Violazioni tributarie definitivamente accertate: esclusione automatica legittima per la Corte costituzionale

A cura di Avv. Matteo Corbo, Ph.D. e Avv. Francesco Fiorello

27 Agosto 2025
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Indice

Il caso di specie – L’ordinanza di rimessione

La vicenda giunta all’attenzione della Corte Costituzionale prende le mosse da un’ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato, adottata l’11 settembre 2024, nell’ambito di un giudizio di appello promosso da un operatore economico avverso la sentenza del TAR Emilia-Romagna – Sezione distaccata di Parma. Il ricorso di primo grado era stato presentato contro l’aggiudicazione, da parte dell’AUSL IRCCS di Reggio Emilia, di un appalto relativo ai servizi di accompagnamento e trasporto interno di utenti e pazienti deambulanti, nonché al trasporto di materiale biologico e sanitario e di salme/cadaveri.

L’appellante contestava, per quanto di rilievo nella presente sede, la mancata esclusione “automatica” dell’aggiudicatario per difetto del requisito della regolarità fiscale, ai sensi dell’art. 80, comma 4, del D. Lgs. n. 50/2016 (norma applicabile ratione temporis, ma sostanzialmente trasfusa nell’articolato del D. Lgs. n. 36/2023). Segnatamente, veniva lamentata l’omessa dichiarazione, da parte del concorrente risultato aggiudicatario, di un debito pari a 18.000 euro, originato dal ritardato pagamento del contributo unificato dovuto in relazione a un ricorso in appello dinanzi al Consiglio di Stato.

L’operatore economico soccombente in primo grado, in particolare, insisteva nella richiesta di annullamento dell’aggiudicazione, richiamando, a sostegno delle proprie ragioni, l’orientamento che si era formato nell’ambito del parallelo giudizio definito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la decisione n. 7/2024, intervenuta tra le medesime parti e sulla base del medesimo presupposto fattuale.

A sua volta, l’aggiudicatario eccepiva quindi, con argomentazioni ritenute condivisibili dal Consiglio di Stato nell’ordinanza di rimessione, l’illegittimità dei primi due periodi dell’art. 80, comma 4, del D. Lgs. n. 50/2016 per violazione dell’art. 3 Cost, sotto il profilo del contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità.

In via preliminare, deve ricordarsi, che, ai sensi della norma in questione, un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti. La soglia di gravità delle violazioni, che costituisce la questione centrale della presente controversia, è individuata dall’art. 80, comma 4, secondo periodo, attraverso un richiamo alla soglia imposta dall’art. 48-bis, commi 1 e 2-bis, del d.P.R. n. 602/1973, ad oggi pari a 5.000 euro.

Ora, secondo l’ordinanza di rimessione, la soglia in questione e l’automatismo espulsivo che ne deriva risulterebbero irragionevoli e sproporzionati. La critica si sviluppava lungo più direttrici:

