Violazione delle norme in materia di concorrenza e partecipazione alle gare pubbliche

La selezione delle condotte anticoncorrenziali cui attribuire rilevanza ai fini delle procedure di gara può essere compiuta dalle stazioni appaltanti con valutazione ex ante e, per così dire, “a monte”, in sede di conformazione della legge di gara

4 Maggio 2020
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La selezione delle condotte anticoncorrenziali cui attribuire rilevanza ai fini delle procedure di gara può essere compiuta dalle stazioni appaltanti con valutazione ex ante e, per così dire, “a monte”, in sede di conformazione della legge di gara

T.a.r. per il Lazio, sez. II, 6 aprile 2020, n. 3798

Con una interessante pronuncia avente ad oggetto una procedura di gara indetta da Consip S.p.a., i giudici della seconda sezione del T.a.r. di Roma sono tornati sul tema della rilevanza escludente delle sanzioni dell’Autorità per la regolazione del mercato e della concorrenza, occupandosi però questa volta di un profilo della disciplina poco scandagliato dalla giurisprudenza, cioè se l’onere della valutazione (specifica e concreta) del comportamento dell’operatore economico possa essere soddisfatto ex ante dalla stazione appaltante in sede di predisposizione della legge di gara.

La vicenda controversa

Come anticipato in premessa, la vicenda esaminata dal T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, nella sentenza in commento si inserisce nell’ambito di una gara indetta da Consip per la conclusione di un Accordo Quadro, suddiviso in 7 lotti, avente ad oggetto l’affidamento dei servizi applicativi IT per le Pubbliche Amministrazioni. All’esito della procedura, il raggruppamento temporaneo ricorrente impugnava l’aggiudicazione di uno dei lotti disposta in favore del raggruppamento classificatosi al primo posto della graduatoria, rilevandone l’illegittimità per violazione dell’art. 80 d.lgs. 50/2016 per essere stata la mandante destinataria di un provvedimento sanzionatorio dell’Antitrust, idoneo in quanto tale ad incidere negativamente sulla sua affidabilità.

Nello specifico, l’AGCM aveva accertato a carico della predetta impresa – e di altre note società attive nel settore della revisione contabile e della consulenza (c.d. “Big Four”) – un’intesa restrittiva della concorrenza avente la finalità di condizionare, attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti, gli esiti di una gara indetta dalla stessa Consip per l’affidamento dei servizi di assistenza tecnica alla Pubblica Amministrazione nei programmi cofinanziati dall’Unione Europea (c.d. Gara “ADA”).

Le sanzioni pecuniarie irrogate dall’Autorità in quell’occasione, successivamente contestate dai soggetti destinatari dinnanzi al medesimo T.a.r. per il Lazio, erano state confermate anche in sede giurisdizionale, almeno con riguardo a quelle applicate nei confronti della mandante del raggruppamento aggiudicatario della nuova gara che procedeva, quindi, a proporre appello avverso la sentenza di primo grado. Al momento dell’adozione della decisione ora in commento, il giudizio instaurato dinnanzi al Consiglio di Stato risultava ancora pendente e Consip, nel chiedere la comprova dei requisiti ai primi quattro RTI collocati in graduatoria, aveva stabilito che fossero indicati – per quel che in questa sede rileva – solamente “i provvedimenti di condanna per reati rilevanti ai sensi dell’articolo 80 successivamente divenuti definitivi o aventi ad oggetto l’accertamento definitivo di illeciti antitrust”.

Preso atto, quindi, dell’instabilità della decisione dell’Antitrust e della sua conseguente irrilevanza ai fini della gara, Consip aggiudicava l’Accordo Quadro al raggruppamento controinteressato, precisando peraltro che la sanzione posta in capo alla mandante – proprio perché non ancora definitiva – neppure sarebbe dovuta essere oggetto di autodichiarazione.

La decisione dei giudici del T.a.r. per il Lazio

In sede di impugnazione dell’aggiudicazione, i giudici del T.a.r. di Roma hanno confermato la legittimità dell’operato dell’Amministrazione, valutandolo alla stregua del quadro normativo e regolatorio di riferimento, e articolando il proprio ragionamento come segue.

All’epoca della pubblicazione del bando di gara, risultava in vigore la “prima” edizione delle linee guida n. 6 dell’ANAC, recanti “indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), del codice, le quali attribuivano rilevanza escludente ai soli provvedimenti antitrust definitivi, cioè a quelli “divenuti inoppugnabili o confermati con sentenza passata in giudicato”, e ove riferiti a pratiche commerciali scorrette o gravi illeciti anticoncorrenziali “posti in essere nel medesimo mercato oggetto del contratto da affidare”.

