Va impugnato, e non può essere soltanto “disapplicato”, il bando contenente una clausola escludente in contrasto col diritto europeo

Il bando di gara contenente una clausola escludente, ancorché riproduttiva di una norma interna in contrasto col diritto europeo, deve essere immediatamente impugnato nel termine di trenta giorni dalla sua pubblicazione

9 Febbraio 2024
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Il bando di gara contenente una clausola escludente, ancorché riproduttiva di una norma interna in contrasto col diritto europeo, deve essere immediatamente impugnato nel termine di trenta giorni dalla sua pubblicazione.

A cura di Michele Di Michele

1. Premessa

Il Consiglio di Stato, Sez. V,(sentenza n. 321 del 10 gennaio 2024) ha enunciato il principio di diritto secondo cui il bando di gara contenente una clausola escludente, ancorché riproduttiva di una norma interna ritenuta dalla CGUE in contrasto col diritto europeo, deve essere immediatamente impugnato nel termine di trenta giorni dalla sua pubblicazione ai sensi dell’art. 120, comma 5, c.p.a. e non può, di contro, essere soltanto “disapplicato”.

2. Il caso di specie

La questione era sorta nell’ambito di una procedura di gara indetta dall’Agenzia del Demanio per l’affidamento di un accordo quadro, suddiviso in lotti, per interventi manutentivi, il cui disciplinare di gara, oltre a prevedere il divieto di partecipazione ai RTI o consorzi ordinari verticali o misti, richiedeva, a pena di esclusione, il possesso dei requisiti di qualificazione in misura maggioritaria per tutte le categorie di lavori in capo alla capogruppo mandataria.

Il raggruppamento ricorrente, risultato miglior offerente per il lotto di partecipazione, veniva escluso dal seggio di gara in quanto, in violazione delle previsioni del disciplinare sopra richiamate, era stato ritenuto di tipo misto nonché carente dei requisiti di qualificazione in misura maggioritaria in capo alla mandataria.

Avverso il provvedimento di esclusione veniva proposto ricorso avanti al competente Tar Puglia, ove veniva censurata

(i) quanto alla qualificazione del raggruppamento come di tipo misto, un vizio di errata qualificazione avendo ciascuna delle imprese in R.T.I. i requisiti di qualificazione per le categorie richieste (ed essendo invece irrilevante che la mandataria avesse assunto, per la fase di esecuzione, il 100% dei lavori ascrivibili ad una determinata categoria);

(ii) quanto al mancato possesso dei requisiti di qualificazione in misura maggioritaria in capo alla mandataria, l’illegittimità della clausola del disciplinare in quanto in contrasto con l’art. 63 della direttiva 2014/24/UE il quale, secondo la pronuncia della Corte di Giustizia UE n. 642/2020 (anteriore alla data di pubblicazione del bando), “osta ad una normativa nazionale secondo la quale l’impresa mandataria di un raggruppamento di operatori economici partecipante a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico deve possedere i requisiti previsti nel bando di gara ed eseguire le prestazioni di tale appalto in misura maggioritaria“.

In particolare, quanto al secondo profilo di censura sopra richiamato, mediante cui il bando viene impugnato solo insieme all’atto applicativo (ossia l’esclusione dalla procedura dell’impresa ricorrente), si pone il problema di verificare in via preliminare la sussistenza (o meno) dell’onere di immediata impugnativa della lex di gara (relativamente alla clausola contestata).

2.1 La sentenza di primo grado.

Con sentenza n. 372 del 27 febbraio 2023, il Tar Puglia, Sez. II, accoglieva il ricorso evidenziando in primo luogo la natura orizzontale del raggruppamento giacché tanto la mandante quanto la mandataria erano in possesso della qualificazione per tutte le categorie richieste, mentre l’indicazione della quota di esecuzione dei lavori ascrivibili ad una determinata categoria, interamente da parte della mandataria, non varrebbe automaticamente a qualificare il raggruppamento quale misto tenuto conto della piena libertà riconosciuta alla imprese riunite di suddividere tra loro le quote di esecuzione dei lavori fermo il limite rappresentato dai requisiti di qualificazione posseduti dall’impresa associata.

