Informazione antimafia interdittiva: legittimazione a ricorrere in capo ad ex amministratori e soci della società attinta – deferimento alla Adunanza Plenaria

Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana – sezione giurisdizionale, 19 luglio 2021, n. 726

22 Settembre 2021
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Effetto devolutivo dell’appello: sussiste anche ove il ricorso di primo grado non sia stato riunito a ricorsi aventi ad oggetto il medesimo provvedimento da parte degli stessi ovvero da altri ricorrenti – deferimento alla Adunanza Plenaria.

Va rimessa alla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la questione

  • se in materia di impugnazione di interdittive antimafia vada, o meno, riconosciuta, in capo ad ex amministratori e soci della società attinta, autonoma legittimazione a ricorrere, avuto riguardo alla situazione giuridica dedotta in giudizio, e se gli stessi vadano ritenuti soggetti che patiscano “effetti diretti” dall’adozione di provvedimenti di siffatta natura;
  • in caso di soluzione positiva al primo quesito, se l’effetto devolutivo proprio dell’appello si estenda anche al caso in cui il ricorso in primo grado non sia stato riunito a ricorsi aventi ad oggetto l’impugnazione del medesimo provvedimento da parte degli stessi ovvero da diversi ricorrenti.

1. Premessa

Con una recente pronuncia del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana (sez. giur., 19 luglio 2021, n. 726) è stata affrontata la questione se l’informazione antimafia interdittiva sia impugnabile da parte della sola impresa destinataria, ovvero se la stessa possa essere autonomamente impugnata anche da parte di soci ed amministratori dell’impresa.

Presupposto logico-giuridico del tema controverso è che, come noto, il provvedimento amministrativo può essere impugnato dal solo soggetto di diritto che ne patisce gli effetti diretti sulla sua posizione giuridica di interesse legittimo, con la conseguenza che un soggetto giuridico, che sia dotato di un interesse di mero fatto, sarà ritenuto necessariamente privo di giuridica legittimazione a proporre un’azione giudiziaria, qualora la stessa, sia pure strumentalmente, sia volta a provocare effetti giuridici (ancorché indiretti e mediati) nella sfera di un altro soggetto.

E ciò in quanto l’esercizio dell’azione non può (fuori da una espressa previsione di legge) essere delegato, né surrogato dall’azione sostitutoria di un altro soggetto.

Quanto sopra, in virtù del principio generale, espresso dall’art. 81 c.p.c. per il quale: “Fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui“, applicabile anche nel processo amministrativo in forza del richiamo di cui all’art. 39 c.p.a.

Nello specifico, la questione circa la sussistenza della legittimazione al ricorso si pone qui nei confronti degli azionisti per le azioni giudiziarie spettanti alla società, rispetto ai quali potrebbe obiettarsi l’esistenza di una separazione (più o meno netta) tra le partecipazioni sociali e la gestione dell’impresa, oltre che sulla differente portata degli interessi degli azionisti, pur se costituenti la maggioranza del capitale sociale, non sempre in tutto coincidenti con quelli della società e/o con quelli degli altri azionisti.

Chiarito dunque che tra società e azionisti può non esservi perfetta coincidenza di interessi, occorre tuttavia comprendere se in capo agli azionisti di una società destinataria di una interdittiva antimafia sussista una legittimazione a ricorrere autonoma rispetto a quella spettante in capo alla società attinta.

E ciò quantomeno nei casi in cui detti azionisti alleghino di subire un pregiudizio diretto ed immediato dall’interdittiva (pregiudizio che può manifestarsi, ad esempio, nella impossibilità di effettuare scelte imprenditoriali strategiche e quindi compromissione degli investimenti economici profusi nell’azienda nonché nella lesione della dignità e reputazione, quanto ai soggetti le cui vicende personali e familiari costituiscano diretto oggetto di motivazione).

2. Il caso di specie

Una società, concessionaria del servizio idrico integrato nella Provincia di Agrigento in forza di convenzione stipulata nel 2007 con l’Autorità d’Ambito Territoriale ATI AG9, veniva attinta da certificazione interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Agrigento.

