Cumulo alla rinfusa e consorzi stabili nell’affidamento di appalti di servizi e forniture: i recenti approdi della giurisprudenza alla luce del nuovo Codice dei contratti pubblici

Commento a Consiglio di stato, sez. v, 29 settembre 2023, n. 8592

30 Ottobre 2023
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Qualificazione degli operatori economici – Requisiti di idoneità tecnica e finanziaria – Consorzio stabile – Affidamento di servizi e di forniture – “Cumulo alla rinfusa” – Interpretazione dell’art. 47, comma 1 e comma 2 bis d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 – Art. 225, comma 13 d.lgs. n. 36/2023  – Norma di interpretazione autentica – Requisiti delle consorziate – Consorziate non designate per l’esecuzione del contratto – Ammissibilità del cumulo alla rinfusa (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, artt. 45, 47; d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, artt. 65, 67, 225).

Consiglio di stato, sez. v, 29 settembre 2023, n. 8592

L’indirizzo interpretativo della giurisprudenza che considerava l’operatività del c.d. “cumulo alla rinfusa” solo con riguardo alla disponibilità delle attrezzature e mezzi d’opera nonché all’organico medio annuo (al di fuori di tali presupposti dovendosi applicare la regola generale che impone a ciascun concorrente la dimostrazione del possesso dei requisiti e delle capacità di qualificazione) è da ritenersi ormai superato stante il tenore letterale dell’art. 225, comma 13 del nuovo Codice dei contratti pubblici.

La norma in questione ha chiarito, mediante un intervento di interpretazione autentica, il criterio applicativo degli artt. 47, 83 e 216 del d.lgs. n. 50 del 2016, stabilendo che: “Gli articoli 47, comma 1, 83, comma 2, e 216, comma 14, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016, si interpretano nel senso che, in via transitoria, relativamente ai consorzi di cui all’articolo 45, comma 2, lett. c), del medesimo codice, ai fini della partecipazione alle gare e dell’esecuzione si applica il regime di qualificazione previsto dall’articolo 36, comma 7, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006 e dagli articoli 81 e 94 del regolamento di esecuzione ed attuazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207. L’articolo 47, comma 2-bis, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016, si interpreta nel senso che, negli appalti di servizi e forniture, la sussistenza in capo ai consorzi stabili dei requisiti richiesti dal bando di gara per l’affidamento di servizi e forniture è valutata a seguito della verifica della effettiva esistenza dei predetti requisiti in capo ai singoli consorziati, anche se diversi da quelli designati in gara”.

Da siffatti rilievi consegue che, nella partecipazione alle gare d’appalto [per lavori, servizi e forniture] è il consorzio stabile (e non già ciascuna delle singole imprese consorziate) ad assumere la qualifica di concorrente e contraente e, per l’effetto, a dover dimostrare il possesso dei relativi requisiti partecipativi, anche mediante il cumulo dei requisiti delle imprese consorziate, a prescindere dal fatto che le stesse siano designate o meno in gara per l’esecuzione del contratto di appalto.

Il caso di specie

La vicenda di cui si tratta in questa nota riguarda un tema che la giurisprudenza sui contratti pubblici ha discusso molte volte negli ultimi anni.

La questione, in sintesi, è la seguente: è consentito a un consorzio stabile partecipare a una gara per l’affidamento di servizi e forniture (ma lo stesso discorso, in chiave sistematica, vale pure per i lavori), dichiarando, per soddisfare i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi richiesti dalla legge di gara, l’uso dei requisiti posseduti dalle consorziate “non designate” per l’esecuzione del contratto secondo il meccanismo del c.d. cumulo alla rinfusa?

La vicenda, in sintesi, ha preso corpo dallo svolgimento, da parte dell’Azienda dei Trasporti Milanesi s.p.a., di una procedura aperta telematica – suddivisa in tre lotti – per l’affidamento per 36 mesi del servizio di “facility management” (e cioè la gestione integrata di servizi, processi e attività di supporto) per immobili, stazioni, parcheggi e rotabili.

Al lotto n. 3 (oggetto di causa) partecipavano due operatori economici: un consorzio stabile e un RTI.

Di seguito all’affidamento della gara al consorzio stabile, l’RTI secondo classificato proponeva impugnazione dinanzi al TAR Lombardia, lamentando, tra i vari motivi, il difetto dei requisiti di partecipazione in capo al vincitore, oltre all’asserita anomalia dell’offerta presentata da costui.