Con deliberazione n. 1008 dell’11 ottobre 2017, il citato atto di indirizzo è stato, poi, modificato in senso ampliativo, riconoscendo alle stazioni appaltanti il potere di tenere conto, ai fini dell’esclusione delle imprese dalle gare pubbliche, dei provvedimenti meramente esecutivi di condanna emessi dall’AGCM (e dei provvedimenti esecutivi dell’ANAC), a prescindere dalla loro stabilità, fermo restando il solo requisito dell’identità del mercato di riferimento (sul punto, sia consentito il rinvio a I. Picardi, Aggiornamento delle linee guida sull’illecito professionale: la “palla” alle stazioni appaltanti sull’esclusione per sentenze di primo grado; in argomento, cfr. anche le osservazioni dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato con commento di I. Picardi, Positiva la scelta di ricomprendere fra “i gravi illeciti professionali” anche gli illeciti antitrust, ma l’accertamento deve essere definitivo).

Tanto premesso con riguardo alla disciplina applicabile, Consip con valutazione compiuta ex ante in sede di conformazione della legge di gara aveva deciso “con propria ponderazione auto vincolante (resa preventivamente e una volta per tutte)”, di dare rilievo, ai fini espulsivi, ai soli provvedimenti sanzionatori dell’AGCM ormai definitivi, in coerenza con la formulazione originaria delle Linee Guida dell’Anticorruzione. Pertanto, tenuto conto del quadro normativo e regolatorio vigente al momento della presentazione delle domande di partecipazione alla gara in esame, il Collegio ha considerato legittimo l’operato dell’Amministrazione con riferimento sia all’ammissione del raggruppamento controinteressato, sia alla ritenuta irrilevanza della sanzione antitrust riportata dalla mandante.

Entrando nel dettaglio del giudizio, dalla sentenza in commento emerge che ad avviso della ricorrente l’Amministrazione sarebbe stata comunque gravata – anche in virtù delle prescrizioni della giurisprudenza europea – del potere-dovere di valutare i provvedimenti antitrust, quali declinazioni di gravi illeciti professionali ex art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. 50/2016, prescindendo dalla loro definitività, ma secondo il T.a.r. di Roma tale ragionamento sarebbe “frutto di una inferenza logica errata”.

La ricorrente sembra, infatti, fare confusione fra l’ipotesi dell’esclusione automatica degli operatori economici in presenza di gravi illeciti professionali e quella della conformazione della legge di gara da parte dell’Amministrazione, finendo per assimilare le due fattispecie. Tuttavia, si legge nella sentenza, un conto è considerare illegittima l’esclusione di un concorrente basata su un vietato automatismo espulsivo in base al quale l’inaffidabilità del soggetto viene desunta dalla mera esistenza della sanzione senza transitare per una valutazione autonoma e “in concreto” della stazione appaltante (come affermato dai giudici europei, con riferimento alle sanzioni antritrust e ai fatti risolutori); un altro, è ammettere che la stessa Amministrazione, nella spendita del proprio potere discrezionale, si autovincoli preventivamente e scelga di valorizzare, ai fini espulsivi, le sole sanzioni antitrust divenute definitive (in argomento, cfr. nuovamente I. Picardi, La CGUE sugli illeciti antitrust: la violazione delle regole in materia di concorrenza costituisce errore professionale grave, ma l’esclusione non può essere automatica). Tale ultima opzione, afferma conclusivamente il Collegio, non può essere considerata irragionevole, ma risulta anzi maggiormente garantista sotto il profilo della parità di trattamento e della certezza dei rapporti giuridici, e conforme, inoltre, alla versione delle Linee Guida applicabile ratione temporis al caso di specie.

In aggiunta a quanto sopra considerato, i giudici del T.a.r. di Roma si sono sinteticamente pronunciati anche su altri profili della disciplina riguardante la rilevanza ai fini espulsivi degli illeciti antitrust, fatti valere in via subordinata dalla parte ricorrente per contestare la legittimità dell’aggiudicazione.

Anzitutto, sono stati forniti chiarimenti in merito al requisito dell’identità del mercato in cui viene assunta la sanzione e quello del contratto da affidare, che deve ricorrere ai fini della rilevanza delle condotte anticoncorrenziali ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) e delle Linee Guida n. 6. Nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto dal raggruppamento ricorrente, tale requisito non poteva ritenersi sussistente in quanto “il provvedimento di AGCM, nei confronti delle «Big Four», è stato emesso con riferimento alla gara avente ad oggetto l’affidamento dei servizi di «supporto specialistico e assistenza tecnica alle Autorità di Audit dei programmi cofinanziati dall’Unione europea» (gara ADA) ed aveva dunque ad oggetto servizi di consulenza. La procedura selettiva della cui legittimità riguarda invece un mercato essenzialmente diverso dalla consulenza, perché attiene ai «Servizi applicativi IT», ossia servizi specialistici su sistemi informativi (implementazione, manutenzione sw ecc.)”.

