La revoca del credito di imposta non può essere sussunta nella previsione dell’art. 80 del D.Lgs. n. 50/2016

Consiglio di Stato, Sezione Terza, sentenza n. 2183 del 02 aprile 2019

18 Aprile 2019
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Consiglio di Stato, Sezione Terza, sentenza n. 2183 del 02 aprile 2019

L’appellante era risultata aggiudicataria della gara indetta per l’affidamento del servizio di vigilanza armata. Tale aggiudicazione era stata impugnata ed il TAR per la Campania, sede di Napoli, Sezione V, con la sentenza n. 5848/18, pubblicata il 10.10.2018 aveva disposto l’annullamento valorizzando la situazione di grave irregolarità fiscale in cui riteneva versasse la stessa in ragione del definitivo consolidamento – a conclusione di apposito giudizio tributario definito con sentenza della Corte di Cassazione n. 18015 del 14 settembre 2016 – del provvedimento dell’Agenzia delle Entrate di revoca del credito di imposta considerato a torto prenotato a credito dalla società aggiudicataria in misura superiore a quanto spettante in applicazione della regola “de minimis” di cui all’art. 7, comma 10, della legge del 23 dicembre 2000, n. 388, richiamato dall’art. 63 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.

Il Supremo Consesso, ribaltando la pronuncia di primo grado ha specificato che, in base all’articolo 80 comma 4 del d. lgs. n. 50/2016, un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti”.

Il Collegio si è dunque domandato quali siano da considerare le violazioni gravi nel pagamento delle imposte e tasse e dei contributi previdenziali tali da determinare il provvedimento di esclusione.

Sicchè è partito dal dato legislativo identificando tali cause in “quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all’importo di cui all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602” differenziandole da quelle “violazioni definitivamente accertate” individuate in “quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione”.

Sulla scorta di quanto sopra è stato dedotto che la revoca del credito di imposta non può essere sussunta nella previsione normativa sopra richiamata sì da rendere predicabile l’esclusione dell’aggiudicataria dalla procedura.

A parere del Collegio, infatti, l’effetto di accertamento che si riconnette alla revoca del credito di imposta non può dirsi completo in quanto non è ancora espressione di una pretesa tributaria compiutamente e definitivamente stabilita, occorrendo in vista del relativo recupero accertare l’entità del dovuto in ragione anche delle modalità e dei tempi di concreto utilizzo del credito.

Tanto è agevolmente evincibile dalla lettura dell’articolo 8 del d.m. 311 del 3.8.1998 che, a valle della revoca parziale o totale del credito d’imposta (comma 1), fa seguire un distinto e successivo snodo procedimentale avente ad oggetto il recupero delle somme versate in meno o del maggior credito riportato, nonché l’applicazione delle sanzioni connesse alle singole violazioni, affidandone il relativo incombente all’ufficio delle entrate competente in ragione del domicilio fiscale dell’impresa.

Nella suddetta ottica il legislatore, all’articolo 1 comma 421 della legge n. 311 del 30.12.2004 ha previsto che “…per la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, nonché per il recupero delle relative sanzioni e interessi l’Agenzia delle entrate può emanare apposito atto di recupero motivato da notificare al contribuente con le modalità previste dall’articolo 60 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973”.

Ciò a conferma della valenza provvedimentale dell’atto di recupero che si ascrive alla stessa logica e riflette la stessa natura degli avvisi di accertamento in quanto ad esso si riconnette la condivisione dei tratti tipici caratterizzanti l’esercizio della funzione impositiva che implica l’accertamento del credito da recuperare e dei relativi accessori.

Tale atto è, dunque, un provvedimento equiparabile nella sua natura impositiva all’avviso di accertamento e non ha natura di mera esecuzione, costituendo anzi il titolo per procedere ad attività di riscossione che, a norma del comma 422 dell’art. 1 della legge citata, resta possibile solo “in caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, delle somme dovute entro il termine assegnato dall’ufficio, comunque non inferiore a sessanta giorni”.

Manca, in definitiva, una pretesa tributaria “compiutamente” e definitivamente stabilita (importo da recuperare, interessi e sanzioni) e, come tale, divenuta esigibile.

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Maria Teresa Della Vittoria Scarpati