In esito a tale provvedimento, l’ATI AG9 stabiliva la risoluzione della convenzione in essere con tale società e la nomina di un Commissario straordinario con incarico di assicurare la prosecuzione delle attività legate alla convenzione, estromettendo dunque gli amministratori della società concessionaria dalle cariche occupate in seno al Consiglio di Amministrazione e, pertanto, dalla gestione concreta della società stessa.

2.1 La sentenza di primo grado

L’informativa antimafia interdittiva (unitamente al conseguente atto risolutivo) veniva impugnata con ricorso avanti al competente Tar Sicilia da (alcuni) soci della società attinta dall’informativa antimafia interdittiva i quali lamentavano la perdita della gestione dell’azienda, nella quale gli stessi avevano investito ingenti capitali, nonché la preclusione all’esercizio della carica di Presidente del Consiglio di amministrazione, così come di tutti gli altri consiglieri di amministrazione che erano espressione delle società ricorrenti detentrici di pacchetti azionari della società.

Con sentenza n. 3036/2020 il T.a.r. per la Sicilia – Palermo, sez. I, dichiarava il predetto ricorso inammissibile per carenza di legittimazione attiva in capo ai ricorrenti sulla base del rilievo per cui i provvedimenti impugnati – e, dunque, tanto la certificazione interdittiva emessa dalla Prefettura quanto i provvedimenti di risoluzione della convenzione adottati dalla ATI AG9 – erano stati tutti disposti nei confronti della società attinta (la quale, peraltro, li aveva impugnati con separato ricorso nel quale i ricorrenti avevano chiesto di intervenire ad adiuvandum).

A tale proposito, nella sentenza veniva rilevato che “la giurisprudenza è concorde nel ritenere che l’interdittiva antimafia è un provvedimento che può essere impugnato solo dal soggetto di diritto che ne patisce gli effetti diretti sulla sua posizione giuridica di interesse legittimo con la conseguenza che il ricorso giurisdizionale proposto dal socio dell’impresa destinataria del provvedimento dovrà giudicarsi inammissibile per carenza di legittimazione attiva (Cfr., T.A.R. , Bologna , sez. I, 21/03/2019, n. 278 che richiama Cons. Stato, sez. III, 22/1/2019 n. 539). Stesso ragionamento può farsi estensivamente anche per gli altri atti qui gravati. Le ragioni sottese al suddetto indirizzo ermeneutico, che riconosce il difetto di legittimazione attiva degli azionisti per le azioni giudiziarie spettanti alla società, si basano sull’esistenza di una netta separazione tra le partecipazioni sociali e la gestione dell’impresa, oltre che sulla differente portata degli interessi degli azionisti, pur se costituenti la maggioranza del capitale sociale, non sempre in tutto coincidenti con quelli della società e/o con quelli degli altri azionisti“.

La sentenza del Tar Sicilia respingeva altresì la richiesta di riunione del ricorso proposto dai soci della società, qui in esame, alla causa avviata dalla società attinta dall’informativa antimafia, e ciò “attesa la complessità della vicenda e la solo parziale connessione sia oggettiva che soggettiva“.

2.3 La decisione del C.G.A.R.S.

In grado d’appello il C.G.A. rilevava che in ordine al punto di diritto concernente l’impugnabilità dell’interdittiva antimafia da parte della sola impresa destinataria, come ritenuto dal giudice in primo grado, in quanto soggetto di diritto che ne patisce gli effetti diretti, ovvero anche da parte di amministratori e soci, non si registra unanimità nella giurisprudenza del Consiglio di Stato.