La decisione del TAR

La parte ricorrente, dinanzi al giudice di prime cure, contestava innanzitutto l’asserita carenza, in capo al consorzio stabile, dei requisiti previsti dalla legge di gara per poter partecipare alla procedura.

Segnatamente, lamentava la violazione dell’art. 47, comma 1 d.lgs. n. 50/2016, in quanto l’aggiudicatario aveva dimostrato il possesso dei requisiti di capacità economico finanziaria, previsti dagli artt. 6.1.3, 6.1.4 e 6.1.5 del disciplinare, utilizzando l’istituto del cumulo alla rinfusa al di fuori delle ipotesi consentite dalla norma. In particolare, secondo l’RTI, il Consorzio aveva dichiarato, ai sensi dell’art. 47, comma 2 bis Codice del 2016, di soddisfare i requisiti richiesti (non rientranti in quelli astrattamente consentiti dall’art. 47, comma 1 d.lgs. n. 50/2016: attrezzature, mezzi d’opera e organico medio annuo) facendo propri quelli esistenti in capo alle consorziate, precisando pure che: 1) il fatturato globale delle consorziate non esecutrici poteva desumersi dall’allegato “fatturato globale”; 2) i contratti della consorziata non esecutrice, in grado di soddisfare gli altri requisiti stabiliti dalle norme di gara, potevano ricavarsi dall’allegato “elenco principali servizi”.

Il TAR, in esito al giudizio, accoglieva il ricorso (anche con riferimento ai secondi motivi aggiunti relativi alla supposta anomalia dell’offerta dell’aggiudicatario).

Per quanto di interesse, il giudice riteneva maggiormente aderente al dato letterale e coerente con il quadro sistematico la tesi per cui, in relazione ai servizi e alle forniture, il cumulo alla rinfusa doveva intendersi limitato ai soli requisiti relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo (art. 47, comma 1 d.lgs. n. 50/2016). Considerava, pertanto, illegittima per violazione dell’art. 47 del Codice 2016 la qualificazione del Consorzio aggiudicatario basata sul cumulo alla rinfusa riferito ad altri elementi (fatturato globale ed elenco servizi) pertinenti (peraltro) consorziate non esecutrici.

Conseguentemente, annullava il provvedimento di aggiudicazione dichiarando l’inefficacia del contratto stipulato dalla stazione appaltante con l’operatore controinteressato e disponeva – in accoglimento della richiesta di ristoro in forma specifica – il subentro nell’appalto dell’operatore ricorrente secondo classificato.

La decisione del Consiglio di Stato

In esito all’appello proposto dall’originaria parte controinteressata (e all’appello incidentale presentato dall’RTI contro la clausola del disciplinare, se interpretata nel modo desiderato dall’appellante e cioè “abilitante” il ricorso al cumulo alla rinfusa oltre gli stretti confini delimitati dal TAR), il giudice di secondo grado ha riformato la sentenza di prime cure.

Sul tema del cumulo alla rinfusa, il Consiglio di Stato ha attentamente ricostruito i profili della materia, indagando innanzitutto la figura del consorzio stabile.

I consorzi stabili, introdotti nel nostro ordinamento con l’art. 10, comma 1, lett. c) l. n. 109/1994, sono costituiti: “…tra almeno tre imprese, che abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici per un periodo non inferiore a cinque anni, istituendo a tale fine una comune struttura di impresa. Si differenziano dai consorzi ordinari, in quanto mentre questi ultimi nascono e cessano (al pari delle associazioni temporanee di imprese) in vista di un’unica operazione, i primi sono costituiti in funzione di un numero potenzialmente illimitato di operazioni”.

Il consorzio stabile, secondo il giudice, rappresenta una evoluzione della figura tradizionale del consorzio disciplinato dagli artt. 2602 c.c. e si colloca in una posizione intermedia fra le “associazioni temporanee” e gli organismi societari risultanti dalla fusione di imprese. Detta struttura, soggetta alla disciplina del codice civile e alle norme in materia di contratti pubblici, si colloca nel più ampio fenomeno della partecipazione aggregata alle procedure di evidenza pubblica, secondo i principi del favor partecipationis e della c.d. neutralità delle forme giuridiche dei soggetti partecipanti alle gare posti dalla legislazione comunitaria.

Sulla natura del consorzio stabile, nella sentenza, si illustrano anche le importanti considerazioni della Corte di Cassazione, secondo cui: “I consorzi stabili, con rilevanza esterna, previsti dalla legge n. 109 del 1994, sono enti collettivi dotati di autonomia soggettiva, organizzativa e patrimoniale rispetto alle imprese consorziate, sicché è il consorzio l’unico soggetto legittimato ad agire nei confronti del committente e titolare delle somme riscosse in esecuzione del contratto” (Cass. civ., sez. I, 18 gennaio 2018, n. 1192).

