La strada sbagliata verso la centralizzazione degli appalti

Con buona approssimazione è possibile affermare che una delle riforme meno incisive ed utili di questi anni sia stata quella che ha progressivamente forzato le amministrazioni pubbliche ad effettuare appalti mediante soggetti aggregatori, centrali di committenza o stazioni uniche appaltanti

 

Luigi Oliveri 8 Novembre 2018
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Con buona approssimazione è possibile affermare che una delle riforme meno incisive ed utili di questi anni sia stata quella che ha progressivamente forzato le amministrazioni pubbliche ad effettuare appalti mediante soggetti aggregatori, centrali di committenza o stazioni uniche appaltanti

A parte l’enorme confusione del reticolo delle competenze di questi vari soggetti, condizionata anche dall’oggetto degli appalti (per esempio, le norme sugli acquisti informatici hanno una natura peculiare, mentre soglie diverse di appalti segnano maggiore libertà di azione autonoma al ridursi del loro valore), due dati si possono citare a dimostrazione non solo della scarsa utilità di queste norme, ma perfino della loro dannosità.

Infatti, da quando a partire dal 2012 con la “spending review” di Monti si sono susseguite progressive forzature verso la concentrazione degli appalti in pochi soggetti, culminate negli articoli 37 e 38 del d.lgs. 50/2016, si registra da un lato la crescita costante della spesa statale per consumi intermedi (cioè gli appalti di servizi e forniture) e l’inarrestabile contrazione della spesa per investimenti, dovuta al fatto che si fanno sempre meno appalti di opere pubbliche e comunque per importi sempre più bassi. Continua a leggere…

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