Nello specifico,

  • secondo un primo orientamento, sostenuto dalla III Sezione del Consiglio di Stato (14.10.2020 n. 6205, 16.5.2018 n. 2895, 11.5.2018 n. 2829 e n. 2824), il ricorso proposto da soggetti diversi dall’impresa destinataria dell’interdittiva è inammissibile per carenza di legittimazione attiva, in quanto il decreto prefettizio può essere impugnato solo dal soggetto che ne patisce gli effetti diretti sulla sua posizione giuridica di interesse legittimo. Si ascrive al medesimo orientamento anche la decisione, sempre della III Sezione, n. 4657/2015, relativa al difetto di legittimazione di mandataria di ATI seconda classificata ad interloquire su interdittiva relativa alla prima classificata;
  • in base ad un secondo orientamento, sostenuto sempre dalla III Sezione del Consiglio di Stato con decisione 4.4.2017 n. 1559, gli amministratori della società attinta da informativa (e loro parenti menzionati nell’interdittiva quali soggetti partecipi degli elementi indiziari da cui viene desunto il pericolo di condizionamento di stampo mafioso) risultano invece legittimati ad impugnare in proprio, in ragione della lesione concreta ed attuale della situazione professionale e patrimoniale dei soggetti che abbiano dovuto rinunciare all’incarico di amministratori della società, nonché sotto il profilo della potenziale lesione dell’onore e reputazione personale dei soggetti sui quali nel provvedimento venga ipotizzato un condizionamento mafioso. Allo stesso orientamento viene ascritta anche la decisione del Consiglio di Stato sez. III, 7.4.2021 n. 2793, seppur resa nella diversa fattispecie di scioglimento dell’Organo consiliare comunale ai sensi dell’art. 143 del d.lgs. n. 267/2000, ove veniva statuito “che l’ammissibilità del ricorso vada riconosciuta alla stregua del più recente e favorevole indirizzo propenso a conferire rilevanza all’interesse, quanto meno morale, a che gli amministratori del disciolto Consiglio, a tutela della loro stessa immagine e reputazione, facciano dichiarare l’erroneità delle affermazioni contenute nel provvedimento impugnato e, quindi, l’inesistenza di forme di pressione e di vicinanza della compagine governativa alla malavita organizzata (Cons. St., sez. III, n. 4074/2020 e 5548/2020)“.

Evidenziato il contrasto giurisprudenziale in ordine alla tematica in questione, il C.G.A. ha precisato che nell’ipotesi in cui si seguisse l’orientamento favorevole alla legittimazione degli azionisti della società attinta (orientamento per il quale il C.G.A. espressamente propende), ne conseguirebbe la devoluzione al giudice d’appello dell’ulteriore segmento della controversia relativo all’esame delle censure poste dai ricorrenti nel merito dell’interdittiva impugnata.

E ciò sulla scorta del noto principio – espresso dalla decisione dell’adunanza plenaria del 28.9.2018, n. 15 e recentemente riaffermato da Consiglio di Stato sez. II, 2.11.2020, n.6713 – secondo il quale la pronuncia che dichiara erroneamente l’irricevibilità, l’inammissibilità o l’improcedibilità di un ricorso giurisdizionale consuma il potere decisorio da parte del primo Giudice e, stante l’effetto devolutivo dell’appello, impone al secondo Giudice, una volta riscontrato tale error in iudicando, di pronunciarsi nel merito.

Nel caso di specie, tuttavia – stante la peculiarità della vicenda in cui, come visto, il Tar Sicilia in primo grado ha respinto la richiesta di riunione dei ricorsi proposti dai soci della società attinta dall’interdittiva antimafia al ricorso proposto da quest’ultima società – ad avviso del C.G.A. l’applicazione del principio devolutivo rischierebbe di pregiudicare gravemente valori di rango costituzionale quali il diritto alla difesa, al contraddittorio processuale ed al giusto processo.

Ad avviso del C.G.A. infatti, “allorquando venga emessa una decisione in appello sulla questione sostanziale sottoposta da soci ed ex amministratori della società attinta dall’interdittiva, pendente in primo grado il ricorso proposto dall’impresa (che nel caso in questione non risulta nemmeno fissato), l’esito di quest’ultimo verrebbe inevitabilmente pregiudicato dalla decisione, in ipotesi negativa, intervenuta in appello, le cui considerazioni verrebbero, verosimilmente, fatte proprie dal giudice di primo grado, specie a fronte di censure simili“.