Sul piano giuridico e amministrativo: “…la circostanza che il consorzio stabile costituisce un autonomo soggetto di diritto dotato di autonoma qualificazione e di un patrimonio autonomo (come si desume dalla previsione concernente la responsabilità solidale verso la stazione appaltante) impedisce ogni assimilazione tra consorziate del consorzio stabile e imprese mandanti di raggruppamenti temporanei di imprese, proprio per la ontologica differenza di struttura tra il primo e i secondi, per converso privi di personalità giuridica autonoma” (Cass. civ., sez. I, n. 1192/2018, cit.).

I giudici di legittimità, riporta ancora il Consiglio di Stato, hanno pure precisato che tra consorzio (stabile) e consorziate non vi è traccia di rapporto di mandato – nel quadro complessivo del rapporto consortile – atteso che: “…il vincolo in forza del quale le consorziate provvedono a dare esecuzione al contratto stipulato non si giustifica, sotto il profilo negoziale, nell’assegnazione che non può essere considerata un contratto (e quindi né un subappalto né un mandato), ma solo un atto unilaterale recettizio, bensì nel momento antecedente all’assegnazione e costituito dalla costituzione e dall’adesione al consorzio, unico atto negoziale contenente l’incarico di stipulare il contratto di appalto per conto delle consorziate e l’ulteriore incarico di determinare di volta in volta a quale tra esse gli appalti assunti dovranno essere assegnati” (Cass. civ., sez. I, n. 1192/2018, cit.).

Dalla natura del rapporto tra consorzio stabile e singole consorziate (nonché dalla peculiare struttura dell’istituto) ne deriva, secondo il giudice amministrativo, che l’utilizzo dei requisiti di partecipazione delle singole imprese consorziate non pregiudica la struttura originaria del consorzio che ha partecipato alla gara, in quanto autonomo soggetto di diritto, dotato di distinta qualificazione, stante la differenza tra la propria soggettività e quella delle imprese consorziate.

Dunque, l’applicazione dell’istituto del cumulo alla rinfusa non può essere condizionata dalla scelta del consorzio stabile di servirsi, ai fini della partecipazione alla gara, dei requisiti delle singole imprese consorziate, sia che esse siano state “designate” o “non designate” per l’esecuzione del contratto.

Fatte queste importati precisazioni in merito alla natura del consorzio stabile, il Collegio ha poi passato in rassegna la giurisprudenza del giudice amministrativo. Questa, ha sottolineato, sebbene abbia sostanzialmente ammesso il principio per i cui i consorzi stabili possano giovarsi – senza ricorrere all’avvalimento – dei requisiti di idoneità tecnica e finanziaria delle consorziate, tuttavia, di seguito alle modifiche intervenute con il c.d. “Sblocca Cantieri” (d.l. n. 32/2019: sugli sviluppi normativi, si v. infra), ha limitato la “qualificazione cumulativa” solo ai requisiti relativi alla disponibilità delle attrezzature, mezzi d’opera e organico medio annuo (art. 47, comma 1; si v. pure comma 2 e 2 bis della norma, come riformulati da tale decreto legge; nella sentenza, per tale indirizzo interpretativo, si citano la decisione della V sezione del Consiglio di Stato, 22 agosto 2022, n. 7360 e la precedente sentenza dell’Adunanza plenaria del 18 marzo 2021, n. 5).

Stando a questa impostazione, ha riportato il giudice, al di fuori di tali presupposti, dovrebbe tornare ad applicarsi la regola generale che impone a ciascun concorrente (e quindi al consorzio stabile “in proprio”) la dimostrazione del possesso dei requisiti e della capacità di qualificazione, secondo quanto stabilito, fino a non molto tempo fa, dagli artt. 83 e 84 d.lgs. n. 50/2016.

Ciò premesso, e siamo al cuore della decisione, il giudice d’appello ha ritenuto che tale approdo argomentativo sia ormai superato dall’avvento dell’art. 225, comma 13 d.lgs. n. 36/2023.

