No all’esclusione automatica dell’operatore economico per false dichiarazioni dell’ausiliaria

Secondo la Corte di giustizia, il diritto europeo degli appalti pubblici osta ad una normativa nazionale che impone all’amministrazione aggiudicatrice di escludere un offerente nell’ipotesi in cui l’impresa ausiliaria abbia reso una dichiarazione non veritiera, senza permettere la sostituzione di detto soggetto

4 Ottobre 2021
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Secondo la Corte di giustizia, il diritto europeo degli appalti pubblici osta ad una normativa nazionale che impone all’amministrazione aggiudicatrice di escludere un offerente nell’ipotesi in cui l’impresa ausiliaria abbia reso una dichiarazione non veritiera, senza permettere la sostituzione di detto soggetto

Commento a CGUE, sez. IX, 3 giugno 2021, causa C-210/20

1. Premessa

Con la sentenza in commento, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha dato risposta ad una questione pregiudiziale sollevata dal Consiglio di Stato nel corso dello scorso anno (Consiglio di Stato, sez. III, ordinanza 20 marzo 2020, n. 2005, con commento su questo sito di I. Picardi, Partecipazione alla procedura di gara: alla Corte di Giustizia le conseguenze derivanti dalla falsa dichiarazione resa dell’impresa ausiliaria), e riguardante la sussistenza di possibili profili di contrasto fra la sanzione dell’esclusione automatica dell’operatore economico per l’ipotesi di falsa dichiarazione dell’impresa ausiliaria, prevista dal diritto interno all’art. 89, comma 1, d.lgs. n. 50/2016, e la direttiva 2014/24/UE, che consentirebbe, invece, di procedere alla sostituzione di detto soggetto.

All’esito del giudizio, la Corte ha concluso per l’incompatibilità comunitaria della disciplina nazionale relativa all’avvalimento.

2. La decisione della Corte di giustizia

In particolare, la risoluzione della questione ruota intorno alla corretta interpretazione dell’art. 63 della direttiva 2014/24, il quale nel riconoscere agli operatori economici il diritto di poter fare affidamento, per un determinato appalto, sulle capacità di altri soggetti, al paragrafo 1, secondo comma prevede, altresì, quanto segue: “l’amministrazione aggiudicatrice impone che l’operatore economico sostituisca un soggetto che non soddisfa un pertinente criterio di selezione o per il quale sussistono motivi obbligatori di esclusione. L’amministrazione aggiudicatrice può imporre o essere obbligata dallo Stato membro a imporre che l’operatore economico sostituisca un soggetto per il quale sussistono motivi non obbligatori di esclusione”.

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Ad avviso della Corte, dalla formulazione della norma, emergerebbe che, per le sole ipotesi in cui ricorrano in capo all’ausiliaria motivi di esclusione non obbligatori, agli Stati membri è consentito di rendere l’obbligo di sostituzione – prescritto per tutte per le cause di esclusione obbligatoria – una facoltà, ma essi non possono, per contro, privare del tutto le amministrazioni aggiudicatrici della possibilità di esigere, di propria iniziativa, una siffatta sostituzione.

Oltre ad essere conforme al dato testuale della norma, una simile interpretazione della disciplina europea contribuisce a garantire anche il rispetto del principio di proporzionalità – nella forma, evidentemente, del divieto di gold plating – dal quale discende che le norme stabilite dagli Stati membri o dalle amministrazioni aggiudicatrici nell’ambito dell’attuazione delle disposizioni della direttiva sopra richiamata non devono andare oltre quanto necessario per raggiungere gli obiettivi fissati da quest’ultima.

3 Le ulteriori riflessioni dei giudici europei

Così definita la questione interpretativa rimessa al loro esame, i giudici della Corte non si limitano tuttavia alle conclusioni di cui sopra, ma attraverso un’analisi sistematica della disciplina contenuta nella direttiva 2014/24, definiscono altresì le modalità di esercizio del potere di valutazione da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, nelle ipotesi in cui sussistano in capo all’ausiliaria motivi di esclusione.

