Appalti di servizi, esclusa la modifica del prezzo prima della stipula del contratto e in assenza di una espressa clausola di revisione

Commento a Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza del 31 ottobre 2022, n. 9426

9 Novembre 2022
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Prologo

Negli appalti di servizi, a proposito dell’istanza dell’operatore economico che invoca la revisione del prezzo prima della stipula del contratto, il Consiglio di Stato sez. IV con la sentenza n. 9426 del 31 ottobre 2022 , rifacendosi alla giurisprudenza comunitaria (sentenza del 19 giugno 2008, pressetext Nachrichtenagentur, C-454/06, EU:C:2008:351, punti da 34 a 37) ha chiarito che il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne deriva ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che dette disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle dell’appalto iniziale.

Ed inoltre l’istanza di revisione del prezzo formulata dall’impresa aggiudicataria prima della stipulazione del contratto, è  a fortiori, inammissibile presupponendo essa la sussistenza di un rapporto contrattuale già in corso.

Il caso

La controversia giunta all’attenzione del giudice amministrativo si riferisce ad un appalto di servizi di igiene urbano.

Nel caso di specie la Società istante ha domandato la modifica delle pattuizioni economiche prima di procedere alla stipulazione del contratto.

Richiesta che tuttavia il contraente pubblico ha espressamente rigettato, provvedendo peraltro alla revoca dell’aggiudicazione.

Quindi l’impresa è insorta dinanzi al giudice amministrativo sostenendo l’illegittimità del diniego alla propria istanza di revisione, all’uopo appellandosi a diversi argomenti tra cui l’obbligo delle pubbliche amministrazioni di favorire la sostenibilità e la fattibilità tecnico-economica delle prestazioni afferenti al ciclo dei rifiuti.
Mentre sul piano normativo ha invocato l’applicazione dell’art. 106 del d.lgs. 50 del 2016.

Ma il giudice amministrativo si è detto di differente avviso.

Sia il Tar Lombardia (che ha affrontato la questione in primo grado) che il Consiglio di Stato respingendo il ricorso dell’impresa hanno spiegato che le modifiche previste dall’art. 106, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 sono riferite ai “contratti”, dal che può dedursi che il contratto debba essere stato già stipulato, perché se ne possa prospettare una sua modifica. Diversamente si configurerebbe una ipotesi di violazione dei principi di parità di trattamento tra gli operatori economici.

La decisione

La decisione in rassegna (la quale affronta sotto diversi profili il tema della revisione del prezzo del contratto) muove dal presupposto della sostanziale neutralità dell’ordinamento europeo per gli aspetti relativi agli eventuali rimedi manutentivi che gli ordinamenti approntano per fronteggiare le sopravvenienze che incidono sugli aspetti economici del contratto.

Tuttavia, spiegano i giudici di Palazzo Spada, la P.A. in tale contesto nella determinazione della propria decisione deve rispettare il principio di parità di trattamento.

Sotto altro profilo il giudice amministrativo conferma l’orientamento giurisprudenziale in virtù del quale la pretesa dell’aggiudicatario della gara alla rimodulazione dei corrispettivi prima della stipula del contratto (e, quindi, in una fase differente dall’esecuzione) altera il confronto tra gli operatori, finendo per premiare il concorrente che indica il prezzo maggiormente competitivo (anche senza quella necessaria prudenza che si richiede ad un soggetto qualificato e da tempo operante nel mercato), salvo poi predicare la insostituibilità delle condizioni originarie del contratto, determinate anche in ragione delle proprie offerte (in termini cfr. T.A.R. Milano, (Lombardia) sez. II, 10/06/2022, n.1343).

La decisione inoltre si sofferma sull’esame della disposizione prevista dall’art. 106 del d.lgs. 50 del 2016 (poiché l’impresa ne aveva invocato l’applicazione a sostegno della propria istanza di revisione).

A proposito il Consiglio di Stato chiarisce che mentre la lettera a) della norma prende in esame e disciplina le “variazioni dei prezzi e dei costi standard”, la lettera c) fa testuale ed espresso riferimento a quelle “modifiche dell’oggetto del contratto” che si correlano alle “varianti in corso d’opera”.

Quest’ultime – chiarisce il giudice amministrativo – sono quelle modifiche che riguardano l’oggetto del contratto sul versante dei lavori da eseguire, (arg. da Cons. Stato Sez. II, 28 agosto 2020, n. 5288; Sez. V, 02 agosto 2019, n. 5505; Sez. VI, 19 giugno 2017, n. 2969; ma, in linea generale, nulla preclude di riferire la disciplina in questione anche alle forniture da erogare o ai servizi da svolgere).

La sentenza in esame in definitiva afferma che le modifiche dell’oggetto del contratto sul versante del corrispettivo che l’appaltatore va a trarre dall’esecuzione del contratto vanno invece sussunte nell’ambito della fattispecie di cui alla lettera a), che disciplina gli aspetti economici del contratto con testuale riferimento alle “variazioni dei prezzi e dei costi standard”; ed infine che le modifiche previste dall’art. 106, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 sono riferite ai “contratti”, dal che può dedursi che il contratto debba essere stato già stipulato, perché se ne possa prospettare una sua modifica.

Individuano quindi il contratto quale conditio sine qua non per l’ammissibilità dell’istanza di revisione.

Giovanni F. Nicodemo