In altri termini, i circuiti commerciali dei contratti messi a bando si differenziavano dal punto di vista qualitativo dei servizi da affidare, e quindi anche sotto tale specifico profilo il provvedimento dell’AGCM non avrebbe potuto essere considerato per disporre l’esclusione del raggruppamento aggiudicatario dalla gara.

Infine, ulteriori precisazioni sono state fornite in ordine al rapporto fra la previsione sempre contenuta nelle citate Linee Guida n. 6, in base alla quale rilevano quali gravi illeciti professionali “i comportamenti idonei ad alterare illecitamente la par condicio tra i concorrenti oppure in qualsiasi modo finalizzati al soddisfacimento illecito di interessi personali in danno dell’amministrazione aggiudicatrice o di altri partecipanti, posti in essere, volontariamente e consapevolmente dal concorrente. Rilevano, a titolo esemplificativo: […] la previsione di accordi con altri operatori economici intesi a falsare la concorrenza e i provvedimenti sanzionatori dell’AGCM per pregressi fatti illeciti. Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente – secondo il quale Consip avrebbe dovuto valutare la condotta anticoncorrenziale tenuta dalla mandante del raggruppamento aggiudicatario anche nell’ottica della sua riconducibilità a ipotesi analoghe a quelle prese in considerazione dalla Linee Guida – il Collegio ha precisato che la suddetta previsione rileva solo ove gli illeciti antitrsut siano posti in essere nell’ambito della stessa gara indetta dalla stazione appaltante. Infatti, ai fini valutativi “un conto è la rilevanza da conferire ad una sanzione presa in altro contesto, un conto è, invece, il valore da attribuirsi alla condotta precontrattualmente scorretta e anticoncorrenziale, tesa ad alterare gli esiti della stessa gara in essere”.

Considerazioni conclusive

Quella delle condizioni di rilevanza delle condotte anticoncorrenziali ai fini della partecipazione alle gare pubbliche, costituisce una delle tematiche più dibattute nel contesto giurisprudenziale amministrativistico.

Già sotto la vigenza del precedente codice dei contratti pubblici – che continua, come noto, ad applicarsi alle gare bandite precedentemente all’entrata in vigore del d.lgs. 50/2016 – si erano formati contrapposti orientamenti circa la corretta interpretazione dell’art. 38, comma 1, lett. f) d.lgs. 163/2006, nella parte in cui consente alle stazioni appaltanti di tenere conto, ai fini espulsivi, dei gravi errori commessi dagli operatori economici nell’esercizio della loro attività professionale.

Se, da un lato, la giurisprudenza principalmente dei tribunali amministrativi regionali era favorevole ad una lettura estensiva della norma, come idonea a ricomprendere tutte le condotte dell’operatore economico indicative di un percorso professionale non del tutto in linea con i parametri di legalità e, quindi, anche quelle anticoncorrenziali (cfr. I. Picardi, Il Tar Lazio torna sulla nozione di errore professionale e conferma la possibilità di estenderla anche agli illeciti anticoncorrenziali; più in generale sull’interpretazione dell’art. 38, comma 1, lett. f) del d.lgs. 163/2006, cfr. D. Capotorto – I. Picardi, La gara “Consip FM4”: la lente del Tar Lazio sulle risultanze delle indagini penali a carico dei concorrenti); dall’altro, il Consiglio di Stato era per lo più orientato a circoscrivere la nozione di errore professionale ai soli inadempimenti commessi nella fase di esecuzione di un contratto pubblico, e non anche quelli occorsi nella fase prodromica della procedura di affidamento, ove si collocano per loro natura gli illeciti antitrust (cfr., a titolo esemplificativo, sent. 4 dicembre 2017, n. 5704 e sent. 7 febbario 2018, n. 722).

Tale questione ne intersecava poi un’altra, attinente al grado di accertamento che questi ultimi doveva avere per acquisire rilevanza ai fini del giudizio di affidabilità degli operatori economici posto in essere dalle stazioni appaltanti. Nell’ambito di quella stessa giurisprudenza che ricomprendeva gli illeciti in esame nel raggio di applicazione dell’art. 38, comma 1, lett. f), la parte maggioritaria dei giudici amministrativi riteneva che gli stessi non dovessero essere necessariamente oggetto di sentenze passate in giudicato, fermo restando il connotato della gravità della violazione. In una recente pronuncia di febbraio 2020, il Consiglio di Stato ha ritenuto rilevante, ai fini del corretto svolgimento di una gara pubblica indetta sempre da Consip, anche un’intesa restrittiva della concorrenza ancora in fase di accertamento al momento della conclusione della selezione, ma che per il dettaglio e la compiutezza degli elementi indiziari a disposizione avrebbe dovuto indurre l’Amministrazione a soprassedere all’aggiudicazione fino all’esito del procedimento sanzionatorio avviato dall’AGCM (sez. V. 21 febbraio 2020, n. 1321).

