Il Consiglio di Stato, prendendo spunto da un particolare caso, coglie l’occasione per fare chiarezza su quello che viene definito il “polimorfismo dispositivo” dell’illecito professionale, come delineato dall’art. 80, comma 5 del Codice dei Contratti pubblici

Commento alla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, 24 settembre 2020 n. 5564

28 Ottobre 2020
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Commento alla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, 24 settembre 2020 n. 5564

La sentenza in commento trae origine da un ricorso di primo grado proposto innanzi il TAR Lazio, con il quale il secondo graduato in una procedura per l’affidamento di un appalto di servizi ha impugnato l’aggiudicazione nei confronti di altro operatore economico censurando, sotto diversi profili, la violazione da parte di quest’ultimo dell’art. 80 comma 5 del d.lgs. n. 50/2016.

Il ricorrente chiedeva nello specifico che la società prima classificata fosse esclusa per essere incorsa in: precedenti risoluzione contrattuali, verbali di accertamento dell’Ispettorato del Lavoro, penali contrattuali di importo superiore all’1%, nonché per avere, un proprio consigliere di amministrazione, un’indagine penale a carico per un reato rilevante ai sensi dell’art. 80; in subordine, lamentava l’illegittimità del giudizio di non influenza che la Stazione appaltante aveva reso rispetto a tali circostanze, reputato erroneo e non condivisibile.

All’esito del rigetto in primo grado, l’originario ricorrente ha proposto appello in Consiglio di Stato che, con la pronuncia in esame, ha parzialmente riformato la sentenza appellata, statuendo interessantissimi principi, tanto in materia di circostanze rilevanti ai sensi dell’art. 80, comma 5, quanto sulla tipologia di giudizio che la Stazione appaltante è chiamata a rendere in materia di illecito professionale.

La pronuncia d’appello si è anzitutto concentrata sul tema della idoneità dei verbali dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro a costituire valido mezzo di prova dalle gravi infrazioni di cui all’art. 80, comma 5, lett. a) del d.lgs. n. 50/2016, ai sensi del quale un concorrente può essere escluso se “la stazione appaltante possa dimostrare con qualunque mezzo adeguato la presenza di gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro nonché agli obblighi di cui all’articolo 30, comma 3 del presente codice”.

Il Consiglio di Stato ha chiarito che i verbali di contestazioni delle infrazioni alle norme in materia di lavoro si collocano, secondo la scansione procedimentale delineata dalla L. n. 689/1981, nella fase dell’accertamento, e ciò in quanto essi costituiscono esplicazione del potere di accertamento demandato agli organi competenti ed esercitato nelle forme all’uopo previste (e per questo ritenute “debite” ai sensi e per gli effetti della lett. a) dell’art. 80).

Di conseguenza, argomenta il Consiglio di Stato, essi ben possono essere ricondotti nell’alveo di operatività della lett. a) indipendentemente dal fatto che siano o meno seguiti dalla notifica della cd. ordinanza-ingiunzione che, nella logica della L. n. 689/1981 costituisce unicamente espressione del potere di verificare che l’accertamento – già compiuto dall’Ispettorato – sia o meno meritevole di conferma (e, quindi, sanzionabile) o, viceversa, di archiviazione.

Data la premessa di inquadramento generale, che quindi ribadisce la regola per cui i verbali dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro devono essere sempre dichiarati dal concorrente, in quanto rilevanti ai sensi dell’art. 80, il Consiglio di Stato ricorda comunque come, pur a fronte di una “violazione debitamente accertata”, permane pur sempre il potere della stazione appaltante di valutarne l’incidenza sull’affidabilità professionale del concorrente.

Nel caso in esame, tuttavia, è risultato che la Stazione appaltante si fosse limitata ad acquisire i verbali citati, senza dare conto, né nel provvedimento di aggiudicazione, né altrove, del perché essa li avesse ritenuti ininfluenti; né, aggiunge il Consiglio di Stato, si potrebbe ritenere che tali verbali esulino dall’ambito di applicazione dell’art. 80, comma 5 lett. a), posto che quest’ultimo espressamente richiama gli “obblighi di cui all’articolo 30, comma 3 del presente codice” fra cui, appunto, anche gli obblighi di carattere retributivo.

Il Consiglio di Stato ha poi individuato una ulteriore circostanza di invalidità del provvedimento di aggiudicazione, nella parte in cui non ha espresso alcuna fondata motivazione sulla circostanza (pur dichiarata dal concorrente) di aver ricevuto diverse penali contrattuali per un importo superiore all’1% dei relativi contratti, come stabilito dalle Linee Guida ANAC n. 6.

Sul punto, il Giudice d’appello ha rilevato come, seppure il provvedimento di aggiudicazione desse conto dell’esistenza delle penali, non vi si trovasse tuttavia traccia della motivazione circa la relativa non incidenza, ritenendo che ciò costituisse un indizio del mancato esercizio della potestà valutativa spettante all’Amministrazione, quale condizione essenziale per la legittimità del provvedimento di aggiudicazione.

Sulla scorta di queste premesse il Consiglio di Stato ha accolto l’appello e rimesso il giudizio alla Stazione appaltante, per ogni determinazione conseguente. Trattandosi difatti di cause di esclusione facoltative, sottoposte a giudizio discrezionale dell’Amministrazione, il Consiglio di Stato ha ricordato come, in queste ipotesi, il Giudice non possa sostituirsi alla valutazione di quest’ultima, ma debba restituire gli atti al fine del prosieguo del procedimento amministrativo, che ovviamente dovrà svolgersi tenendo conto di quanto stabilito in sentenza.

Martina Alò