La clausola di revisione prezzi, questioni di giurisdizione e applicative

Il Giudice Amministrativo, con una pronuncia chiarificatrice, enuclea i principi che si vanno consolidando ormai da anni sul tema della revisione dei prezzi

4 Novembre 2020
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Il Giudice Amministrativo, con una pronuncia chiarificatrice, enuclea i principi che si vanno consolidando ormai da anni sul tema della revisione dei prezzi.

Ancora una volta viene confermata con forza la giurisdizione del Giudice Amministrativo; una giurisdizione che, sul quadro tratteggiato dagli orientamenti maggioritari, si delinea, appunto, come esclusiva in quanto, in ragione del concorso di situazioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo, include la decisione sia dell’an che del quantum debeatur.

Sotto il profilo del merito è poi una decisione che pone le basi per la determinazione dei casi concreti nei quali non è possibile per la stazione appaltante rifiutare unilateralmente e arbitrariamente il corretto inserimento in contratto e in capitolato della clausola di revisione prezzi

Commento a TAR LAZIO – ROMA, SEZ. II, sentenza del 22 ottobre 2020 n. 10771

Il procedimento principale

Parte ricorrente ha impugnato il provvedimento con cui la committente ha respinto la richiesta di adeguamento prezzi contrattuali avanzata con riferimento al contratto di appalto stipulato con l’amministrazione comunale nel gennaio 2009 per la prestazione, per il periodo dal 1° settembre 2008 al 31 luglio 2013, di una serie di servizi, dettagliatamente descritti nel capitolato speciale d’appalto, presso talune strutture educative e scolastiche, contratto poi anche “prorogato”.

La ricorrente ha domandato quindi l’accertamento del diritto, ai sensi e per gli effetti degli artt. 7 e 115 del d.lgs. n. 163/2006, alla revisione e all’adeguamento dei prezzi, previa declaratoria di nullità ai sensi dell’art. 1419 c.c. della previsione capitolare che stabiliva che l’eventuale revisione dei prezzi avrebbe potuto decorrere e avere efficacia solo a partire da settembre 2011, e sua sostituzione, ai sensi degli artt. 1374 e 1339, secondo il meccanismo di integrazione automatica del contratto, con la norma imperativa contenuta all’art. 115 del d.lgs. n. 163/2006.

Con riferimento al periodo di “proroga tecnica” del solo termine finale del contratto, l’applicazione della clausola revisionale.

La decisione del T.A.R.

Come anticipato, il Collegio ha ritenuto che la giurisdizione appartenga al giudice amministrativo, alla luce dell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2, del c.p.a. che devolve “alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo… le controversie… relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi di cui all’articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell’adeguamento dei prezzi ai sensi dell’articolo 133, commi 3 e 4, dello stesso decreto”.

L’ambito della giurisdizione esclusiva in materia di revisione dei prezzi ha, infatti, per l’effetto, definitivamente assunto – in ragione del concorso di situazioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo – una portata ampia e generale, includendo ogni controversia concernente la revisione dei prezzi di un contratto di appalto, compreso il profilo del quantum debeatur (Consiglio di Stato, Sezione III, n. 1937/2019), con definitivo superamento di quel tradizionale orientamento interpretativo secondo il quale al giudice amministrativo spettavano le sole controversie relative all’an della pretesa alla revisione del prezzo, mentre competevano al giudice ordinario le questioni inerenti alla quantificazione del compenso.

Tanto premesso, invocando gli artt. 1419, 1338 e 1374 del codice civile, parte ricorrente ha eccepito la nullità della clausola capitolare contrastante con l’art. 115 del d.lgs. n. 163/2006, nella parte in cui prevede che la revisione dei prezzi possa trovare applicazione solo a partire da settembre 2011 piuttosto che dal secondo anno di prestazione del servizio esecuzione – e, quindi, nel caso di cui si discute fin da settembre 2009 -, invocandone la sostituzione de iure per prevalenza automatica della norma imperativa contenuta in tale art. 115 (ratione temporis applicabile al caso di specie), a mente del quale “Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’articolo 7, comma 4, lettera c) e comma 5”.

