Negli appalti finanziati con fondi PNRR, l’impegno al rispetto delle quote occupazionali previsto dall’art. 47 del d.l. 77/2021 costituisce requisito necessario dell’offerta; la sua omissione comporta l’esclusione del concorrente ed è insuscettibile di soccorso istruttorio.
Se l’omissione riguarda solo un componente di un RTI, è ammessa la modifica soggettiva in riduzione ex art. 97 del d.lgs. 36/2023, con estromissione del componente inadempiente, in quanto — ai fini dell’art. 97 — l’impegno è assimilabile a un requisito di partecipazione richiesto singolarmente a pena di esclusione; ferma l’immodificabilità sostanziale dell’offerta (art. 96).
Lo afferma il Consiglio di Stato con la sentenza del 18 agosto 2025, sez. V, n. 7065.
Indice
- I fatti in causa
- Una questione di competenza
- Il fondamento normativo e la volontà del legislatore secondo il giudice
- La conseguenza logica: limiti del soccorso istruttorio e insanabilità dell’omissione
- La questione della modifica soggettiva: l’interpretazione estensiva dell’art. 97 del Codice
- Conclusioni: una questione di prospettiva interpretativa
I fatti in causa
La vicenda nasce da una gara indetta dalla Regione Toscana per l’affidamento di servizi informatici strategici.
L’appalto, finanziato con fondi PNRR, era soggetto alla relativa disciplina. Pertanto, il disciplinare di gara prevedeva, all’art. 9, l’obbligo per tutti i concorrenti di assumersi l’impegno a garantire, in caso di aggiudicazione, una quota minima di assunzioni giovanili e femminili pari al 30%, in conformità all’art. 47 del d.l. 77 del 2021.
Al momento dell’apertura delle buste amministrative, la Stazione Appaltante rilevava che la mandante di un RTI non solo non aveva reso la dichiarazione di impegno, ma l’aveva del tutto cancellata, barrando il relativo testo presente nel modello messo a disposizione dall’ente. Veniva quindi attivato il soccorso istruttorio.
A seguito di soccorso istruttorio, l’RTI sosteneva che si trattasse di un mero errore materiale e trasmetteva una dichiarazione corretta.
L’amministrazione comunicava però di voler procedere all’esclusione.
Subito dopo, il raggruppamento informava la Stazione Appaltante che la mandante in questione aveva esercitato il recesso unilaterale, chiedendo di ammettere alla procedura la compagine ridotta e presentava ricorso avverso la nota e gli atti di gara.
L’Amministrazione formalizzava comunque in data successiva l’esclusione dell’intero raggruppamento. Tale provvedimento veniva impugnato con motivi aggiunti.
In primo grado il TAR confermava la legittimità della decisione. L’RTI proponeva quindi appello al Consiglio di Stato.
Una questione di competenza
Prima di affrontare i nodi centrali della pronuncia, relativi alla dichiarazione di impegno alle quote occupazionali, si ritiene utile soffermarsi sul tema della competenza ad adottare il provvedimento di esclusione, trattato dalla sentenza.
Il provvedimento di esclusione non era stato adottato dal RUP, ma dal Dirigente del Settore Contratti della Regione. Questo elemento, nella prospettazione dell’appellante, era idoneo a determinare l’annullamento della decisione.
Il Consiglio di Stato ha però respinto la censura, ritenendo legittimo il modello organizzativo adottato dalla stazione appaltante. Il giudice ha fondato la sua decisione sull’autonomia organizzativa che il nuovo Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 36/2023) riconosce alle amministrazioni.
In particolare, l’art. 15, comma 4, e l’art. 7 dell’allegato I.2 del Codice consentono espressamente di istituire uffici o servizi specifici dedicati a singole fasi, come la verifica della documentazione amministrativa.
Secondo i giudici, questa scelta non viola né svuota la centralità della figura del RUP, il quale mantiene integre le sue fondamentali “funzioni di supervisione, indirizzo e coordinamento“. La sentenza ha inoltre chiarito che la disciplina di tali aspetti organizzativi non rientra nella materia della “tutela della concorrenza” (di competenza statale), bensì in quella dell’ “organizzazione amministrativa“, riservata alla potestà legislativa delle Regioni.
Di conseguenza, l’operato della Regione Toscana, che ha attribuito la competenza per la verifica e la conseguente esclusione a un dirigente specifico, è stato ritenuto pienamente conforme alla legge.