  • in primo luogo, la norma censurata darebbe luogo a un automatismo espulsivo privo di margini valutativi, con la conseguenza che anche violazioni fiscali di entità modesta, ancorché definitivamente accertate, potrebbero determinare l’esclusione da gare pubbliche di rilevante valore economico. È quanto accadrebbe nel caso di specie, ove il debito fiscale contestato – pari a 18.000 euro – risulterebbe oltre 500 volte inferiore all’importo dell’appalto, superiore ai 9 milioni di euro;
    – in secondo luogo, tale approccio non risulterebbe conforme alle disposizioni euro-unitarie in materia di esclusione dalle procedure di affidamento, e in particolare all’art. 57, par. 3, della Direttiva 2014/24/UE, che consente alla stazione appaltante di derogare all’esclusione automatica nei casi in cui la misura risulti “chiaramente sproporzionata, in particolare qualora non siano stati pagati solo piccoli importi di imposte”;
  • in secondo luogo, tale approccio non risulterebbe conforme alle disposizioni euro-unitarie in materia di esclusione dalle procedure di affidamento, e in particolare all’art. 57, par. 3, della Direttiva 2014/24/UE, che consente alla stazione appaltante di derogare all’esclusione automatica nei casi in cui la misura risulti “chiaramente sproporzionata, in particolare qualora non siano stati pagati solo piccoli importi di imposte”;
  • l’ordinanza rimarcava poi la sproporzione tra la soglia di 5.000 Euro prevista per l’esclusione automatica da gare pubbliche e le ben più alte soglie rilevanti in ambito penal-tributario. In tal modo, la sanzione amministrativa dell’esclusione risulterebbe, paradossalmente, più severa di quella penale accessoria.
  • infine, si evidenziava come l’art. 48-bis del d.P.R. n. 602/1973, dal quale è mutuata la soglia in questione, risponda a una finalità esclusivamente esattiva e non selettiva, mirando a tutelare l’interesse dell’Erario attraverso la sospensione dei pagamenti pubblici superiori a 5.000 euro in favore di soggetti debitori. Trasporre tale soglia in ambito pubblicistico come causa di esclusione automatica, svincolandola dal contesto per cui è stata concepita, determinerebbe un’eterogenesi dei fini e condurrebbe a esiti paradossali, quali quelli che si sarebbero verificati nel caso di specie.

In conclusione, la Corte costituzionale veniva sollecitata a un intervento additivo di principio, volto a chiarire che integrano “gravi violazioni definitivamente accertate” ai sensi dell’art. 80, comma 4, D. Lgs. n. 50/2016, quelle superiori alla soglia di euro 5.000 ex art. 48-bis del d.P.R. n. 602/1973, ma soltanto a condizione che siano proporzionate al valore dell’appalto.

La sentenza della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale, richiamati i principi da essa costantemente espressi con riferimento ai canoni di ragionevolezza e di proporzionalità, respinge con convinzione le argomentazioni spese dal giudice a quo, dichiarando infondata la questione di legittimità costituzionale.
Il principio di proporzionalità, in particolare, afferma la Corte, richiede una valutazione circa l’idoneità al conseguimento dei legittimi obiettivi perseguiti e circa la necessarietà della norma oggetto dello scrutinio di costituzionalità.

Ebbene, quanto all’idoneità allo scopo, la Corte afferma che la norma sottoposta al suo esame risponde pienamente alla necessità di assicurare l’integrità e l’affidabilità degli operatori con cui l’Amministrazione è chiamata a contrattare. Tale disposizione, argomenta la Corte, evitando l’esclusione di coloro che hanno commesso violazioni tributarie di entità particolarmente lieve, consente infatti la massima partecipazione degli operatori economici alle procedure a evidenza pubblica, favorendo altresì la par condicio tra i partecipanti alla gara, ancorando a un importo predefinito l’esclusione dalla procedura. Tale ultimo aspetto, in particolare, risponderebbe pienamente a quanto richiesto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, secondo la quale «[i] principi di trasparenza e di parità di trattamento che disciplinano tutte le procedure di aggiudicazione di appalti pubblici richiedono che le condizioni sostanziali e procedurali relative alla partecipazione ad un appalto siano chiaramente definite in anticipo e rese pubbliche, in particolare gli obblighi a carico degli offerenti, affinché questi ultimi possano conoscere esattamente i vincoli procedurali ed essere assicurati del fatto che gli stessi requisiti valgono per tutti i concorrenti» (Corte di giustizia dell’Unione europea, 26 settembre 2024, cause riunite C-403/23 e C-404/23, Luxone S.r.l. e Sofein S.p.A.).

La misura, prosegue la Corte, risulterebbe altresì necessaria, tenuto conto dell’obbligo, imposto dalla direttiva 2014/24/UE, di escludere l’operatore economico che ha commesso una violazione fiscale definitivamente accertata, e rilevato altresì l’evidente sfavore che la disciplina euro-unitaria manifesta nei confronti dell’accesso alle gare dell’operatore economico che ha debiti fiscali, salvo che il mancato pagamento riguardi “piccoli importi di imposte”.