È stata questa l’occasione per ribadire un principio fondamentale: la funzione teleologica della clausola revisionale del corrispettivo è di tenere indenni gli appaltatori delle amministrazioni pubbliche da quegli aumenti dei prezzi dei fattori della produzione che, incidendo sulla percentuale di utile stimata al momento della formulazione dell’offerta, potrebbero indurre l’appaltatore a svolgere i servizi o ad eseguire le forniture a condizioni deteriori rispetto a quanto pattuito o, addirittura, a rifiutarsi di proseguire nel rapporto, con inevitabile compromissione degli interessi pubblici (in tal senso, Consiglio di Stato, Sezione III, 19 luglio 2011, n. 4362).

Ebbene, nel richiamare giurisprudenza unanime sul punto, il Collegio ha ribadito il principio secondo cui l’art. 115 si sostituisce di diritto ad eventuali pattuizioni contrarie o mancanti nei contratti pubblici di appalti di servizi e forniture ad esecuzione periodica o continuativa.

Tale meccanismo normativamente previsto con determinati criteri non può essere surrogato da un sistema differente che escluda aprioristicamente l’operatività per il secondo e terzo anno di esecuzione del contratto, ciò in quanto una previsione di tal fatta sarebbe arbitraria (probabilmente protesa a evitare l’avvio dell’istruttoria normativamente prevista per un determinato periodo di tempo a carico della committente) e in quanto tale affetta da radicale nullità ai sensi dell’art. 1419 c.c., in quanto contrastante con una norma di legge imperativa, con la conseguenza che andrebbe sostituita di diritto dall’art. 115 del D.Lgs. n. 163/2006, ciò ex art. 1339 c.c..

Analoghe considerazioni possono svolgersi in riferimento al periodo relativo all’intervenuta c.d. “proroga tecnica” del contratto originario. Sul punto occorre precisare che il Collegio ha osservato come dalla natura imperativa dell’art. 115 non possa automaticamente dedursi l’esistenza del diritto alla revisione dei prezzi ogni qualvolta sussista la proroga del termine previsto nell’originario contratto, dovendosi, invece, tenere conto anche dell’eventuale mutamento delle condizioni e del prezzo nuovamente negoziati dalle parti.

A tal proposito è stato puntualizzato che la revisione dei prezzi dei contratti stipulati con la pubblica amministrazione si applica soltanto alle proroghe contrattuali non anche agli atti successivi al contratto originario con cui, attraverso specifiche manifestazioni di volontà, sia stato dato corso tra le parti a distinti, nuovi ed autonomi rapporti giuridici, ancorché di contenuto analogo a quello originario.

Ciò in quanto, altrimenti, verrebbe vanificata la ratio della norma che è quella di adeguare il prezzo determinato nell’originario rapporto per finalità di conservazione del livello qualitativo delle prestazioni dell’appaltatore. Circostanza questa che non è neppure ipotizzabile per analogia quando il rapporto sia consensualmente rinegoziato e rinnovato. La rinegoziazione, infatti, comporta una nuova contrattazione con il medesimo soggetto, che può anche concludersi con l’integrale conferma delle precedenti condizioni o con la modifica di alcune di esse in quanto non più attuali.

Ebbene, passando al caso in esame, il Collegio ha affermato che quando si discuta di proroga e non già di rinnovo dell’originario contratto, nessuna negoziazione risulta essere intercorsa tra le parti su alcuna delle previgenti condizioni contrattuali per l’effetto prorogate, prevedendo l’accordo tra le parti il solo differimento del termine finale del rapporto, il quale continuava per il resto ad essere regolato dall’atto originario, come confermato anche dall’essere ivi riportato il prezzo del contratto originario che rimaneva, pertanto, immutato senza che ciò solo possa di per sé costituire, come vorrebbe la resistente, espressione di una rinnovata volontà negoziale, bensì circostanza idonea a ulteriormente avvalorare l’intervenuta mera proroga del previgente contratto, in accordo, tra l’altro, anche alla terminologia adottata dalla stessa amministrazione.

Ne consegue, pertanto, l’obbligo della committente ad istruire il procedimento di revisione dei prezzi anche per la fase successiva alla proroga tecnica del contratto.

Maria Teresa Della Vittoria Scarpati