Sui chiarimenti della lex specialis resi dalla Stazione appaltante in sede di gara

La sentenza del Consiglio di Stato costituisce un esempio emblematico di come il nuovo impianto normativo introdotto dal d.lgs. n. 36/2023 richieda agli interpreti un approccio meno formalistico, in linea con i principi del risultato, del buon andamento e della fiducia nell’azione amministrativa.

Luigia Castaldo 14 Maggio 2025
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Consiglio di Stato, Sez. IV, 09 maggio 2025, n. 4019
 
“(…) Non può, dunque, essere condivisa la ricostruzione seguita dal giudice di prime cure perché in realtà nessuna modifica degli atti di gara è stata effettuata dalla stazione appaltante tramite i chiarimenti, ma è stato solo chiarito un aspetto del bando di gara, che era affetto da un evidente errore il quale, peraltro, era stato ben individuato anche da tutti i partecipanti che hanno prodotto la certificazione corretta.
Non può, quindi, essere preclusa alla p.a. di chiarire e precisare quale sia la certificazione da produrre, quando tale elemento emerga ictu oculi da una piana lettura del bando. La ricostruzione del giudice di prime cure comporterebbe che ogni qual volta il bando sia affetto da un palese errore “innocuo”, perché nessun pregiudizio o disagio ha causato ai partecipanti, la p.a. non potrebbe intervenire chiarendo l’errore commesso, ma sarebbe costretta a revocare l’intera gara, con esiti insoddisfacenti dal punto di vista del buona andamento e del principio del risultato (art. 1, d.lgs. n. 36 del 2023) che si oppone, peraltro, ad una lettura formalistica degli atti di gara”.

Indice

Il caso di specie e la decisione del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato, con la sentenza in esame, ha accolto l’appello avverso la sentenza n. 438/2024 del T.a.r. Basilicata, con cui era stato annullato l’affidamento, in favore dell’operatore economico OMISSIS, del servizio di trasporto e avvio a recupero del rifiuto sovvallo secco prodotto dall’impianto TBM in località Cafaro di Atella.

Per quel che qui interessa, nel bando di gara la stazione appaltante aveva chiesto agli operatori di certificare il proprio sistema di gestione ambientale prescrivendo, per evidente errore, l’allegazione della certificazione UNI EN 15359:2011, al tempo dell’indizione della gara non più in vigore.  Per ovviare al predetto errore, la s.a. aveva specificato in sede di chiarimenti la certificazione corretta richiesta ad ogni concorrente dalla normativa di gara (i.e. UNI EN 15358:2011).

Il giudice di prime cure aveva tuttavia ritenuto che la stazione appaltante avesse modificato la lex specialis mediante i suddetti chiarimenti , procedendo a una illegittima sostituzione di uno dei requisiti di partecipazione.

Di converso, il Consiglio di Stato, nella sentenza in parola, ha ritenuto fondata la prospettazione dell’appellante, secondo cui la modifica non aveva in alcun modo alterato la par condicio tra i concorrenti, essendo l’Amministrazione incorsa in un mero errore materiale in fase di predisposizione del bando, come peraltro riconosciuto da tutti gli operatori economici partecipanti.
Ed infatti, tutti i concorrenti avevano prodotto la certificazione corretta (i.e.  UNI EN 15358:2011) relativa al sistema di gestione per la qualità nella produzione di combustibili solidi secondari, unica pertinente con l’oggetto dell’appalto e in vigore al momento della gara, in luogo di quella ormai abrogata richiesta originariamente.

Il Collegio ha chiarito che non si era in presenza di una modifica della disciplina di gara, bensì di una legittima precisazione necessaria ad assicurare la concreta attuazione della procedura, in conformità ai principi di buon andamento, proporzionalità, correttezza e fiducia nell’azione amministrativa, ai sensi degli articoli 1, 2 e 5 del d.lgs. n. 36/2023.

La precisazione fornita dalla stazione appaltante, infatti, si è limitata a correggere un evidente errore materiale, non idoneo a determinare alcun pregiudizio concreto per i partecipanti e tale da rendere, in assenza di chiarimenti, inattuabile la gara. Al contrario, la ricostruzione del giudice di prime cure comporterebbe che ogniqualvolta il bando sia affetto da un errore “innocuo”, che non ha causato alcun pregiudizio ai partecipanti, la p.a. non potrebbe intervenire chiarendo l’errore commesso, ma sarebbe costretta a revocare l’intera gara, con esiti insoddisfacenti dal punto di vista del principio del risultato.

In riforma della sentenza impugnata, il Supremo Consesso ha infine precisato che non ogni errore può naturalmente essere emendato dalla stessa stazione appaltante con chiarimenti, pena il rischio che si possa giungere ad una modifica non consentita degli atti di gara.
È però ben possibile che la stazione appaltante, in presenza di un evidente errore, specifichi e precisi quale sia la certificazione che per legge deve essere posseduta dagli operatori economici partecipanti alla gara. Anzi, in questo caso, così come in casi analoghi, la precisazione appare assolutamente doverosa e necessaria, in quanto altrimenti il bando, con il riferimento all’originaria certificazione, ormai abrogata, sarebbe stato inattuabile.