A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 50/2016 (e successive modificazioni), sono continuate ad emergere in materia – seppur stemperate – le medesime incertezze interpretative.

Nell’impianto delineato dalla nuova disciplina nazionale sugli appalti, i provvedimenti sanzionatori dell’AGCM, pur non presi espressamente in considerazione dall’art. 80, comma 5, lett. c) d.lgs. 50/2016 relativo ai gravi illeciti professionali incidenti negativamente sull’integrità o affidabilità degli operatori economici, sono richiamati nelle Linee Guida n. 6 dell’ANAC fra quelli che la stazione appaltante è tenuta a valutare ai fini dell’eventuale esclusione dei concorrenti dalla gara (purchè riferiti al medesimo mercato oggetto del contratto da affidare). Si è visto che a seguito del c.d. decreto correttivo al codice (d.lgs. 56/2017), l’Anticorruzione ha aggiornato il proprio atto di indirizzo attribuendo rilevanza anche agli illeciti antitrust oggetto di provvedimenti meramente esecutivi, mentre in origine si richiedeva che gli stessi fossero divenuti inoppugnabili o confermati con sentenza passata in giudicato. Inoltre, a livello europeo, la violazione delle regole in materia di concorrenza è espressamente ricompresa fra le situazioni che le amministrazioni aggiudicatrici possono valutare in chiave espulsiva ai sensi del considerando 101 e dell’art. 57, comma 4, lett. d) della Direttiva 2014/24/UE.

Nonostante le suesposte indicazioni, l’assenza di previsioni esplicite in materia a livello di normativa primaria e il carattere non vincolante delle linee guida dell’ANAC hanno fatto sì che anche nella vigenza della nuova disciplina si sviluppassero differenti orientamenti interpretativi diretti, per esempio, a negare la rilevanza degli illeciti antitrust quali ipotesi di illecito professionale; ovvero, a dare rilievo anche alle sanzioni dell’AGCM non definitive, benchè fosse applicabile ratione temporis la “prima” edizione delle Linee Guida n. 6 (cfr. I. Picardi, La violazione delle regole in materia di concorrenza (c.d. illecito antistrust), anche se non accertata in via definitiva, rientra fra i gravi illeciti professionali che possono determinare l’esclusione dalla gara).

Per fare chiarezza, la questione è stata rimessa alla Corte di Giustizia (v. I. Picardi, Nuova richiesta di chiarimenti all’Europa sulla nozione di “errore grave” commesso nell’esercizio dell’attività professionale di cui al vecchio Codice Appalti) che si è definitivamente pronunciata con l’ordinanza 4 giugno 2019, causa C-425/18 sopracitata. Anche se riferita alla corretta ricostruzione dell’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. 163/2006, i principi affermati dai giudici europei in tale occasione possono essere utilizzati – come anche ha fatto il T.a.r. di Roma nella sentenza in commento – come canone interpretativo della disciplina contenuta nell’art. 80, comma 5, lett. c) e nelle Linee Guida n. 6. Riassumendo, tre sono le conclusioni principali cui è giunta la Corte di Giustizia. In primo luogo, il concetto normativo di errore professionale (o di illecito professionale), in quanto posto a presidio dell’elemento fiduciario nei rapporti contrattuali della Pubblica Amministrazione sin dalla loro genesi, deve essere inteso in senso ampio come comprensivo di una vasta gamma di scorrettezze di una certa gravità idonee ad incidere sulla credibilità professionale, integrità o affidabilità dell’operatore economico, e quindi anche della commissione di un’infrazione alle norme in materia di concorrenza.

In secondo luogo, le stazioni appaltanti devono ritenersi autorizzate ad accertare la commissione dei gravi errori professionali prendendo in esame qualsiasi mezzo di prova e non essendo, dunque, necessari provvedimenti inoppugnabili o confermati da sentenze passate in giudicato. In altri termini, la commissione di un illecito anticoncorrenziale, in particolare ove sanzionato dall’Autorità per la regolazione del mercato e della concorrenza, può costituire indizio dell’esistenza di un grave errore professionale anche se non accertato in via definitiva in sede giurisdizionale.

In terzo luogo, e fermo restando quanto sopra, l’esclusione da una procedura di gara non può comunque conseguire automaticamente ad un provvedimento sanzionatorio dell’Autorità garante della concorrenza, ma deve derivare da una valutazione specifica e concreta del comportamento illecito da parte della stazione appaltante. Tale valutazione, come emerge dalla sentenza del T.a.r. di Roma in commento, può essere compiuta – almeno in parte – anche in sede di predisposizione della legge di gara, fissando per così dire uno sbarramento predeterminato di rilevanza degli illeciti antitrust che saranno presi in esame dall’Amministrazione.