Questa norma, rileva il Collegio, attraverso un intervento di interpretazione autentica, ha chiarito: “…il criterio applicativo degli artt. 47, 83 e 216 del d.lgs. n. 50 del 2016, stabilendo che: «Gli articoli 47, comma 1, 83, comma 2, e 216, comma 14, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016, si interpretano nel senso che, in via transitoria, relativamente ai consorzi di cui all’articolo 45, comma 2, lett. c), del medesimo codice, ai fini della partecipazione alle gare e dell’esecuzione si applica il regime di qualificazione previsto dall’articolo 36, comma 7, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006 e dagli articoli 81 e 94 del regolamento di esecuzione ed attuazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207. L’articolo 47, comma 2-bis, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016, si interpreta nel senso che, negli appalti di servizi e forniture, la sussistenza in capo ai consorzi stabili dei requisiti richiesti dal bando di gara per l’affidamento di servizi e forniture è valutata a seguito della verifica della effettiva esistenza dei predetti requisiti in capo ai singoli consorziati, anche se diversi da quelli designati in gara»”.

Il nuovo Codice ha dunque ammesso, in generale e senza limitazioni, il cumulo alla rinfusa, circostanza avvalorata anche dall’art. 67, comma 2, lett. a) e b) d.lgs. n. 36/2023, il quale ha espressamente previsto per i consorzi stabili (regolati dall’art. 65, comma 2, lett. d Codice 2023): “a) per gli appalti di servizi e forniture, i requisiti di capacità tecnica e finanziaria sono computati cumulativamente in capo al consorzio ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate; b) per gli appalti di lavori, i requisiti di capacità tecnica e finanziaria per l’ammissione alle procedure di affidamento sono posseduti e comprovati dagli stessi sulla base delle qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate”.

Da siffatti rilievi, ha chiarito pertanto il Consiglio di Stato: “…consegue che, nella partecipazione alle gare d’appalto è il consorzio stabile (e non già ciascuna delle singole imprese consorziate) ad assumere la qualifica di concorrente e contraente e, per l’effetto, a dover dimostrare il possesso dei relativi requisiti partecipativi, anche mediante il cumulo dei requisiti delle imprese consorziate, a prescindere dal fatto che le stesse siano designate o meno in gara per l’esecuzione del contratto di appalto” (il giudice, nella sentenza, riporta anche il precedente conforme sez. V, 4 luglio 2023, n. 6533; sul tema, in tal senso, pure Cons. Stato, sez. V, 5 maggio 2023, n. 1761 e Cons. Stato, sez. III, 9 ottobre 2023, n. 8767).

Applicando tali concetti al caso di specie, il Collegio ha riconosciuto che nessuna censura avrebbe potuto essere accolta con riferimento all’art. 6.4. del disciplinare di gara, disposizione che, al contrario di quanto ritenuto dall’appellante incidentale, si poneva in linea con il suddetto approdo interpretativo, consentendo di “avvalersi”, per la dimostrazione del possesso dei requisiti previsti dalla legge di gara (ulteriori rispetto alle attrezzature, ai mezzi d’opera ecc. considerati dal comma 1 dell’art. 47 d.lgs. n. 50/2016), anche di quelli in capo alle consorziate non designate per l’esecuzione.

Dai rilievi enunciati, ha così concluso il giudice: “…consegue che, diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale adito, il Consorzio Stabile CMF poteva bene integrare i requisiti per il tramite del «cumulo alla rinfusa», nei termini indicati, nella specie attuati a mezzo del richiamo dei requisiti posseduti dalle consorziate non designate quali esecutrici”.

Brevi profili ricostruttivi

L’art. 45 d.lgs. n. 50/2016 (in precedenza, l’art. 34 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) contemplava, come è noto, diverse modalità di partecipazione degli operatori economici alle gare, fra le quali (art. 45, comma 2, lett. c) rientravano i consorzi stabili: “…costituiti anche in forma di società consortili ai sensi dell’art. 261-ter del codice civile, tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro”.

La disposizione individuava anche i caratteri di questi operatori (in ciò ribadendo quanto già previsto dall’art. 36, comma 1 Codice del 2006), formati: “…da non meno di tre consorziati che, con decisione assunta dai rispettivi organi deliberativi, abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine una comune struttura di impresa”.

Il consorzio stabile (introdotto nel nostro ordinamento con la legge quadro in materia di lavori pubblici: art. 12, l. 11 febbraio 1994, n. 109) costituisce una forma peculiare di associazionismo tra imprenditori (peraltro, non di matrice comunitaria).

Dotato di soggettività giuridica e autonomia dal punto di vista imprenditoriale, esso possiede una propria struttura, attraverso la quale esegue le prestazioni affidate.