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Il fondamento normativo e la volontà del legislatore secondo il giudice
Il punto di partenza dell’analisi del Collegio è il dato testuale dell’art. 47, comma 4, d.l. n. 77/2021: la norma qualifica l’assunzione dell’impegno come “requisito necessario dell’offerta”. Ne consegue che la relativa previsione inserita nella lex specialis non è una clausola discrezionale della stazione appaltante, bensì il recepimento di un precetto legale di rango primario, quindi inderogabile.
Il Consiglio di Stato, richiamando un proprio precedente, chiarisce che tale obbligo risponde “all’esigenza di imporre dall’alto una ben precisa opzione organizzativa (favor per le assunzioni di giovani e donne)“. Pertanto, non è sostenibile la tesi secondo cui l’impegno avrebbe natura meramente formale. Al contrario, esso riflette una condizione attuale e sostanziale dell’operatore economico. Con la dichiarazione, il concorrente attesta di disporre di una “stabile e preordinata organizzazione aziendale” idonea a rispettare l’obbligo.
In altri termini, l’impegno non è soltanto una promessa di un vincolo per la fase esecutiva, ma un’attestazione di una condizione dell’impresa esistente e, dunque, un “elemento essenziale di qualità dell’offerta“.
La sua funzione è coerente con le finalità del piano europeo Next Generation EU, che mira al rilancio economico anche “grazie alle nuove leve e ad una maggiore valorizzazione del lavoro femminile“. Di conseguenza, la dichiarazione incide sulla capacità e sull’assetto organizzativo dell’impresa, costituendo un presupposto necessario affinché il contratto possa essere finanziato con fondi PNRR.
La conseguenza logica: limiti del soccorso istruttorio e insanabilità dell’omissione
Una volta definita la natura sostanziale (e non meramente formale) dell’impegno PNRR, la sentenza ne trae la conseguenza necessaria: la mancata dichiarazione è insanabile. Il Consiglio di Stato, in linea con il proprio orientamento, esclude l’applicabilità del soccorso istruttorio di cui all’art. 101 d.lgs. 36/2023, distinguendone le tre funzioni:
– Soccorso integrativo/completivo (art. 101, co. 1, lett. a): per integrare documenti amministrativi mancanti.
– Soccorso sanante (art. 101, co. 1, lett. b): per regolarizzare irregolarità sanabili della documentazione amministrativa.
– Soccorso istruttorio in senso stretto (art. 101, co. 3): per ottenere chiarimenti su ambiguità dell’offerta, senza alterarne il contenuto.
Applicando tale schema al caso concreto, il Collegio spiega perché nessuna delle tre ipotesi è pertinente:
1. La mancata assunzione dell’impegno non è una carenza di documentazione amministrativa, poiché incide sulla qualità e sulla sostanza dell’offerta, di cui è parte integrante .
2. Non ricorre un’ambiguità chiaribile: al contrario, la mandante ha materialmente cancellato la clausola con un “depennamento secco”, che esprime l’univoca volontà di sottrarsi all’obbligo.
3. Ammettere la regolarizzazione postuma lederebbe la par condicio, avvantaggiando chi non ha predisposto ab origine l’assetto organizzativo richiesto.
Nemmeno il richiamo al principio del risultato, cardine del nuovo Codice, può sovvertire tale conclusione. La sentenza, infatti, chiarisce che tale principio non può essere invocato per disattendere precisi obblighi di legge, dovendo esso operare nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza , i quali sarebbero irrimediabilmente lesi da una sanatoria postuma.
Il Collegio chiarisce, infine, che la richiesta iniziale della stazione appaltante non configurava un soccorso istruttorio, bensì un contraddittorio procedimentale: una scelta prudente e neutra ai fini della legittimità del procedimento. Ne consegue che non si rinvengono contraddizioni nel comportamento dell’amministrazione idonee a viziare il provvedimento.
La questione della modifica soggettiva: l’interpretazione estensiva dell’art. 97 del Codice
Se il Collegio adotta un approccio rigoroso nel qualificare l’impegno PNRR e nel negare il soccorso istruttorio, la sua analisi si orienta diversamente sulla questione della modifica soggettiva in riduzione dell’RTI. Questo passaggio della sentenza è di particolare interesse, poiché il giudice vi sviluppa un’interpretazione teleologica e sistematica dell’art. 97 del Codice, superando una lettura meramente letterale della norma a favore della sua ratio sostanziale.
Il limite della norma e la tesi restrittiva
Il problema interpretativo nasce dal tenore letterale dell’art. 97, comma 2, del D.Lgs. 36/2023. La norma consente a un raggruppamento di estromettere un proprio componente per evitare l’esclusione, ma circoscrive questa facoltà a ipotesi tassative:
– La sussistenza di cause di esclusione automatiche o non automatiche (artt. 94 e 95).
