente adeguato, pena l’esposizione a facili impugnazioni.

Dunque un nuovo Codice dei contratti pubblici è atteso tra la fine dell’anno e l’inizio del nuovo.

L’auspicio è che sia un Codice “di qualità”  scevro  dalle numerose criticità e dai gravi difetti che hanno caratterizzato il Dlgs. 50,  che possa centrare pienamente gli obiettivi essenziali per tutto il Sistema-Paese, specie in questo delicato momento storico, ove prioritaria e massimamente avvertita da tutti gli operatori e dai cittadini, è l’insopprimibile esigenza di una rinascita economica, sociale e ambientale, che passa inevitabilmente, e almeno in parte, anche attraverso la riforma degli appalti pubblici, quale riconosciuta leva strategica di ripresa.

Alessandro Massari