L’operatore è del tutto scisso, giuridicamente (grazie alla personalità giuridica) ed economicamente (in quanto dotato di proprio fondo consortile), dalle consorziate che lo compongono, stipula in proprio il contratto ed è responsabile direttamente per la sua corretta esecuzione. Questo soggetto può però operare anche per il tramite dei consorziati eventualmente indicati in sede di gara, senza che ciò costituisca subappalto (per effetto della natura dell’organismo collettivo, che nasce già quale modulo associativo “pluripartecipato”: art. 47, comma 2 d.lgs. n. 50/2016 e art. 67, comma 4 d.lgs. n. 36/2023).

In tal caso, qualora operi tramite gli operatori consorziati, emerge un’ipotesi di responsabilità solidale (del consorzio stabile e dei consorziati esecutori) nei riguardi della stazione appaltante.

È proprio il riferimento aggiuntivo e qualificante alla “comune struttura di impresa” che differenzia i consorzi stabili dai consorzi ordinari ex art. 2602 ss. c.c. (il consorzio ordinario non comporta l’assorbimento delle aziende consorziate in un organismo unitario, costituente un’impresa collettiva, né esercita autonomamente e direttamente attività imprenditoriale, ma si limita a disciplinare e coordinare, attraverso un’organizzazione comune, le azioni degli imprenditori riuniti e ciò anche nei consorzi con attività c.d. “esterna”: Cass. civ., sez. trib., 9 marzo 2020, n. 6569; Cass. civ., sez. I, 27 gennaio 2014, n. 1636).

I partecipanti, nel caso del consorzio stabile, danno dunque vita ad una (stabile) struttura di impresa collettiva, la quale, oltre a presentare una propria soggettività giuridica con autonomia anche patrimoniale, rimane distinta e autonoma rispetto alle imprese partecipanti ed è strutturata, quale azienda consortile, per eseguire, anche in proprio, le prestazioni affidate con il contratto.

Altra questione riguarda la “qualificazione” dei consorzi stabili, o meglio, la prova del possesso dei requisiti di idoneità tecnica e finanziaria per la loro ammissione alle procedure per l’affidamento di contratti pubblici.

Il riferimento – prima del nuovo Codice del 2023 – è stato l’art. 47 d.lgs. n. 50/2016.

Il testo dell’art. 47, comma 1 d.lgs. n. 50/2016, nella versione anteriore alle modifiche introdotte con il correttivo del 2017, così recitava: “1. I requisiti di idoneità tecnica e finanziaria per l’ammissione alle procedure di affidamento dei soggetti di cui all’articolo 45, comma 2, lettere b) e c), devono essere posseduti e comprovati dagli stessi con le modalità previste dal presente codice, salvo che per quelli relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo, che sono computati cumulativamente in capo al consorzio ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate”.

La disposizione, dopo il correttivo introdotto alla prima versione del Codice del 2016 con l’art. 31, d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, immutata nel comma 1, così stabiliva (art. 47, comma 2): “2. I consorzi di cui agli articoli 45, comma 2, lettera c), e 46, comma 1, lettera f), al fine della qualificazione, possono utilizzare sia i requisiti di qualificazione maturati in proprio, sia quelli posseduti dalle singole imprese consorziate designate per l’esecuzione delle prestazioni, sia, mediante avvalimento, quelli delle singole imprese consorziate non designate per l’esecuzione del contratto. Con le linee guida dell’ANAC di cui all’articolo 84, comma 2, sono stabiliti, ai fini della qualificazione, i criteri per l’imputazione delle prestazioni eseguite al consorzio o ai singoli consorziati che eseguono le prestazioni”.

Dunque, per tutte le ipotesi di partecipazione alle gare di consorzi stabili (lavori, servizi e forniture), gli stessi avrebbero potuto beneficiare dei requisiti maturati in proprio, di quelli delle imprese designate per l’esecuzione del contratto, ovvero, ricorrere ai requisiti delle imprese non designate attraverso l’avvalimento (questo “meccanismo”, come si dirà tra un attimo, sarà poi ripreso da Cons. Stato, ad. plen., n. 5/2021, cit. per giustificare un’interpretazione tendenzialmente restrittiva del cumulo alla rinfusa).

Così è stato fino al citato Sblocca Cantieri del 2019.

La disposizione, nella versione vigente dopo la riforma del 2019, si componeva di un profilo generale (comma 1) e di una disciplina (che potremmo definire “speciale”) per gli appalti di lavori (comma 2) e per i servizi e le forniture (comma 2-bis).