– La carenza di uno dei requisiti di ordine speciale (art. 100).
Il T.A.R., in primo grado, aveva aderito a una lettura restrittiva, negando l’applicazione dell’art. 97. La logica era stringente: la mancata dichiarazione dell’impegno PNRR, essendo un vizio afferente al contenuto negoziale dell’offerta, non rientrava formalmente in nessuna delle categorie previste dalla norma.
Il superamento del dato letterale
Il Consiglio di Stato ribalta questa prospettiva, superando l’ostacolo letterale con un’argomentazione fondata sulla finalità della norma e sul canone di ragionevolezza. I passaggi logici sono chiari:
1. Assimilazione funzionale del vizio al requisito: Il fulcro dell’argomentazione è l’assimilazione della mancata dichiarazione alla carenza di un requisito di partecipazione. Sebbene l’impegno sia un “requisito necessario dell’offerta”, la sua assenza determina per legge una causa di esclusione “automatica” e non discrezionale . Sul piano degli effetti, quindi, la situazione è del tutto analoga a quella della perdita di un requisito soggettivo.
2. Applicazione del canone di ragionevolezza e non sproporzione: I giudici evidenziano come una lettura meramente letterale condurrebbe a conseguenze irragionevoli. Sarebbe un paradosso consentire la modifica di un RTI per la perdita dei requisiti generali (situazioni spesso legate a gravi illeciti) e negarla per l’omissione di una dichiarazione che, seppur fondamentale, attiene a un impegno da attuare in fase esecutiva.
3. Estensione della tutela: Il Collegio, pertanto, estende in via interpretativa l’ambito applicativo dell’art. 97 a tutte le ipotesi in cui un componente dell’RTI sia interessato da una causa di esclusione prevista dalla legge, anche se non espressamente menzionata. Questa interpretazione evolutiva impedisce che il vizio individuale di un operatore, relativo a un impegno che per sua natura deve essere assunto singolarmente, determini l’esclusione dell’intera compagine. Ciò va a beneficio sia della concorrenza, sia del principio del risultato, senza sminuire la gravità dell’obbligo PNRR, la cui violazione viene comunque neutralizzata con l’inevitabile estromissione dell’impresa inadempiente.
Conclusioni: una questione di prospettiva interpretativa
La sentenza in commento si segnala per un approccio che è solo apparentemente duale: da un lato, rigore nel qualificare l’impegno PNRR come elemento essenziale e insanabile dell’offerta; dall’altro, flessibilità nell’ammettere la modifica soggettiva in riduzione dell’RTI. L’esito più innovativo è, senza dubbio, l’applicazione estensiva dell’art. 97 del D.Lgs. 36/2023.
Una lettura superficiale potrebbe suggerire che il giudice abbia di fatto ampliato la nozione stessa di “requisito di partecipazione”, quasi a creare un tertium genus in cui qualunque violazione escludente diviene, ai fini della modifica soggettiva, assimilabile alla carenza di un requisito.
Tuttavia, una simile conclusione non appare fedele al ragionamento del Collegio. La portata della decisione va rintracciata non in una ridefinizione generale dei requisiti, ma nella ratio propria dell’art. 97: evitare che, nei raggruppamenti, si configuri una responsabilità oggettiva per fatto altrui, con l’esclusione dell’intera compagine per la “colpa” del singolo. In questa luce, la violazione dell’obbligo dichiarativo da parte di uno solo dei componenti rientra pienamente nello scopo di tutela della norma.
L’operato del Consiglio di Stato è quindi un esercizio di interpretazione teleologica mirata: non si allarga la nozione di “requisito”, ma si estende l’ambito applicativo del rimedio (la riduzione ex art. 97) alle fattispecie funzionalmente omogenee in cui la legge prevede un effetto escludente per un obbligo richiesto singolarmente al componente. Restano, però, fermi i presìdi a garanzia della procedura: l’immodificabilità sostanziale dell’offerta (art. 96), la tempestività dell’estromissione e l’integrità dei requisiti in capo ai membri restanti.
La pronuncia, dunque, delinea un importante principio di conservazione degli atti di gara, ma lascia aperto il compito per le stazioni appaltanti di vigilare attentamente affinché tale flessibilità non si traduca in un’alterazione dell’assetto concorrenziale e del contenuto tecnico-economico originario dell’offerta.
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