Informazione interdittiva antimafia: è conforme al diritto europeo l’assenza di contraddittorio tra la Pubblica Amministrazione e il destinatario del provvedimento?

Commento a T.a.r. Puglia, sez. III, 13 gennaio 2020, n. 28

28 Gennaio 2020
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Il T.a.r. di Bari ha chiesto alla Corte di Giustizia di chiarire se gli artt. 91, 92 e 93 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nella parte in cui non prevedono il contraddittorio endoprocedimentale in favore del soggetto destinatario di informazione antimafia interdittiva, siano compatibili con il principio del contraddittorio, così come riconosciuto dal diritto dell’Unione

T.a.r. per la Puglia, sez. III, 13 gennaio 2020, n. 28

Tale questione pregiudiziale è stata di recente sollevata dai giudici pugliesi nell’ambito del giudizio di impugnazione di un provvedimento interdittivo antimafia, rilasciato dalla Prefettura di Foggia nei confronti della ricorrente per la presenza di possibili situazioni di fatto tendenti a condizionare gli indirizzi dell’attività imprenditoriale svolta dalla società.

Nell’illustrare i propri dubbi interpretativi, il Collegio prende le mosse dalla disamina della disciplina nazionale di riferimento, così come delineata nel c.d. codice antimafia e nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, e in base alla quale l’informazione interdittiva avrebbe natura di misura preventiva a carattere amministrativo, finalizzata ad anticipare la soglia della difesa sociale in modo da garantire una tutela avanzata contro le attività della criminalità organizzata.
Su richiesta dei soggetti di cui all’art. 83 d.lgs. 159 del 2011 (cioè pubbliche amministrazioni ed enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, enti e aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico, nonché i concessionari di lavori o di servizi pubblici), il Prefetto territorialmente competente procede infatti all’accertamento della affidabilità dell’impresa che viene in contatto con la Pubblica Amministrazione, al fine di verificare che risulti libera da tentativi di condizionamento mafioso, scongiurando così il rischio di diffusione di condotte di inquinamento del tessuto sociale ed economico del Paese.

La ratio del provvedimento – da individuarsi, dunque, nella salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza fra le imprese e del buon andamento dell’azione amministrativa – consente all’autorità prefettizia competente di adottare l’informativa interdittiva anche sulla base di semplici indizi, presunzioni o inferenze argomentative, senza possibilità per il destinatario di addurre elementi idonei ad orientare in senso favorevole l’Amministrazione decidente.

Ma proprio tale ricostruzione dell’istituto non convince i giudici del T.a.r. Bari.

Secondo il Collegio, al provvedimento prefettizio in esame non potrebbe attribuirsi natura cautelare – e, quindi, ritenersi giustificata l’esclusione di una fase partecipativa al procedimento di rilascio – non trattandosi di misura provvisoria e strumentale, adottata in vista di un provvedimento che definisca con caratteristiche di stabilità e inoppugnabilità il rapporto giuridico controverso, bensì di atto conclusivo del procedimento amministrativo, avente effetti dissolutori del rapporto giuridico tra l’impresa e la Pubblica Amministrazione. All’adozione dell’informativa prefettizia segue, infatti, il ritiro di un titolo pubblico o il recesso o la risoluzione di un contratto, nonché la sostanziale messa al bando dell’operatore economico, estromesso dal circuito dei rapporti con la Pubblica Amministrazione.

Tuttavia, pur in presenza di tali effetti negativi nella sfera giuridica del destinatario, il procedimento amministrativo di accertamento dell’affidabilità dell’impresa non prevede alcuna forma di contraddittorio con il destinatario del provvedimento medesimo, che assumerebbe invece rilevanza sotto diversi profili.

In primo luogo, le valutazioni del Prefetto possono fondarsi anche su dati fattuali c.d. a condotta libera, rimessi al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’Autorità amministrativa, che può desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa non solo da provvedimenti di condanna, ma anche da elementi dai quali risulti che l’attività di impresa possa essere condizionata anche in modo indiretto dalla criminalità organizzata. In detta prospettiva, il contraddittorio tra il Prefetto e l’impresa potrebbe dunque offrire al primo prove e argomenti convincenti per ottenere un’informativa liberatoria, pur in presenza di elementi o indizi sfavorevoli.

In secondo luogo, il giudice amministrativo – chiamato a pronunciarsi sulla legittimità dei provvedimenti in esame – non possiede un sindacato giurisdizionale ab intrinseco sulle valutazioni del Prefetto, che vada oltre l’apprezzamento della ragionevolezza e della proporzionalità della prognosi inferenziale che l’Autorità amministrativa trae dai fatti posti a fondamento dell’interdittiva medesima, ma solo un sindacato meramente estrinseco sull’esercizio del potere prefettizio.

Premesse tali considerazioni di carattere generale, il Collegio evidenzia che a livello europeo e sovranazionale è, invece, riconosciuto quale principio fondamentale quello del contraddittorio (di carattere endoprocedimentale).
L’art. 41 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea prevede, infatti, il diritto ad una buona amministrazione, comprendente in particolare “il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio”. Esso è da intendersi nel senso che “ogni qualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione intende fondare la sua decisione”. Inoltre, il principio in esame “quale espressione fondamentale di civiltà giuridica” è espressamente riconosciuto anche all’interno della CEDU, appartenendo quindi al catalogo dei principi generali del Diritto dell’Unione.

Sulla scorta delle suesposte valutazioni, il T.a.r. di Bari ha quindi deciso di sospendere il giudizio di primo grado e richiedere l’intervento interpretativo della Corte di Giustizia.
Tale ordinanza di rimessione potrebbe assumere una certa rilevanza, in quanto si colloca nel solco già tracciato dalla giurisprudenza sovranazionale, da tempo orientata a riconoscere natura sanzionatoria (penale o amministrativa) a provvedimenti qualificati dagli ordinamenti nazionali in termini di misure cautelari, proprio in ragione del complesso degli effetti prodotti in concreto sui destinatari, con conseguente operatività di fondamentali garanzie altrimenti non applicabili (primo fra tutti, il principio che imporrebbe un contraddittorio preventivo con il destinatario del provvedimento medesimo). Non resta, quindi, che aspettare per verificare se analoghe considerazioni possano valere – questa volta per la Corte di Giustizia – anche per il settore delle interdittive antimafia.

irene picardi