Quanto poi al principio di proporzionalità in senso stretto, si rileva innanzitutto che l’importo di 5.000 euro stabilito dal Legislatore nazionale deriva, come evidenziato anche dall’ordinanza di rimessione, da una disposizione normativa con finalità distinte rispetto a quelle del Codice dei contratti pubblici. Tale norma, infatti, riguarda l’attivazione di meccanismi di compensazione nei confronti di un soggetto che, pur essendo creditore di somme da parte dello Stato, risulta inadempiente agli obblighi fiscali. Ebbene, nonostante questa differenza di scopo, la Corte ritiene che la suddetta soglia possa comunque essere applicata anche per la selezione degli operatori economici affidabili ai fini dell’aggiudicazione degli appalti, essendo rimessa in ultima analisi al Legislatore, nell’esercizio del suo potere discrezionale, l’individuazione della soglia di rilevanza del debito fiscale ai fini d’interesse.
Ancora, l’art. 80, comma 4, D. Lgs. n. 50/2016, secondo l’impostazione del Giudice delle leggi, non risulterebbe neppure manifestamente irragionevole, rispondendo all’esigenza di trattare con particolare severità, come imposto dall’ordinamento euro-unitario, i concorrenti che si siano resi responsabili di violazioni definitivamente accertate e al contempo consentendo la partecipazione alle procedure a evidenza pubblica a coloro i quali abbiano commesso violazioni di importo minimo.

Infine, conclude la sentenza della Corte, a nulla varrebbe raffrontare l’automatismo espulsivo imposto per le violazioni fiscali definitivamente accertate dall’art. 80, comma 4, primi due periodi, del D. Lgs. n. 50/2016, con la differente disciplina prevista dal quarto periodo della stessa norma per le violazioni fiscali non definitivamente accertate, che sono “gravi” (e quindi possono comportare l’esclusione dell’operatore economico che le ha commesse) solo se superiori al 10 per cento del valore dell’appalto di cui si tratta e comunque non inferiori e 35.000 euro. Quest’ultima norma, infatti, introduce una causa di esclusione prevista in via meramente facoltativa dalla direttiva comunitaria, e individua condizioni più favorevoli per l’operatore economico accusato di aver commesso violazioni fiscali, nella consapevolezza che all’esclusione dalla procedura per effetto del debito tributario potrebbe eventualmente seguire l’accertamento della sua insussistenza.

Brevi profili ricostruttivi

La vicenda esaminata dalla Corte costituzionale si inserisce in un ambito tematico particolarmente delicato, quale quello dei requisiti soggettivi di partecipazione alle gare pubbliche, con specifico riferimento alla regolarità fiscale dell’operatore economico.

L’art. 80, comma 4, del D. Lgs. n. 50/2016, che introduce ai primi due periodi una causa di esclusione automatica connotata da una soglia rigida e predeterminata, si fonda sull’assunto secondo cui il rispetto degli obblighi fiscali rappresenta un indice oggettivo di affidabilità dell’operatore, la cui violazione, ove accertata in via definitiva, giustifica l’estromissione dallo spazio concorrenziale.

Secondo quanto rilevato dall’ordinanza di rimessione, l’automatismo espulsivo previsto dalla norma, privo di margini valutativi da parte della stazione appaltante, suscita rilevanti perplessità, non solo in relazione alla sua compatibilità con i principi costituzionali di ragionevolezza e proporzionalità, ma anche sotto il profilo della sua stessa conformità al diritto dell’Unione europea.

