Processo finalizzato al risarcimento del danno – Attività amministrativa relativa alle informative antimafia

Consiglio Giustizia Amministrativa Regione Sicilia Sezione giurisdizionale 28 marzo 2024, n. 233

15 Aprile 2024
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Contenzioso appalti – Processo finalizzato al risarcimento del danno – Colpa dell’amministrazione – Attività amministrativa relativa alle informative antimafia

Il risarcimento del danno non costituisce una conseguenza diretta e automatica dell’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo, ma è indispensabile procedere alla positiva verifica, oltre che della lesione della situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo (o di diritto soggettivo) tutelata dall’ordinamento, anche del nesso causale tra l’illecito e il danno subito, nonché della sussistenza della colpa o del dolo dell’amministrazione. Spetta al ricorrente l’onere della prova di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito civile, la mancanza di uno solo dei quali determina l’infondatezza della pretesa: elemento soggettivo (dolo o colpa del danneggiante) e oggettivo (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito), necessari per ritenere la responsabilità della p.a. ex art. 2043 c.c.. In merito all’elemento soggettivo la giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che affinché possa configurarsi la responsabilità aquiliana della p.a. per l’illegittimo esercizio del potere alla illegittimità del provvedimento poi annullato deve associarsi la sussistenza di un quid pluris, identificato nella “rimproverabilità soggettiva” della P.A. Tale “rimproverabilità soggettiva” della p.a. deve essere scrutinata tenendo conto delle norme attributive del potere e delle regole d’azione in ragione delle quali la p.a. agisce al fine di tutelare il bene pubblico individuato dal legislatore.
L’attività provvedimentale in materia di interdittiva antimafia è caratterizzata da ampia discrezionalità e da ciò discendono due inscindibili conseguenze sistemiche. 
Prima conseguenza.
Come rilevato dai pronunciamenti multilivello e dalla Corte costituzionale, all’ampia discrezionalità dei provvedimenti prefettizi in materia di antimafia è consustanziale la necessità che gli stessi siano sottoposti a una effettiva verifica giurisdizionale, pena la loro illegittimità costituzionale. A fronte di una discrezionalità tecnica particolarmente ampia, spetta al giudice amministrativo sottoporre i provvedimenti del prefetto (in ogni loro parte) a uno scrutinio che, tralasciando la sterile alternativa tra sindacato debole o forte, sia sempre effettivo e si estenda anche ai fatti alla cui stregua il prefetto formula il proprio giudizio prognostico, non dovendosi riconoscere un ambito di valutazioni ‘riservate’ alla pubblica amministrazione non attingibile integralmente dal sindacato giurisdizionale. L’esistenza di tale ambito “sarebbe del tutto incompatibile con la moderna configurazione dell’oggetto e della funzione del processo amministrativo, ispirato al canone dell’effettività della tutela, dotato di un sistema rimediale aperto e conformato al bisogno differenziato di tutela. La tutela giurisdizionale, per essere effettiva e rispettosa della garanzia della parità delle armi, deve consentire al giudice un controllo penetrante in tutte le fattispecie sottoposte alla sua attenzione” (Cons., St., sez. VI, 5 dicembre 2022, n. 10624).
Seconda conseguenza.
La configurabilità degli estremi della colpa dell’amministrazione nell’adozione delle informative antimafia, in ragione dell’ampia discrezionalità sopra descritta, dev’essere scrutinata in coerenza con la funzione, con la natura e con i contenuti delle stesse. “Non si potrà, in particolare, evitare di assegnare il dovuto rilievo alla portata della regola di azione, alla quale devono rispondere i Prefetti nell’esercizio della potestà in questione, che si rivela particolarmente sfuggente e di difficile decifrazione. Come si è visto, infatti, il paradigma legale di riferimento, codificato, in particolare, dagli artt. 84 e 91 del d.lgs. n.159 del 2011, resta volutamente elastico, nella misura in cui affida al Prefetto l’apprezzamento di indici sintomatici “…di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi delle società…” (art.84, comma 3, d.lgs. cit.) e, quindi, la formulazione di un giudizio prognostico dell’inquinamento della gestione dell’impresa da parte di organizzazioni criminali di stampo mafioso” (Cons. Stato, sez. III, sent. n. 3707/2015). Il carattere elastico dei presupposti dell’esercizio della potestà amministrativa in questione impedisce, infatti, di declinare pedissequamente nella fattispecie considerata le medesime cause esimenti enucleate in via generale dalla giurisprudenza per escludere la colpa dell’amministrazione. Ritiene il Collegio che la valutazione di legittimità della informativa e il giudizio di colpevolezza sull’operato dell’amministrazione non possano essere automaticamente sovrapposti, traslandone i relativi esiti. Il Collegio condivide l’assunto, ribadito più volte dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui il beneficio dell’errore scusabile va riconosciuto (con conseguente esclusione della colpa e, quindi, della responsabilità dell’amministrazione) nelle ipotesi in cui le acquisizioni informative, trasmesse al Prefetto dagli organi di polizia, risultano astrattamente idonee a formulare un giudizio plausibile sul tentativo di infiltrazione mafiosa, in quanto oggettivamente significative di intrecci e collegamenti tra l’organizzazione criminale e l’amministrazione dell’impresa, ancorché vengano giudicate, in concreto, insufficienti a giustificare e a legittimare la misura dell’interdittiva. 

Redazione