Quanto al contestato mancato possesso dei requisiti di qualificazione in misura maggioritaria per tutte le categorie di lavori in capo alla mandataria, il Tar richiamava la sentenza della Corte di Giustizia UE, Sez. IV, del 28 aprile 2022, n. 642/20 che, in merito ad una controversia riferita proprio alle modalità di composizione di un raggruppamento aveva stabilito il principio per cui “l’articolo 63 della direttiva 2014/24 deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale secondo la quale l’impresa mandataria di un raggruppamento di operatori economici partecipante a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico deve possedere i requisiti previsti nel bando di gara ed eseguire le prestazioni di tale appalto in misura maggioritaria“.

Per effetto della citata pronuncia della CGUE (anteriore all’indizione della gara), a giudizio del Tar adito, si impone la “disapplicazione” per incompatibilità col diritto europeo

  • non soltanto delle norme di legge primarie in contrasto con l’art. 63 della direttiva 2014/24/UE (e nello specifico dell’art. 83, comma 8 del D.Lgs. 50/2015 e dell’art. 92, comma 2 del d.P.R. 207/2010 nella parte in cui impongono che la mandataria in ogni caso deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria),
  • ma anche (ed è questo il punto centrale della vicenda giudiziaria) delle disposizioni della lex di gara che, facendo applicazione delle soprarichiamate norme di diritto interno, impongono il possesso dei requisiti in misura maggioritaria in capo alla mandataria.

2.2 La decisione del Consiglio di Stato.

L’Agenzia del Demanio proponeva appello denunciando l’inammissibilità del ricorso di primo grado per tardività in ragione della natura “immediatamente escludente” della clausola della lex di gara che imponeva il possesso dei requisiti in misura maggioritaria in capo alla mandataria.

Il bando di gara avrebbe dunque dovuto essere impugnato immediatamente e non (come invece avvenuto nella specie) solo col ricorso avverso l’esclusione (tanto più che la clausola in esame non si prestava ad ambiguità interpretative ed era quindi certamente impeditiva della partecipazione del RTI escluso).

Il Consiglio di Stato, con la pronuncia qui in commento, accoglieva l’appello sulla base delle seguenti argomentazioni.

In primo luogo (anche se non per ordine di esposizione), veniva meglio chiarita la portata conformativa e applicativa del principio di diritto sancito dalla Corte di Giustizia UE il quale appare delineabile nel senso che, se non è consentito al legislatore nazionale di imporre, in modo generalizzato ed astratto, un vincolo quantitativo alle modalità organizzative dei raggruppamenti di operatori economici in tutti gli appalti pubblici, per contro, a determinate condizioni, è consentita alla singola amministrazione aggiudicatrice la modulazione dei requisiti, sia pure qualitativa, tenuto conto dell’oggetto dell’appalto e delle prestazioni da affidare.

Va quindi escluso, a giudizio del Consiglio di Stato, un divieto assoluto, posto dal diritto dell’Unione, di modulare i requisiti nell’ambito di un raggruppamento in modo che ne risulti diversamente regolata la posizione della mandataria.

Piuttosto, chiarisce la sentenza qui in commento, la portata della sentenza della CGUE rende evidente come il tenore dell’art. 83, comma 8 del D.Lgs. 50/2016 vada inteso (non come “norma attributiva del potere“, bensì) come “norma regolativa del potere” dell’amministrazione aggiudicatrice alla cui discrezionalità è rimessa la specifica modulazione dei requisiti di partecipazione dei concorrenti plurisoggettivi. Discrezionalità che nel caso di specie sarebbe stata esercitata dall’amministrazione nella misura in cui, come rileva il Consiglio di Stato, “non si tratta all’evidenza dell’esclusione generalizzata di determinati concorrenti plurisoggettivi ma della modulazione dei requisiti di partecipazione rimessa alla discrezionalità della singola amministrazione aggiudicatrice…“.