La stessa ordinanza richiama al riguardo, come illustrato, l’art. 57, par. 2 e 3, della Direttiva 2014/24/UE, che, pur prevedendo l’obbligo di escludere gli operatori economici in caso di violazioni fiscali definitivamente accertate, consente tuttavia alla stazione appaltante di non procedere all’esclusione quando la misura risulti «manifestamente sproporzionata», in particolare qualora si tratti del mancato pagamento di importi di modesta entità.
Da ciò deriverebbe, secondo il giudice rimettente, una chiara tensione tra l’approccio rigido adottato dal Legislatore nazionale e il margine di apprezzamento riconosciuto alle amministrazioni aggiudicatrici dal diritto euro-unitario.

La Corte costituzionale ha ritenuto conforme al principio di proporzionalità la scelta legislativa di predeterminare una soglia economica fissa al di sotto della quale non scatta l’esclusione. Tale soglia viene infatti ritenuta idonea a rispondere alle esigenze di certezza, trasparenza e par condicio nelle procedure a evidenza pubblica, purché accompagnata da un accertamento definitivo della violazione.

Sul piano sistematico, la sentenza ribadisce la centralità della certezza giuridica nella fase di selezione degli operatori economici, privilegiando la stabilità delle regole di gara rispetto a soluzioni più flessibili e parametrate sul caso specifico, come quelle previste per le violazioni non ancora definitivamente accertate.

Sotto questo profilo, si consolida quindi l’idea secondo cui l’ordinamento preferisca preservare l’integrità della selezione concorrenziale attraverso soglie oggettive e formalizzate, in grado di evitare ab origine eventuali disparità di trattamento e contestazioni sul piano procedurale.

Considerazioni conclusive

In definitiva, la pronuncia si inserisce nel solco di un’impostazione formalistica, orientata a garantire certezza, efficienza e prevedibilità nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica.
Rimane tuttavia aperto l’interrogativo se l’equilibrio così configurato sia effettivamente sostenibile nei casi‑limite, come quello oggetto della controversia, in cui la sproporzione tra l’entità del debito fiscale e il valore dell’appalto risulta particolarmente marcata. Situazioni di questo tipo sembrano richiedere una riflessione sull’opportunità di introdurre meccanismi correttivi più flessibili, in grado di bilanciare l’esigenza di rigore con quella di equità sostanziale.

Pur dichiarando infondata la questione di legittimità costituzionale, la Corte in ogni caso non chiude del tutto la porta a soluzioni normative alternative. Al contrario, proprio nella parte finale della sentenza, si rinviene un’apertura significativa verso una possibile revisione legislativa. La Consulta sottolinea infatti che “spetta al legislatore, nell’osservanza delle norme dell’Unione europea, valutare l’opportunità di prevedere una diversa soglia di esclusione per le violazioni fiscali definitivamente accertate”, con l’obiettivo di “garantire la più ampia partecipazione possibile degli operatori economici alle gare per l’affidamento di appalti pubblici”.

In tal senso, la Corte riconosce quindi l’esistenza di un margine di discrezionalità politica nella determinazione del livello di “gravità” rilevante ai fini dell’esclusione, ritenendo non irragionevole l’attuale soglia ma lasciando spazio a scelte differenti, purché coerenti con i principi euro-unitari.

Non solo: viene anche prospettata la possibilità di introdurre meccanismi di sanatoria in caso di regolarizzazione tempestiva, laddove ciò risulti compatibile con le esigenze di buon andamento. “Spetta altresì al legislatore» – afferma la Corte – “considerare la possibilità di non escludere dalla partecipazione alla gara l’operatore economico che abbia commesso una violazione di importo superiore alla soglia di rilevanza, qualora provveda a pagare tempestivamente il debito fiscale rimasto inadempiuto”.

Seppure in forma prudente, questi passaggi possono essere letti come un invito al Legislatore a calibrare meglio il bilanciamento tra tutela dell’interesse pubblico e salvaguardia della concorrenza, specie in quelle ipotesi in cui l’automatismo espulsivo rischia di risultare eccessivamente rigido, producendo come effetto una situazione potenzialmente non connotata dai canoni di ragionevolezza e proporzionalità.

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