Appalti pubblici: è nulla la clausola del contratto che esclude la revisione del prezzo

Negli appalti pubblici è nulla la clausola del contratto che esclude la revisione del prezzo. Alla P.A. è precluso qualsiasi patto in deroga alla ammissibilità della revisione dei prezzi

26 Aprile 2022
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Negli appalti pubblici è nulla la clausola del contratto che esclude la revisione del prezzo. Alla P.A. è precluso qualsiasi patto in deroga alla ammissibilità della revisione dei prezzi.

È quanto stabilisce il TAR Lazio – Roma – sez. IV – con la sentenza del 21 aprile 2022 n. 4793.

I fatti di causa

La controversia si riferisce all’affidamento di un appalto di lavori, in merito al quale l’impresa esecutrice aveva avanzato all’Amministrazione istanza di revisione del prezzo del contratto.

L’Amministrazione, dapprima è rimasta inerte, costringendo l’impresa ad adire il giudice amministrativo per l’accertamento del silenzio inadempimento, e, successivamente, in ottemperanza all’ordine di provvedere, ha adottato una decisione di diniego, appellandosi alla clausola contrattuale che escludeva la possibilità revisionale del corrispettivo.

Il provvedimento è stato impugnato innanzi al TAR Lazio che invece ha annullato il diniego opposto all’istanza sul presupposto che la materia della revisione prezzi è sottratta a qualsiasi potere negoziale delle parti contrattuali.

La decisione

Ad avviso del Tar Lazio, la disposizione normativa dettata dall’art. 2 della legge 22 febbraio 1973 n. 37 in forza della quale la materia della revisione prezzi è sottratta a qualsiasi potere negoziale delle parti contrattuali e che – escludendo in subiecta materia la possibilità di qualsiasi patto contrario o in deroga – prevale sulle contrarie pattuizioni eventualmente contenute in atti negoziali (ex multis: Cons. St., Sez. V, 6 Luglio 1992, n. 607; Cons. St., Sez. V, 17 marzo 2003, n. 1362; Cass., Sez. Un., 14 novembre 2005, n. 22903; TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 20 gennaio 2004 n. 44).

Il giudice amministrativo rileva come la giurisprudenza ha precisato, peraltro, che il divieto di patti contrari o in deroga, sancito dal menzionato art. 2 della legge n. 37 (secondo cui “la facoltà di procedere alla revisione dei prezzi è ammessa, secondo le norme che la regolano, con esclusione di qualsiasi patto in contrario o in deroga“), non risulta abrogato a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 33 della legge 28 febbraio 1986, n. 41 (in argomento richiamando la decisione del Cons. St., 18 novembre 1999, n. 1723 laddove afferma che “va di seguito verificato se la disciplina dell’art. 33 della legge n. 41 del 1986 abbia avuto una capacità abrogativa, sia pure per incompatibilità, del suddetto art. 2, cosi come ha ritenuto la sentenza appellata. Al riguardo si deve propendere per una risposta negativa; nel caso in esame, non risultando adottata la formula del prezzo chiuso di cui al quarto comma dell’art. 33 stesso, si ricade nell’ipotesi di esecuzione di lavori avente durata superiore all’anno, per la quale l’art. 33 consente la revisione dei prezzi “a decorrere dal secondo anno e con esclusione dei lavori già eseguiti nel primo anno”. Non può da tale formula legislativa ritrarsi la conclusione che introducendo essa modalità di riconoscimento della revisione prezzi difformi dal regime legale cui faceva riferimento l’art. 2 l.n. 37/73, sarebbe venuta meno l’impossibilità di derogare alla disciplina legale medesima”).

In definitiva per il giudice amministrativo è illegittimo il provvedimento di diniego della revisione del prezzo del contratto, residuando tuttavia in capo alla P.A. il potere valutativo della domanda, che presuppone una specifica attività istruttoria.

Tanto coerentemente con la ratio della revisione del prezzo, che è quella di favorire un meccanismo di gestione delle sopravvenienze idonee ad incidere in modo significativo sull’originario equilibrio contrattuale.

L’istituto ha infatti la finalità di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle PP.AA. non siano esposte con il tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse (incidente sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell’offerta) e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte.

Al contempo, si vuole salvaguardare l’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi sopraggiunte durante l’arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standard qualitativi delle prestazioni.

Pertanto, la revisione invocata, può trovare riconoscimento all’esito di un procedimento amministrativo, vertendosi in un’area di rapporti in cui la P.A. agisce esercitando il suo potere autoritativo, previa istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi.

Giovanni F. Nicodemo