Corollario essenziale di tale rilievo è che la previsione del disciplinare che richiedeva per la mandataria il possesso dei requisiti di partecipazione in misura maggioritaria, pur riproduttiva di una norma interna incompatibile con quella unionale, non è qualificabile alla stregua di una causa di esclusione atipica affetta da nullità ai sensi dell’art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016.

Né potrebbe pervenirsi all’invocata qualificazione in termini di nullità della clausola del disciplinare in esame per carenza assoluta di potere per effetto della disapplicazione della norma che attribuisce il potere all’amministrazione: come si è detto, infatti, la norma interna contrastante con il diritto europeo (per come interpretata dalla sentenza della CGUE) si limita a disciplinare le modalità di esercizio del potere e non a fondare il potere medesimo, conseguendone che l’atto amministrativo adottato sulla base di essa non potrà ritenersi nullo per difetto assoluto di attribuzione.

La questione della tipologia di vizio da cui è affetto il bando si pone dunque (non in termini di nullità, bensì) in termini di illegittimità per violazione di legge, con conseguente annullabilità in via giurisdizionale ai sensi dell’art. 21 octies della legge n. 241/1990 (o, eventualmente, in via di autotutela).

Si tratta“, chiarisce il Consiglio di Stato, “di approdo interpretativo valido sia per la violazione c.d. diretta, prodotta cioè direttamente dal provvedimento amministrativo contrario al diritto dell’Unione, sia per la violazione c.d. indiretta, prodotta in via mediata dal provvedimento amministrativo conforme ad una norma di legge interna incompatibile con quel diritto, come nel caso di specie. In entrambi i casi il vizio è riconducibile alla violazione di legge in ragione della tendenziale unitarietà dei due ordinamenti, sia pure con la prevalenza di quello europeo sancita dagli artt. 11 e 117 della Costituzione“.

Chiarito quanto sopra, il Consiglio di Stato rileva la natura “immediatamente escludente” della clausola del disciplinare impugnata sulla base del “dato di fatto oggettivo“, sottolineato nei verbali di gara impugnati, che la mandataria non possedeva la qualificazione in misura maggioritaria in una delle categorie di lavori richieste (nella specie la categoria OG2).

Da qui, il rilievo della tardività del ricorso in quanto il bando non era stato impugnato nel termine di trenta giorni dalla sua pubblicazione ai sensi dell’art. 120, comma 5, c.p.a.

Sul punto, il Consiglio di Stato rileva inoltre che il termine decadenziale per la proposizione del ricorso non risulta in contrasto con la direttiva 21 dicembre 1989 89/665/CE (c.d. direttiva ricorsi), e non vi sono dunque i presupposti per la disapplicazione dell’art. 120, comma 5, c.p.a., in quanto tale termine “non è di per sé idoneo a rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti (cfr. CGUE, IV, 14 febbraio 2019, C-54/18, in riferimento al termine di trenta giorni all’epoca fissato dall’art. 120, comma 2 bis, c.p.a.). Nel caso di specie, inoltre, la sentenza della Corte di Giustizia che rendeva, ad avviso del r.t.i. ricorrente, il bando di gara incompatibile col diritto dell’Unione europea era stata già pubblicata prima della pubblicazione del bando, di modo che, già alla data di quest’ultima, era stato affermato il contrasto col diritto dell’Unione dell’art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui imponeva il possesso maggioritario dei requisiti in capo alla mandataria. Infine, come detto, l’interpretazione del bando di gara non si prestava ad equivoci di sorta, essendo stata per di più oggetto di chiarimenti inequivocabili dell’amministrazione“.

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3. Considerazioni conclusive

Come si è detto, con la sentenza del 28.04.2022 (C-642/20) la CGUE ha espunto dall’ordinamento interno il principio, adottato nel previgente codice appalti, per cui, per tutti gli appalti pubblici in Italia, in modo orizzontale e generalizzato, il mandatario del raggruppamento di operatori economici debba sempre essere qualificato ed eseguire la prestazione in misura maggioritaria.

