L’Amministratore di fatto e la legittimità della disciplina sotto il profilo costituzionale ed europeo

Vincenzo Laudani 1 Luglio 2025
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La possibilità per le stazioni appaltanti di escludere un operatore economico per reati commessi dal proprio amministratore di fatto è ormai consolidata.

Nonostante il superamento della teoria del contagio con il codice del 2023, il legislatore ha infatti indicato l’amministratore di fatto tra le figure il cui comportamento può incidere sulla affidabilità e sulla moralità del concorrente, conducendo alla sua esclusione automatica oppure alla sua esclusione non automatica per sussistenza di gravi illeciti professionali.

Il Tar Lazio[1], nel soffermarsi su un caso relativo al contagio dell’amministratore di fatto, esclude che la disciplina nazionale possa presentare profili di contrasto con il diritto costituzionale o con il diritto europeo, costituendo quindi un primo precedente su questo profilo.

Indice

Il contesto della sentenza

La procedura in questione era regolata dal codice appalti del 2016. Nonostante questo, la stazione appaltante ha interpretato e applicato anche gli articoli del codice a partire dal 2023, utilizzandoli come supporto interpretativo per la propria decisione e per l’analisi della figura dell’amministratore di fatto.
Un concorrente partecipava ad una gara per il servizio di trasporto sanitario. Tale concorrente presentava diverse criticità, tra cui il rinvio a giudizio per reati contro la pubblica amministrazione relativi all’esecuzione di appalti pubblici commessi da soggetti che, secondo la Procura della Repubblica, agivano come amministratori di fatto della società. Ancora, vi era stato il rinvio a giudizio di un ex amministratore unico e iscrizioni nel casellario ANAC, seppur non interdittive.
La stazione appaltante disponeva l’esclusione del concorrente. Secondo l’ente pubblico, tali elementi dimostravano l’inaffidabilità del concorrente, soprattutto per quanto riguarda i profili concernenti gli amministratori  di fatto, tali da non consentire  la dimostrazione dell’integrità del concorrente.

La figura dell’amministratore di fatto: brevi note


Punto determinante su cui si sofferma la sentenza è il ruolo dell’amministratore di fatto a fini escludenti.
L’ordinamento italiano non presenta una esplicita  definizione di tale figura (anche se questa è  ricavabile dal disposto dell’art. 2639 del codice civile[2]), ma questa è stato elaborato costantemente dalla giurisprudenza civile[3], penale[4] e anche, seppure in seconda battuta, amministrativa[5].  Si tratta, in sintesi, di colui che, pur in assenza di una formale nomina, esercita in concreto e in modo continuativo poteri di gestione e di controllo sull’attività d’impresa, impartendo direttive, assumendo decisioni e rappresentando di fatto la società.
La sentenza ribadisce un principio ormai consolidato, sia con riferimento al codice del 2016 sia con riferimento al codice del 2023, e cioè che l’illecito  professionale riconducibile all’amministratore di fatto può essere imputato anche all’impresa stessa. Questa impostazione è dettata dalla stringente necessità di tutelare l’interesse pubblico alla corretta gestione degli appalti e di prevenire stratagemmi volti a eludere le normative attraverso mere formalità societarie o la schermatura di responsabilità. In  assenza di una simile previsione, infatti, sarebbe sufficiente nominare una figura formalmente responsabile per mascherare influenze criminali, sottrarsi a responsabilità patrimoniali o eludere il disposto dell’art. 94  con conseguente causa di esclusione.

Il sindacato giurisdizionale sull’amministratore di fatto e la sua esclusione


La pronuncia del TAR Lazio enfatizza inoltre l’ampia discrezionalità di cui dispongono le stazioni appaltanti nel valutare la sussistenza di un grave illecito professionale e il suo impatto sull’affidabilità dell’operatore economico. Questo potere valutativo è fondamentale per consentire all’Amministrazione di adattarsi alle molteplici e complesse fattispecie che possono presentarsi.
Il Collegio ha chiarito che il sindacato del giudice amministrativo su tale apprezzamento discrezionale è limitato a verificarne la “non pretestuosità“. In altre parole, il giudice non può sostituirsi alla stazione appaltante nella sua valutazione di merito, ma deve accertare che la decisione sia stata assunta in modo logico, coerente, ragionevole e non manifestamente arbitrario, basandosi su elementi di fatto solidi e su una motivazione adeguata. Nel caso di specie, la ASL aveva fornito una motivazione dettagliata e circostanziata, supportata da provvedimenti giurisdizionali che delineavano chiaramente il ruolo e le condotte illecite attribuite agli amministratori di fatto, rafforzando la legittimità dell’esclusione.

La compatibilità con il diritto costituzionale e il diritto dell’unione europea


Un aspetto particolarmente rilevante della sentenza riguarda la compatibilità del sistema italiano con il diritto dell’Unione Europea e con i principi costituzionali. La ricorrente aveva eccepito la presunta illegittimità costituzionale dell’articolo 94, comma 3, lettera h), del D.Lgs. n. 36/2023 (richiamato dall’ente a fini interpretativi anche se non applicabile ratione temporis al caso specifico), laddove demanda alla Pubblica Amministrazione la valutazione della sussistenza della figura di un amministratore di fatto, sostenendo la mancanza di una “legge nazionale che indichi in modo chiaro come si debba individuare la figura dell’amministratore di fatto“.
Il TAR ha rigettato tale eccezione, ritenendo non sussistenti dubbi di non manifesta infondatezza. Ha osservato che la stazione appaltante è naturalmente chiamata a svolgere valutazioni sia giuridiche che tecniche, rientranti pienamente nelle sue competenze, che possono implicare anche attività interpretativa da parte dell’ente. Inoltre, sebbene si tratti di un profilo che il Tar non affronta, è vero che è del tutto assente un’esplicita definizione di amministratore di fatto, ma è anche vero che vi sono diverse disposizioni civilistiche che fanno riferimento a tale figura pur senza qualificarla espressamente come amministratore di fatto (si veda, come detto, l’art. 2639 c.c.)
 
Il Collegio ha anche affrontato l’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Ha richiamato l’articolo 57 della Direttiva 2014/24/UE, che tra le cause di esclusione obbligatoria annovera la condanna definitiva per determinati reati da parte di chi, negli organi direttivi e di controllo della società, ha “poteri di rappresentanza, di decisione o di controllo, a prescindere dalla qualifica formalmente rivestita“. Questa formulazione della Direttiva è determinante, poiché avvalla pienamente l’approccio italiano che valuta la sostanza del ruolo piuttosto che la mera forma. La stazione appaltante, nel valutare se un soggetto sia un amministratore di fatto, si basa sui criteri elaborati dalla consolidata giurisprudenza penale, civile e amministrativa, e tale valutazione discrezionale non implica una violazione del principio di legalità o di proporzionalità. L’ordinamento giuridico nazionale e unionale, quindi, sono allineati nel considerare rilevante la condotta di chi esercita un controllo effettivo, anche se non formalmente riconosciuto.

Note

[1] TAR Lazio, sez. III-quater, 27.6.2025 n. 12762
[2] Tale norma, a fini penali, equipara al <<soggetto formalmente investito della qualificaa o titolare della funzione..  chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata>> e <<chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione>>.
[3] Cass. Civ., sez. VI, 18.4.2019 n. 10975 analizza la  figura affermandone la responsabilità solidale per le sanzioni tributarie commesse dalla società.
[4] Sul tema si  veda Cassazione penale n. 34381/2022
[5] Si veda sul tema Cons. Stato, sez. V, 4.6.2025 n. 4863

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