Il principio “generale” prevedeva – almeno tendenzialmente – che i consorzi stabili dovessero provare “in proprio” il possesso dei requisiti di idoneità tecnica e finanziaria per l’ammissione alle gare, salvo che per la disponibilità delle attrezzature, dei mezzi d’opera, nonché dell’organico medio annuo, presupposti che, secondo il comma 1, potevano essere computati cumulativamente in capo al consorzio stesso ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate (senza nessuna ulteriore specificazione).

Per i lavori, servizi e forniture, invece, l’art. 47, ai comma 2 e 2-bis, dettava una disciplina apposita che “attuava” (in parte derogandoli) i principi generali del comma 1.

Per i lavori, il comma 2 prevedeva che, ai fini della qualificazione del consorzio stabile ai sensi dell’art. 84 d.lgs. n. 50/2016, doveva essere verificata l’imputazione delle prestazioni eseguite in capo al medesimo o ai singoli consorziati indicati per la realizzazione delle prestazioni. Dunque, potendosi prescindere dalla designazione per l’esecuzione del contratto solo per il riscontro, in capo al consorzio stabile e attraverso le consorziate, delle attrezzature, dei mezzi d’opera e dell’organico medio annuo (requisiti per i quali non contava la designazione a soggetto esecutore della commessa).

Invece, per i servizi e le forniture, il comma 2-bis dell’articolo in esame operava una sorta di “deroga” al comma 1 dello stesso art. 47, cit. Innanzitutto, si stabiliva in modo esplicito che, per tali affidamenti, la sussistenza in capo al consorzio stabile dei requisiti previsti dal bando per la partecipazione alla gara potesse essere riscontrata verificando (anche) l’effettiva esistenza degli stessi in capo ai singoli consorziati.

La norma, però, faceva riferimento in generale “ai requisiti previsti dal bando” (prescindendo dal riferimento alle attrezzature, mezzi d’opera ecc. richiamati dal comma 1 della disposizione) e non riportava alcuna specificazione in ordine all’individuazione, ai fini dell’esecuzione delle prestazioni, delle consorziate.

Quindi, un meccanismo duale.

Per i lavori, una valutazione dei requisiti di idoneità tecnica e finanziaria che – tranne che per le attrezzature, i mezzi d’opera e l’organico medio annuo – dipendeva dagli attributi che i consorziati designati per l’esecuzione possedevano ed erano in grado di spendere in favore del consorzio stabile; per i servizi e le forniture, invece, una valutazione dei requisiti legata (anche) all’esistenza degli stessi in capo ai singoli consorziati partecipanti all’organismo collettivo (senza alcuna ulteriore specificazione riguardo la loro designazione ai fini della realizzazione del contratto).

Questo, in estrema sintesi, il quadro antecedente il Codice del 2023.

Ma quali sono stati i profili evolutivi del tema requisiti di partecipazione-cumulo alla rinfusa per i consorzi stabili nell’affidamento di servizi e forniture?

Nel Codice del 2006, l’art. 36 – premessa al comma 1 una definizione del consorzio stabile analoga a quella contenuta nell’art. 45 d.lgs. n. 50/2016 (ribadita nell’attuale art. 65, comma 2, lett. d d.lgs. n. 36/2023) – al comma 7 evidenziava che tali operatori si sarebbero qualificati sulla base dei requisiti posseduti dalle singole imprese consorziate. Per i lavori, proseguiva tale comma (che non menzionava i servizi e le forniture), la qualificazione si acquisiva con riferimento a una determinata categoria di opere generali o specialistiche per la classifica corrispondente alla somma di quelle possedute dalle imprese consorziate.

Il possesso e la comprova dei requisiti, secondo l’art. 35 Codice del 2006, sarebbero avvenuti in base a quanto stabilito dal “regolamento” (e cioè il d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207): “…salvo che per quelli relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo, che sono computati cumulativamente in capo al consorzio ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate”.

Il regolamento si occupava di consorzi stabili in due norme: l’art. 94 per i lavori e l’art. 277 per i servizi e le forniture (entrambe le norme sono oggi abrogate).

Mentre l’art. 94, comma 2 stabiliva che i consorzi stabili (nei lavori) avrebbero conseguito la qualificazione a seguito di verifica dell’effettiva sussistenza in capo alle singole consorziate dei corrispondenti requisiti (senza alcuna distinzione tra imprese designate o meno per l’esecuzione del contratto), per i servizi e le forniture l’art. 277, comma 3 stabiliva in modo espresso che per la partecipazione del consorzio alle gare: “…i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi posseduti dai singoli consorziati relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo sono sommati [in coerenza con l’art. 35 Codice del 2006]; i restanti requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi sono sommati con riferimento ai soli consorziati esecutori”.