La Corte muove dalla considerazione preliminare che l’obiettivo del diritto europeo degli appalti pubblici è quello di “consentire all’amministrazione aggiudicatrice di garantire l’integrità e l’affidabilità di ciascuno degli offerenti e, di conseguenza, la mancata cessazione del rapporto di fiducia con l’operatore economico interessato”. A tal fine, la direttiva 2014/24 consente agli operatori economici, che si trovino in situazioni ostative alla partecipazione alle gare pubbliche, di dimostrare di aver adottato misure idonee a comprovare la propria affidabilità, nonostante l’esistenza di motivi di esclusione. In tal senso, dispongono il considerando 102 della direttiva, all’interno del quale si evidenzia l’opportunità di riconoscere agli operatori economici la possibilità di “adottare misure per garantire l’osservanza degli obblighi a porre rimedio alle conseguenze di reati o violazioni e a impedire efficacemente che tali comportamenti scorretti si verifichino di nuovo”, e l’art. 57 che prevede l’applicazione di tale facoltà sia al ricorrere di motivi di esclusione obbligatori, sia in presenza di quelli facoltativi. Si tratta del principio di c.d. self cleaning, recepito anche a livello interno all’art. 80, comma 7, d.lgs. n. 50/2016, e in base al quale l’operatore non viene escluso se è in grado di provare che ha adottato misure riabilitative sufficienti ed adeguate a dimostrare la sua affidabilità.

In un significativo passaggio della sentenza, la Corte di giustizia estende le regole di cui sopra anche alle ipotesi di avvalimento. In altri termini, qualora l’impresa ausiliaria si trovi in una delle situazioni ostative di cui all’art. 57 della direttiva, l’amministrazione aggiudicatrice, ancor prima di esigerne la sostituzione da parte dell’offerente, dovrebbe far presentare all’ausiliaria (o all’offerente medesimo) le misure correttive che la stessa ha adottato al fine di rimediare alle irregolarità contestate e, solo in subordine, farla sostituire. Ciò vale peraltro – aggiungono i giudici europei – anche con riferimento alle ipotesi di sentenze definitive: mentre per l’operatore economico che sia stato escluso dalla partecipazione alle gare pubbliche con provvedimento giurisdizionale irrevocabile, la normativa europea esclude che lo stesso possa essere autorizzato ad avvalersi, nel periodo di esclusione fissato dalla sentenza, di misure correttive, qualora sia l’impresa ausiliaria ad essere destinataria di una sentenza definitiva, l’offerente dovrebbe essere autorizzato dall’amministrazione aggiudicatrice a sostituire il predetto soggetto.

Tali considerazioni trovano ulteriore fondamento nel rispetto del principio di proporzionalità sopra richiamato. Nel ragionamento della Corte, in ipotesi analoghe a quella rimessa al suo esame, il rispetto di detto principio sembra porsi anzi in termini rigorosi sotto un duplice profilo: qualora l’esclusione colpisca l’offerente per una violazione imputabile al soggetto sulle cui capacità egli intende fare affidamento e nei confronti del quale non dispone di alcun potere di controllo, l’amministrazione aggiudicatrice non solo deve prestare un’attenzione particolare nell’applicare i motivi di esclusione, ma deve altresì effettuare una valutazione specifica e concreta dell’atteggiamento del soggetto interessato, tenendo conto dei mezzi di cui quest’ultimo dispone per verificare l’esistenza di una violazione in capo all’impresa ausiliaria.

Inoltre, in attuazione dei principi di trasparenza e parità di trattamento, l’amministrazione aggiudicatrice deve assicurarsi che la sostituzione dell’ausiliaria non conduca ad una modifica sostanziale dell’offerta iniziale presentata in gara.

Nel caso di specie, l’applicazione dei suddetti principi avrebbe dovuto, quindi, condurre la stazione appaltante non già all’esclusione dell’offerente, ma alla sostituzione del soggetto interessato dalla causa di esclusione, atteso che la condanna penale riportata dall’ausiliaria non emergeva dal casellario giudiziale consultabile dai privati.

Sulla scorta delle considerazioni di cui sopra, i giudici europei hanno conclusivamente affermato che “l’articolo 63 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, in combinato disposto con l’articolo 57, paragrafo 4, lettera h), di tale direttiva e alla luce del principio di proporzionalità, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale in forza della quale l’amministrazione aggiudicatrice deve automaticamente escludere un offerente da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico qualora un’impresa ausiliaria, sulle cui capacità esso intende fare affidamento, abbia reso una dichiarazione non veritiera quanto all’esistenza di condanne penali passate in giudicato, senza poter imporre o quantomeno permettere, in siffatta ipotesi, a tale offerente di sostituire detto soggetto”.

4. Considerazioni conclusive: la bozza di Legge europea e il “decreto infrastrutture”

La soluzione prospettata dalla Corte, pur nella sua linearità, assume un rilievo peculiare sotto molteplici profili. In primo luogo, essa risulta coerente con la ratio della disciplina europea dei contratti pubblici, basata sulla volontà di garantire il più ampio accesso possibile al mercato delle commesse pubbliche da parte degli operatori economici e di assicurare ai medesimi condizioni di parità e trasparenza nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione (sul tema, cfr. L. Torchia, La nuova direttiva europea in materia di appalti di lavori, servizi e forniture nei settori ordinari, in www.irpa.eu).