Brevi profili ricostruttivi

La sentenza in esame offre spunti ricostruttivi significativi in ordine alla portata applicativa dei chiarimenti resi dalla stazione appaltante nel corso della procedura ad evidenza pubblica, alla luce del nuovo Codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. n. 36/2023.

In particolare, il Collegio si sofferma sull’interpretazione dell’art. 6.3 del disciplinare di gara (rubricato “Requisiti di capacità tecnica e professionale”) con riferimento alla certificazione ambientale richiesta ai concorrenti e sulla possibilità – per l’amministrazione aggiudicatrice – di intervenire mediante chiarimenti per correggere un errore materiale contenuto nella lex specialis.
La questio iuris ruota attorno alla distinzione tra “modifica” e “interpretazione” degli atti di gara: mentre la prima, ove incida su requisiti di partecipazione o criteri di valutazione, comporta un vizio sostanziale tale da richiedere la riedizione della procedura, la seconda si configura come un’operazione ermeneutica ammissibile, finalizzata a garantire la certezza giuridica e la chiarezza delle regole del confronto competitivo.

In tal senso, il Collegio valorizza l’orientamento giurisprudenziale secondo cui i chiarimenti resi dalla stazione appaltante non sono ex se lesivi dei principi di legalità, par condicio e trasparenza, ove si limitino a rendere intellegibili clausole ambigue o a correggere errori manifesti, purché non alterino l’equilibrio concorrenziale né modifichino, in senso sostanziale, i presupposti della gara.

Nel caso di specie, la sostituzione della certificazione UNI EN 15359:2011, ormai abrogata, con la UNI EN 15358:2011, risultava non solo giustificata ma necessaria, atteso che quest’ultima rappresentava l’unica attestazione coerente con l’oggetto dell’appalto, cioè il trasporto e l’avvio a recupero del rifiuto sovvallo secco derivante da trattamento meccanico-biologico.
La decisione assume rilievo anche in rapporto all’art. 1 del d.lgs. 36/2023, che consacra il principio del risultato quale criterio prioritario dell’azione amministrativa, imponendo una gestione funzionale ed efficiente della procedura, in chiave di effettività e non di formalismo astratto.

Sotto altro profilo, la pronuncia valorizza l’art. 2, comma 1, del medesimo decreto, che fonda l’azione amministrativa su un principio di fiducia reciproca tra le parti del procedimento e sulla presunzione di legittimità dell’agire pubblico, integrando il sistema con regole di lealtà e collaborazione. In tale ottica, il fatto che tutti i concorrenti abbiano presentato la certificazione UNI EN 15358:2011, compresa la stessa ricorrente in primo grado, assume valore dirimente nel confermare la neutralità e l’inoffensività dell’errore contenuto nel disciplinare.
Viene così riaffermata la centralità del principio di buona fede e correttezza nelle procedure di gara, sancito espressamente dall’art. 5 del Codice, che vincola sia l’amministrazione che gli operatori economici a un comportamento improntato alla cooperazione e alla comprensione reciproca, soprattutto in presenza di “difformità interpretative” non rilevanti.
La sentenza si colloca, quindi, nel solco di un indirizzo giurisprudenziale evolutivo, che tende a superare la visione meramente formalistica della procedura di gara, favorendo un approccio sostanziale e funzionale alla legalità amministrativa, coerente con la finalità pro-concorrenziale e di efficiente allocazione delle risorse pubbliche sottesa al nuovo assetto normativo.

Essa rappresenta una conferma del ruolo attivo dell’amministrazione nella corretta gestione della procedura di gara e una riaffermazione dei limiti entro cui tale attività può esplicarsi senza incorrere in violazioni dei principi di imparzialità e trasparenza, con un equilibrato bilanciamento tra esigenze di certezza delle regole e necessità di flessibilità interpretativa dell’agere pubblico.

Considerazioni conclusive

La sentenza del Consiglio di Stato costituisce un esempio emblematico di come il nuovo impianto normativo introdotto dal d.lgs. n. 36/2023 richieda agli interpreti un approccio meno formalistico, in linea con i principi del risultato, del buon andamento e della fiducia nell’azione amministrativa.

L’intervento chiarificatore della stazione appaltante, correttamente riqualificato come una precisazione e non come una modifica della lex specialis, ha permesso di salvaguardare la continuità e l’efficienza della procedura di gara senza sacrificare i valori fondanti della trasparenza e della concorrenza.

Il Collegio ha così valorizzato una nozione sostanziale di legalità, capace di tenere conto della realtà concreta delle relazioni tra amministrazione e operatori economici, in un’ottica collaborativa e orientata al raggiungimento dell’interesse pubblico.

L’affermazione secondo cui non ogni errore, anche se formale, comporta l’illegittimità della procedura, ma che è invece doveroso da parte della s.a. intervenire con chiarimenti quando ciò consenta una più corretta ed efficace applicazione della disciplina di gara, si pone in linea con la concezione di attività amministrativa non solo vincolata, ma anche funzionale alla tutela effettiva dei principi dell’ordinamento, al fine di garantire l’efficienza dell’azione amministrativa.

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