Dunque, un sistema più restrittivo rispetto a quello risultante dall’art. 47 d.lgs. n. 50/2016 dopo lo Sblocca Cantieri. Nel Codice del 2006, gli operatori attivi nei lavori pubblici beneficiavano di una disciplina di maggior favore (riguardo la dimostrazione e la conseguente spendita nelle gare del possesso dei requisiti tecnici e finanziari) rispetto ai soggetti operanti nei servizi e nelle forniture.

Per i lavori, la qualificazione del consorzio stabile avrebbe tratto “sostanza” dai requisiti delle imprese consorziate (anche se non indicate ai fini dell’esecuzione del contratto). Per i servizi e le forniture, invece, in disparte la disponibilità di attrezzature, mezzi d’opera ecc. (comunque computabili in base al possesso delle consorziate in accordo con l’art. 35 d.lgs. n. 163/2006), i requisiti tecnici ed economici si sarebbero “sommati” solo con riguardo ai consorziati indicati per l’esecuzione della commessa.

A correggere le antinomie normative, anche nel precedente sistema del 2006, è stata l’opera della giurisprudenza, la quale ha dato una lettura “estensiva” del quadro normativo sopra sommariamente delineato, ritenendo applicabile il cumulo alla rinfusa (come declinato nella disciplina dei lavori) non solo ai consorzi stabili operanti nei lavori, ma anche a quelli impegnati nei servizi e nelle forniture (Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 2017, n. 849; in senso analogo, Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 2013, n. 2563).

Sull’evoluzione della giurisprudenza in merito al cumulo alla rinfusa, in questa sede non può essere omesso il riferimento alla già citata sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 5/2021.

In questa pronuncia, il giudice, partendo dall’analisi dell’art. 47 d.lgs. n. 50/2016 vigente prima della modifica del 2019, è arrivato in sostanza a queste conclusioni: a) fino alla riforma del 2019, i consorzi stabili potevano, ai fini della qualificazione, beneficiare dei requisiti maturati in proprio e di quelli posseduti dalle singole imprese consorziate designate per l’esecuzione delle prestazioni, sia, mediante avvalimento, di quelli delle imprese non designate: b) lo Sblocca Cantieri avrebbe eliminato il regime più favorevole del correttivo e ripristinato, in sostanza, l’originaria e limitata perimetrazione del cumulo alla rinfusa (riferita al Codice del 2016 prima del correttivo del 2017) ai soli aspetti relativi alla “disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo”, i quali potranno essere “computati cumulativamente in capo al consorzio ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate”.

Secondo il ragionamento del Consiglio di Stato (che si è pronunciato in una controversia relativa a lavori pubblici), il consorzio stabile, per poter usufruire dei requisiti dei consorziati, in disparte la disponibilità delle attrezzature, dei mezzi d’opera, nonché dell’organico medio annuo (in relazione ai quali opera il cumulo), potrebbe – almeno in teoria – far ricorso soltanto all’avvalimento per beneficiare dei requisiti degli altri consorziati (ciò in ragione del fatto che il giudice, in questa sentenza, ha considerato ripristinato l’originario sistema del Codice 2016 ante correttivo 2017).

La giurisprudenza successiva è stata ondivaga sul cumulo alla rinfusa.

A sentenze che hanno ribadito la forza abrogatrice dello Sblocca Cantieri (in ciò aderendo all’impostazione della Plenaria), che avrebbe eliminato: “…tale regola [e cioè la regola del cumulo alla rinfusa] per tutti i consorzi stabili, ripristinando l’originaria e limitata perimetrazione del c.d. cumulo alla rinfusa ai soli aspetti relativi alla «disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo», i quali sono «computati cumulativamente in capo al consorzio ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate»” (Cons. Stato, sez. III, 13 dicembre 2021, n. 8316; si v. pure TAR Lazio, Roma, sez. III, 2 marzo 2022, n. 2571), si sono contrapposte decisioni che hanno, invece, precisato che il consorzio stabile: “…opera in base a uno stabile rapporto organico con le imprese associate, il quale si può giovare, senza necessità di ricorrere all’avvalimento, dei requisiti di idoneità tecnica e finanziaria delle consorziate stesse, secondo il criterio del cumulo alla rinfusa (si cfr. Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 2021, n. 964; id., 11 dicembre 2020, n. 7943; sez. VI, 13 ottobre 2020, n. 6165; sez. III, 22 febbraio 2018, n. 1112; sez. V, 22 gennaio 2015, n. 244; sez. III, 4 marzo 2014, n. 1030; sez. V, 7 gennaio 2022, n. 48).