In questa prospettiva, la normativa nazionale censurata in sede europea restringe, invece, in maniera invero poco ragionevole la partecipazione alle gare pubbliche, ricollegando conseguenze fortemente diversificate a fattispecie che, per la loro natura e sulla base della corrispondente normativa comunitaria, dovrebbero essere trattate in modo analogo. A differenza di quanto previsto dall’art. 89 del d.lgs. n. 50/2016, l’art. 63 della direttiva 2014/24/UE non fa, infatti, alcuna distinzione fra le varie cause di esclusione obbligatoria, prescrivendo per tali ipotesi la sostituzione dell’impresa ausiliaria da parte dell’offerente.

Inoltre, la sanzione dell’esclusione automatica prevista dall’ultimo periodo del primo comma dell’art. 89 citato, non sembra neppure consentire la realizzazione delle finalità perseguite dal combinato disposto degli artt. 80, comma 5, lett. f-ter) e 89, comma 1, d.lgs. 50/2016 di selezionare operatori economici affidabili, comportando viceversa il rischio che vengano estromessi dal mercato soggetti virtuosi per fatti ad essi non imputabili.

L’applicazione di detta sanzione non permette, peraltro, alle imprese di prevedere con sufficiente certezza se la propria partecipazione alle gare pubbliche sarà considerata ammissibile, potendo le stesse essere escluse in maniera automatica anche per violazioni riconducibili ad altri soggetti, non sottoposti al loro controllo. Tale meccanismo pregiudica soprattutto le piccole e medie imprese, costrette più di frequente a ricorrere all’istituto dell’avvalimento per poter accedere al mercato delle commesse pubbliche.

Nel rimettere alle amministrazioni aggiudicatrici le valutazioni relative alla sostituzione dell’impresa ausiliaria, la decisione della Corte si pone, inoltre, in linea con la scelta delle direttive del 2014 di attribuire maggiore discrezionalità e capacità di scelta alle stazioni appaltanti, in ordine alle modalità di selezione dei contraenti.

In tal senso, depone soprattutto l’estensione del principio di c.d. self cleaning anche alle ipotesi in cui ad incorrere nelle cause di esclusione non sia direttamente l’offerente, ma l’impresa ausiliaria, e per effetto del quale quest’ultima viene autorizzata a dimostrare l’adozione di misure di risanamento aziendale al fine di non essere sostituita dall’ausiliata, pur in presenza di pregresse situazioni ostative all’accesso al mercato dei contratti pubblici.

Dal favor per l’applicazione di tale principio, emerge anche l’adesione della sentenza all’impostazione pragmatica e sostanzialista diffusa a livello europeo, che privilegia il ricorso a misure e soluzioni che consentano di tenere conto, di volta in volta, delle specificità delle singole fattispecie concrete – come avviene tramite l’istituto del self cleaning – in luogo di rigidi automatismi.

Della recente decisione della Corte di Giustizia sopra esaminata, il legislatore italiano dovrà tenere conto nei futuri ed annunciati interventi di riforma della disciplina dei contratti pubblici, anche se come spesso accade in questa materia l’adeguamento dell’ordinamento nazionale alle prescrizioni dell’Europa potrebbe richiedere più tempo del previsto. Basti pensare alla questione relativa ai limiti quantitativi al subappalto, che definita a livello europeo nel settembre del 2019, troverà soluzione a livello interno a partire dal novembre 2021, per effetto delle novità introdotte dal decreto “semplificazioni bis” (d.l. n. 77/2021, convertito con modificazioni dalla l. n. 108/2021. Sul tema del subappalto, cfr. G.F. Maiellaro – I. Picardi, Il limite al subappalto nella tempesta perfetta, tra giurisprudenza e “Milleproroghe”). Per il momento, la bozza di Legge europea 2019-2020, di prossima approvazione, e il decreto “infrastrutture”, di settembre 2021 (d.l. n. 121/2021, con commento di A. Massari, Le modifiche e integrazioni al Codice contenute nel Decreto Infrastrutture), non apportano modificazioni al testo dell’art. 89, comma 1, d.lgs. n. 50/2016, nel senso indicato dalla Corte di Giustizia; occorrerà quindi attendere – auspicabilmente – la nuova legge di delega al Governo in materia di contratti pubblici, attualmente all’esame del Parlamento, per allineare la disciplina interna relativa all’avvalimento a quella europea.