Secondo l’ermeneusi della CGUE, infatti, se è vero che l’articolo 63, paragrafo 2, della direttiva 2014/24 consente alle amministrazioni aggiudicatrici di esigere, per gli appalti di servizi, che “taluni compiti essenziali” siano svolti da un partecipante al raggruppamento di operatori economici, nondimeno, si evince manifestamente che la volontà del legislatore dell’Unione, conformemente agli obiettivi di cui ai considerando 1 e 2 della medesima direttiva, consiste nel limitare ciò che può essere imposto a un singolo operatore di un raggruppamento, seguendo un approccio qualitativo e non meramente quantitativo, al fine di incoraggiare la partecipazione di raggruppamenti come le associazioni temporanee di piccole e medie imprese alle gare di appalto pubbliche.

In definitiva, “un requisito come quello enunciato all’articolo 83, comma 8, terzo periodo, del Codice dei contratti pubblici, che si estende alle «prestazioni in misura maggioritaria», contravviene a siffatto approccio, eccede i termini mirati impiegati all’articolo 63, paragrafo 2, della direttiva 2014/24 e pregiudica così la finalità, perseguita dalla normativa dell’Unione in materia, di aprire gli appalti pubblici alla concorrenza più ampia possibile e di facilitare l’accesso delle piccole e medie imprese (sentenza del 2 giugno 2016, Pizzo, C27/15, EU:C:2016:404, punto 27)”.

L’art. 68 comma 11 del nuovo codice (D.Lgs. 36/2023) recependo le indicazioni della CGUE, ha previsto che i requisiti di capacità economico-finanziaria e/o tecnico-professionale devono essere posseduti complessivamente dal raggruppamento, ferma restando la necessità che l’esecutore sia in possesso dei requisiti prescritti per la prestazione che lo stesso si è impegnato a realizzare.

Pertanto, il nuovo codice, mantenendo la necessaria corrispondenza tra le quote di esecuzione e quelle di qualificazione, se da un lato apre ai raggruppamenti favorendo la partecipazione in forma aggregata alle procedure di appalto, dall’altro, conferma la necessità – nell’interesse della stazione appaltante – a che le prestazioni affidate vengano eseguite dagli operatori economici in possesso dei relativi requisiti.

Ai sensi del comma 4 del citato art. 68 del nuovo codice, resta peraltro ferma la possibilità per la stazione appaltante di specificare nei documenti di gara le modalità con cui i raggruppamenti ottemperano ai requisiti di capacità economico- finanziaria e/o tecnico-professionale, “purché ciò sia proporzionato e giustificato da motivazioni obiettive” (specificazione ripresa anche dal Bando Tipo ANAC n. 1/2023).

È dunque richiesto che eventuali modulazioni dei requisiti di partecipazione dei raggruppamenti siano rigorosamente motivate dalla Stazione appaltante.

La modulazione qualitativa (e non meramente quantitativa) dei requisiti del raggruppamento (che, all’indomani della pronuncia della CGUE, era richiesta anche nelle procedure di gara rette dal previgente codice appalti), non sembra tuttavia, a parere di chi scrive, esservi stata nel caso in esame.

A ben vedere, infatti, la richiesta formulata dall’Agenzia del Demanio di possesso in misura maggioritaria dei requisiti in capo alla mandataria appare, nella sua sostanza, meramente riproduttiva della generale prescrizione di cui all’art. 83, comma 8, non essendo state individuate specifiche prestazioni per le quali è richiesta la qualificazione (ed esecuzione) in misura maggioritaria in capo alla mandataria, richiedendosi, di contro, il rispetto di tale requisito maggioritario in relazione a tutte (ed indiscriminatamente) le categorie di lavorazioni in cui si articolano gli interventi richiesti dall’accordo quadro messo a gara.

Tale configurazione della clausola lascerebbe dunque propendere per una sua qualificazione alla stregua di una causa di esclusione atipica, affetta da nullità ai sensi dell’ultimo periodo dell’art. 83, comma 8 del D.Lgs. 50/2016.