Cancellata, dalla Consulta, la previsione dell’estensione, per via contrattuale, dell’incentivo per funzioni tecniche disciplinato dalla normativa provinciale: ma i comuni trentini lo avevano già rilevato prima che la norma fosse impugnata!

Con la sentenza 41/2023 la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 5-bis della l.p. 2/2016 che era stato inserito con la l.p. 18/2017 e successivamente modificato.

23 Marzo 2023
Scarica PDF Stampa
Modifica zoom
100%
Con la sentenza 41/2023 la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 5-bis della l.p. 2/2016 che era stato inserito con la l.p. 18/2017 e successivamente modificato.

Si tratta di una sentenza che travolge la disciplina giuridica “contrattuale” dell’incentivo per “funzioni tecniche” di cui all’articolo 5-bis della l.p. 9 marzo 2016, n. 2.
Per memoria, si ricorda che la disciplina in questione prevede quanto segue:

Art 5 bis – Incentivi per funzioni tecniche
1.    Sono riconosciute retribuzioni incentivanti ai responsabili del procedimento, della predisposizione o del controllo delle procedure di gara, dell’esecuzione dei contratti pubblici, al presidente di gara e ai componenti della commissione tecnica. La contrattazione collettiva provinciale può individuare altre funzioni per il cui svolgimento sono riconosciute retribuzioni incentivanti ai sensi di questo comma. All’erogazione delle retribuzioni incentivanti sono destinate risorse in misura non superiore allo 0,50 per cento del valore stimato dell’appalto.
1 bis. Le risorse destinate all’erogazione delle retribuzioni incentivanti previste dal comma 1, comprensive degli oneri previdenziali e assistenziali e delle imposte a carico dell’amministrazione, sono attribuite al personale nelle misure, con le modalità e i criteri individuati dalla contrattazione collettiva provinciale. In ogni caso l’importo corrisposto annualmente non può essere superiore al 25 per cento della retribuzione lorda fondamentale spettante al personale interessato in quello stesso anno.
2.    Le amministrazioni aggiudicatrici che si avvalgono della centrale di committenza prevista dall’articolo 39 bis, comma 1 bis, lettera a), della legge provinciale n. 3 del 2006 possono riconoscere ai dipendenti della centrale le retribuzioni incentivanti per le funzioni svolte in luogo dei propri dipendenti.
2 bis. Per lo svolgimento degli incarichi di collaudo tecnico-amministrativo e di collaudo statico di opere pubbliche da parte del personale dipendente dell’amministrazione aggiudicatrice competente sono destinate all’erogazione di retribuzioni incentivanti risorse in misura non superiore allo 0,75 per cento dell’importo di progetto o di perizia delle opere e degli interventi. Le risorse, comprensive degli oneri previdenziali e assistenziali e delle imposte a carico dell’amministrazione, sono attribuite al personale nelle misure, con le modalità e i criteri individuati dalla contrattazione collettiva provinciale.
2 ter. Per gli incarichi di collaudo tecnico-amministrativo o di collaudo statico assegnati dall’amministrazione aggiudicatrice competente a dipendenti di altre amministrazioni aggiudicatrici è riconosciuto un compenso determinato in misura uguale alla retribuzione incentivante spettante al personale dipendente dell’amministrazione aggiudicatrice competente per i medesimi incarichi.
2 quater. Con deliberazione della Giunta provinciale sono definite le modalità per la gestione amministrativo-contabile delle risorse destinate alle retribuzioni incentivanti ai sensi di questo articolo.
2 quinquies. La spesa inerente alle retribuzioni incentivanti previste da quest’articolo è assunta a carico del bilancio delle amministrazioni aggiudicatrici nell’ambito degli stanziamenti destinati alla spesa per appalti e concessioni di lavori, servizi e forniture.
2 sexies. I commi 1 e 2 quinquies si applicano alle procedure avviate dopo l’entrata in vigore della legge provinciale 12 febbraio 2019, n. 1.

 

La declaratoria di illegittimità attiene all’inciso sopra evidenziato in corsivo sfondo arancione e, dunque, la possibilità che con la contrattazione collettiva possano essere individuate ulteriori funzioni tecniche che possono essere incentivate.

La ragione principale addotta dalla Consulta riguarda in primis l’incompetenza del legislatore provinciale a regolare la materia, dato che si tratta di istituto che incide sulla disciplina privatistica del rapporto di lavoro. Peraltro, per inciso, si legge (incredibilmente!) un ulteriore passaggio, a nostro avviso piuttosto problematico, in cui si afferma che “Questa Corte ha più volte affermato che la disciplina dei lavori pubblici non integra, in assenza di espressa indicazione nel nuovo art. 117 Cost., una vera e propria materia, sicché le diverse disposizioni vanno qualificate a seconda dell’oggetto cui afferiscono e conseguentemente possono essere ascritte, di volta in volta, a potestà legislative statali e regionali (ex plurimis, sentenze n. 43 del 2011 e n. 45 del 2010)”.

