La motivazione degli affidamenti diretti esclude la fiducia

A cura di Luigi Oliveri

19 Aprile 2023
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Uno degli errori più macroscopici del d.lgs. 36/2023 (nuovo codice appalti) consiste nell’enfatizzazione del principio della fiducia.

Per quanto esso debba essere letto e circoscritto in termini piuttosto precisi e limitati, la sua sola enunciazione costituisce già, per molti operatori come anche interpreti occasione per affermare che il criterio di affidamento fondamentale è la “fiducia” che il soggetto della PA chiamato ad affidare l’appalto ripone nell’appaltatore.

Gli errori diffusissimi di questa chiave di lettura implicano:

  1. l’idea che il soggetto che affida, il Rup nella maggior parte dei casi, per solo effetto del ruolo che riveste, sia investito di un particolare potere di scelta a proprio giudizio sostanzialmente insindacabile;
  2. in conseguenza di ciò, la motivazione, poiché non espressamente richiesta, non risulta necessaria o, quanto meno, è attenuata;
  3. la precedente conclusione sarebbe corroborata dall’evidenziazione dell’assenza della necessità di acquisire preventivi o, comunque, senza consultare preventivamente due o più operatori economici;
  4. l’idea, quindi, che la scelta dell’appaltatore sia una tautologia: un ragionamento ridondante che, con parole diverse, non fa altro che ripetere nella sostanza la proposizione principale: “si affida la prestazione all’appaltatore in ragione delle sue qualità specifiche che sono conformi al principio di fiducia”. Simile affermazione non spiega nulla, afferma solo che la fiducia è la fonte del rapporto, senza spiegare il perché.

Ora, vi sarebbe da ricordare preliminarmente che il rapporto di fiducia in sé e per sé, inteso cioè come quel sentimento di sicurezza e tranquillità che suscita la valutazione soggettiva di altri, non è mai stato, né può essere la fonte degli affidamenti.

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