Sulla possibilità o meno di «rinegoziare» (rectius «negoziare») il contenuto di alcune condizioni contrattuali nella fase che intercorre tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto

13 Marzo 2024
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La fattispecie alla base della sentenza n. 1774/2024 della V Sezione del Consiglio di Stato – già commentata su questa Rivista a cura di Giovanni F. Nicodemo, È contrario a buona fede e correttezza il comportamento della p.a. che tarda a convocare l’aggiudicatario per stipulare – consente di soffermarsi su una questione che non è certamente nuova in giurisprudenza, ovverosia sulla possibilità o meno di ricondurre il contratto ad utilità nella fase che intercorre tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto, in presenza di sopravvenienze imprevedibili ed estranee al normale ciclo economico, in grado di generare condizioni di shock eccezionale.

E ciò in quanto, nel caso in esame, a seguito dell’insorgenza del conflitto russo-ucraino e delle dinamiche che erano derivate (impossibilità di reperire sul mercato tutta una serie di materie prime indispensabili per l’esecuzione delle prestazioni contrattuali, da un lato e incremento esponenziale dei prezzi dei materiali disponibili, dall’altro), l’impresa aggiudicataria aveva presentato all’Amministrazione un’istanza di adeguamento delle condizioni contrattuali, preannunciando che, in difetto, avrebbe irrevocabilmente rinunciato alla stipula del contratto, circostanza che poi, di fatto, si è verificata (v. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 17 aprile 2023, n. 155).

Sull’argomento si registrano due posizioni contrastanti.
Ad avviso di un primo orientamento, essendo «del tutto ovvio che ogni azzeramento di una procedura amministrativa in assenza di specifiche illegittimità che la affliggono ha un costo (in termini di tempo e dispendio di inutile attività amministrativa) e un rischio (a fronte degli altrui affidamenti nelle more consolidatisi) per l’amministrazione», la scelta di quest’ultima di definire i termini della «necessaria rinegoziazione» ancor prima di procedere alla stipula del contratto «si configura in fondo come prudente», considerato che la rinegoziazione implica l’accordo della controparte e che, ove tale accordo non venisse raggiunto, si rafforzerebbe in capo all’Amministrazione stessa la possibilità di disporre la revoca sia in ragione delle predette sopravvenienze sia in considerazione del ragionevole rispetto delle aspettative dell’aggiudicatario (cfr. T.A.R. Piemonte, Sez. I, 28 giugno 2021, n. 667).

Tale conclusione risulta suffragata dalle seguenti considerazioni: i) il principio di immodificabilità del contratto non ha carattere assoluto e le variazioni contrattuali non violano, sempre e comunque, i principi fondamentali che governano la materia dell’evidenza pubblica (così T.A.R. Toscana, Sez. I, 25 febbraio 2022, n. 228); ii) in presenza di una lacuna dell’ordinamento, dovuta all’assenza di una disciplina specifica delle sopravvenienze applicabile alla fase che intercorre tra l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto, può farsi ricorso all’analogia ex art. 12, comma 2, delle preleggi, data l’«eadem ratio» (cfr. T.A.R. Sardegna, Sez. II, 16 novembre 2022, n. 770); iii) una corretta applicazione dei principi di efficacia e di economicità – e, dunque, di buon andamento della pubblica Amministrazione – impone di scongiurare la riedizione della procedura di gara in presenza di modifiche «non essenziali» delle condizioni contrattuali (così T.A.R. Sardegna, n. 770/2022, cit.); iv) è onere dell’Amministrazione assicurarsi di addivenire alla stipula del contratto in condizioni di equilibrio, adottando – se del caso – le misure necessarie a ristabilire (e non già ad alterare in favore dell’aggiudicatario) l’originario equilibrio contrattuale (cfr. T.A.R. Piemonte, Sez. II, 20 febbraio 2023, n. 180).