Da un punto di vista sostanziale, si verificherebbe dunque la privazione di un grado di giudizio a discapito degli altri ricorsi proposti avverso il medesimo provvedimento da soggetti diversi, “i quali si troverebbero a vedere deciso in unico grado di appello il ricorso contro il medesimo provvedimento oggetto del loro ricorso al Tar, senza che in questo grado di giudizio possano essere, ovviamente, esaminati i motivi dei loro ricorsi“.

3. Brevi considerazioni conclusive

Nella pronuncia in esame, la soluzione cui tende il C.G.A. è – condivisibilmente – quella favorevole a riconoscere, in capo ad ex amministratori e soci di una società attinta da interdittiva antimafia, autonoma legittimazione a ricorrere, ove questi ultimi patiscano, in base ad un accertamento da effettuarsi in concreto, “effetti diretti” dall’adozione di provvedimenti di siffatta natura.

Tali “effetti diretti” possono (esemplificativamente) ricondursi

  • quanto agli amministratori, alla sostituzione degli organi di gestione, con perdita delle cariche ricoperte e quindi pregiudizio professionale;
  • quanto ai soci, all’impossibilità di effettuare scelte imprenditoriali strategiche e quindi compromissione degli investimenti economici profusi nell’azienda;
  • quanto agli ulteriori soggetti le cui vicende personali e familiari costituiscano diretto oggetto di motivazione, alla lesione della dignità e reputazione dagli stessi subita.

In favore della soluzione propiziata dal C.G.A. nella sentenza in esame militano innanzitutto ragioni di corretto bilanciamento tra

  • la natura cautelare e prettamente “indiziaria” del procedimento volto all’emanazione dell’interdittiva antimafia che emerge dagli artt. 84 e 91 del codice antimafia (d.lgs. n. 159/2011), che non consente l’esercizio delle garanzie di partecipazione tipiche del procedimento amministrativo;

e

  • la necessità di tutela del diritto di difesa dei soggetti che sono immediatamente e gravemente incisi dal provvedimento prefettizio, sebbene non formalmente diretti destinatari dello stesso.

In altri termini,

  • se la posizione dei soci della società attinta non può ricevere tutela in sede procedimentale, fase nella quale il contraddittorio, come visto, è escluso (a maggior ragione con riferimento a soggetti diversi dal destinatario dell’interdittiva);
  • allora, appare necessario che detta tutela venga recuperata quantomeno in sede giurisdizionale.

Il riconoscimento della legittimazione al ricorso potrebbe, in definitiva, compensare l’omessa garanzia del contraddittorio endoprocedimentale, consentendo di recuperare, quantomeno a provvedimento emesso, attraverso la tutela giudiziale, parte delle garanzie ordinariamente connesse a provvedimenti di natura gravemente afflittiva.

Di contro, la preclusione del contraddittorio (sia in sede procedimentale, sia) in sede processuale sottoporrebbe ad evidente tensione l’applicazione dell’istituto dell’interdittiva antimafia con principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost., oltre che con principi eurounitari sanciti dall’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (che comprende “il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio”) riconosciuta avente “lo stesso valore giuridico dei trattati” ex art. 6, par. 1, del Trattato UE.

Il caso in questione costituisce una plastica rappresentazione del rischio sopra evidenziato, dal momento che il provvedimento impugnato si basa su vicende personali, anche molto risalenti e addirittura già oggetto di valutazione favorevole in occasione di precedenti provvedimenti, che in tale circostanza sono state rivisitate in chiave opposta. Per cui sarebbe chiaro il vulnus cui sarebbero sottoposti i soggetti interessati ove non venisse loro consentito di contestare, quantomeno in sede giudiziale, la legittimità di un provvedimento che arreca conseguenze estremamente gravi per gli stessi sul piano sia individuale che patrimoniale.

Michele Di Michele