Questa precisazione è sicuramente fuori luogo in quanto, se essa risulta applicabile alle regioni a statuto ordinario (per le quali non sussiste, in effetti, alcuna specifica competenza in tema di lavori pubblici che, dunque, non riguardano una specifica “materia”), viceversa per quanto attiene alle regioni a statuto speciale e alle province autonome tale affermazione risulta contraddetta expressis verbis dalle previsioni degli statuti speciali (di rango costituzionale!) e delle relative norme di attuazione che non lasciano spazio al dubbio che alle medesime non siano attribuite competenze specifiche in “materia” di lavori pubblici. D’altra parte, questa fondamentale distinzione è stata affermata in più occasioni dalla stessa Consulta, a partire dalla sentenza 45/2010, in cui si è affermato che la “espressa previsione di una competenza propria nella materia in questione e l’ampiezza della stessa sono tali da comportare una maggiore autonomia delle Province autonome così come delle Regioni a statuto speciale rispetto a quella assicurata alle Regioni a statuto ordinario dal novellato Titolo V, che, come già sottolineato, non contempla un ambito materiale, nel settore dei lavori pubblici, che possa considerarsi di competenza regionale”.

Dopo tale discutibile premessa la Consulta prosegue il ragionamento andando a vagliare la ratio sottesa alla corrispondente disciplina statale, attualmente contenuta nell’articolo 113 del D.Lgs. 50/2016.

La Corte, al riguardo, rileva innanzitutto che “La disciplina recata dall’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016 costituisce l’approdo di una complessa evoluzione normativa” che parte dalla legge “Merloni”. La disciplina attuale che costituisce approdo di questa evoluzione pregressa, fissa il principio per cui alla fonte contrattuale – a differenza dell’impianto originario che attribuiva alla stessa anche la possibilità di “individuare” gli incentivi in questione – spetta “il solo compito di disciplinare le modalità e i criteri di ripartizione delle risorse finanziarie destinate a tale scopo, oltretutto sulla base di un apposito regolamento adottato dalla singola amministrazione”. La Corte, poi, ricorda che in varie occasioni le sezioni regionali della Corte dei Conti hanno affermato la sussistenza di un principio di tassatività delle attività che possono essere incentivate: “Sul carattere tassativo delle attività individuate dal comma 2 dell’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016 si sono ripetutamente espresse diverse sezioni di controllo della Corte dei conti (sezione regionale di controllo per il Veneto, deliberazione 2 marzo 2017, n. 134; sezione regionale di controllo per la Puglia, deliberazione 13 dicembre 2016, n. 204; sezione delle autonomie, deliberazione 13 maggio 2016, n. 18). In particolare, esse hanno più volte affermato che l’avverbio «esclusivamente» esprime l’intenzione del legislatore di riconoscere il compenso incentivante limitatamente alle attività espressamente previste, ove effettivamente svolte dal dipendente pubblico”.

Per la Consulta, considerate le peculiarità di questa normativa, gli incentivo per funzioni tecniche ineriscono alla materia “diritto civile” con la conseguenza che essa non appartiene all’ordinamento degli uffici (come sostenuto dalla Provincia autonoma di Trento nei documenti difensivi) bensì all’ordinamento civile: dunque, “lede pertanto la predetta competenza legislativa esclusiva dello Stato poiché consente alla contrattazione collettiva provinciale di ampliare il novero delle funzioni ammissibili alle retribuzioni incentivanti rispetto a quelle previste in modo tassativo dall’art. 113 del d.lgs. n. 50 del 2016”.

Peraltro, la Consulta ricorda che in sede di approvazione della norma impugnata, il Consiglio delle Autonomie aveva dato parere negativo rilevando proprio che la “previsione risulta incoerente con la disciplina nazionale e con l’elaborazione giurisprudenziale sul punto che mira ad individuare in modo più preciso possibile i soggetti destinatari delle retribuzioni incentivanti”.

In altri termini, indipendentemente dalla questione della riconducibilità degli incentivi nell’ambito dell’ambito materiale dei “lavori pubblici”, tema che è stato posto in termini scorretti come detto sopra, in ogni caso in effetti era rilevabile – e i comuni trentini lo avevano già fatto notare – che vi è stata invasione di campo nell’ambito della disciplina della gestione del rapporto di lavoro privatizzato trattandosi, comunque, di invasione della competenza legislativa statale esclusiva in materia di diritto civile.