Il quadro attuale

Sulla questione (si spera) che l’attuale assetto indicato dal Codice del 2023 – unito all’interpretazione autentica di cui all’art. 225, comma 13 – possa aver definitivamente composto le aporie susseguitesi negli anni.

La definizione di consorzio stabile contenuta nel Codice 2023 (art. 65, comma 2, lett. d) è identica a quella stabilita nell’art. 45, comma 2, lett. c) d.lgs. n. 50/2016.

I consorzi stabili, costituiti anche in forma di società consortili, tra diverse categorie di operatori economici: “…sono formati da non meno di tre consorziati che, con decisione assunta dai rispettivi organi deliberativi, abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine una comune struttura di impresa” (art. 65, comma 2, lett. d Codice del 2023).

Ai fini della loro qualificazione, l’art. 67 d.lgs. n. 36/2023 – nel richiamare anche il contenuto dell’allegato II.12 (“Sistema di qualificazione e requisiti per gli esecutori di lavori. Requisiti per la partecipazione alle procedure di affidamento dei servizi di ingegneria e architettura”) valido nelle more dell’adozione del regolamento sulla qualificazione degli operatori economici per le procedure di appalto di lavori pari o superiori a 150.000 euro (art. 100, comma 4) – stabilisce che:

a) per gli appalti di servizi e forniture, i requisiti di capacità tecnica e finanziaria sono computati cumulativamente in capo al consorzio ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate;

b) per gli appalti di lavori, i requisiti di capacità tecnica e finanziaria per l’ammissione alle procedure di affidamento sono posseduti e comprovati dagli stessi sulla base delle qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate”.

Al di là della differente formulazione delle ipotesi (per gli appalti di servizi e forniture rileva l’avverbio “cumulativamente” mancante per gli appalti di lavori), il significato della disposizione appare (mi sembra) univoco nel consentire (ai fini della dimostrazione della capacità tecnica e finanziaria) il ricorso ai requisiti speciali posseduti dalle imprese consorziate, indipendentemente dal fatto che siano state designate o meno per l’esecuzione del contratto.

In più, l’interpretazione autentica fornita dall’art. 225, comma 13 – di cui si è già detto sopra – completa il quadro normativo in senso conforme a quanto appena indicato.

Segnatamente, in via transitoria (con riferimento alle procedure ricadenti nel Codice del 2016), i requisiti di qualificazione dei consorzi stabili sono quelli previsti dall’art. 36, comma 7 d.lgs. n. 163/2006 (pertanto, il consorzio stabile si qualifica sulla base dei requisiti posseduti dalle singole imprese consorziate).

Per i lavori, vale più precisamente quanto stabilito dall’art. 94 d.p.r. n. 207/2010 (norma non più operante per le procedure bandite sotto l’egida del nuovo Codice), il quale stabilisce che i consorzi stabili (nei lavori) conseguono la qualificazione “…a seguito di verifica dell’effettiva sussistenza in capo alle singole consorziate dei corrispondenti requisiti” (dunque, ancora una volta, senza alcuna distinzione tra imprese designate o meno per l’esecuzione del contratto).

Per gli affidamenti di servizi e forniture, invece, l’art. 47, comma 2 bis d.lgs. n. 50/2016 si interpreta (sempre ai sensi dell’art. 225, comma 13, cit.) nel senso che la sussistenza in capo ai consorzi stabili dei requisiti richiesti nel bando di gara è valutata a seguito della verifica della effettiva esistenza dei predetti requisiti in capo ai singoli consorziati, anche se diversi da quelli designati in gara.

Come si può notare, quindi, vi è (ora) una congruenza tra il nuovo regime (e cioè quello di cui agli artt. 65 e 67 d.lgs. n. 36/2023) e quello precedente (per le gare avviate durante la vigenza del d.lgs. n. 50/2016 cui si applica l’interpretazione autentica). In entrambi i casi, per lavori, servizi e forniture, vale lo stesso concetto: il consorzio stabile dimostra il possesso di (tutti) i requisiti speciali (oltreché in proprio) anche attraverso le qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate, indipendentemente dal fatto che siano state designate per l’esecuzione del rapporto.

Sandro Mento