Inoltre, non ha alcun senso focalizzarsi sulla mancata stipula del contratto, dal momento che: i) detto elemento «non ha alcuna rilevanza per l’ordinamento eurounitario da cui la disciplina degli appalti è derivata»; ii) la dicotomia tra la fase pubblicistica e quella privatistica «non corrisponde alla realtà economica dell’appalto, che presenta invece una sua fisiologica continuità»; iii) è del tutto pacifico che «ben prima della formale stipulazione del contratto possono aversi attività esecutive (si pensi all’esecuzione urgente ed anticipata) e ben dopo la stipula del contratto possono aversi momenti pubblicistici (si pensi alla risoluzione contrattuale perché l’impresa è colpita da un’interdittiva antimafia)» (così T.A.R. Piemonte, n. 667/2021, cit.).

Di contro, secondo un differente filone interpretativo, prima della stipula del contratto non è «giuridicamente ipotizzabile né ammissibile alcuna ipotesi di revisione del prezzo, che per sua natura presuppone un contratto (ad esecuzione continuata e periodica) già in corso». Ne segue che, nel caso in cui l’evento imprevisto e imprevedibile si verifichi prima della stipula del contratto, «l’impresa aggiudicataria è tutelata con la possibilità di rifiutare la sottoscrizione del contratto, una volta cessata la vincolatività della propria offerta» (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. I, 10 marzo 2022, n. 239, confermata da Cons. Stato, Sez. IV, 31 ottobre 2022, n. 9426).

La possibilità di negoziare le condizioni contrattuali risulta preclusa anche perché «non può omettersi di considerare come la pretesa alla rimodulazione dei corrispettivi prima della stipula del contratto (e, quindi, in una fase differente dall’esecuzione) alteri il confronto tra gli operatori (…) finendo per “premiare” il concorrente che indica il prezzo maggiormente competitivo (anche senza quella necessaria prudenza che si richiede ad un soggetto qualificato e da tempo operante nel mercato), salvo poi predicare l’insostenibilità delle condizioni originarie del contratto, determinate anche in ragione della propria offerta» (così T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, 10 giugno 2022, n. 1343, non appellata).

Inoltre, l’art. 106 del d.lgs. n. 50/2016 – rubricato «Modifica di contratti durante il periodo di efficacia» – «scolpisce in modo netto i propri confini operativi, circoscrivendoli al caso nel quale, conseguita l’aggiudicazione, non solo sia già stato stipulato il contratto, ma questo sia anche efficace e in corso di validità». Tale disciplina non è conseguentemente «applicabile analogicamente al di fuori dell’area normativa così disegnata, posto che lo spazio che precede la stipula del contratto (…) rimane presidiato dai principi dell’evidenza pubblica i quali non consentono l’apprezzabile modifica (ancorché quantitativa) dell’oggetto dell’appalto, se non a prezzo di vulnerare la par condicio tra i concorrenti (…), né in conseguenza la possibilità di riformulare l’offerta (e non il contratto) che rimane invece connotata da immutabilità dei contenuti e dalla tassatività dei termini di presentazione» (cfr. T.A.R. Lazio Roma, Sez. III-quater, 27 novembre 2017, n. 11732).

La questione in esame sarà probabilmente destinata a ripresentarsi anche nella vigenza del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023), considerato che: i) gli artt. 9, 60 e 120 contengono al loro interno un riferimento espresso al concetto di «contratto»; ii) la Relazione di accompagnamento, nell’illustrare il contenuto dell’art. 9, chiarisce che «L’articolo (…) mira a disciplinare le sopravvenienze che possono verificarsi nel corso dell’esecuzione del contratto (…)» e che «Viene, in tal modo, introdotto un rimedio manutentivo del contratto, maggiormente conforme all’interesse dei contraenti – e dell’amministrazione in particolare – in considerazione dell’inadeguatezza della tutela meramente demolitoria apprestata dall’art. 1467 c.c.».
Forse, si sarebbe potuto approfittare delle indicazioni contenute nella legge delega (adeguare la disciplina dei contratti pubblici «ai principi espressi dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, interne e sovranazionali» – cfr. art. 1, comma 1, della l. n. 78/2022) per risolvere definitivamente il contrasto giurisprudenziale di cui si è dato atto in questa sede.

Chiara Pagliaroli