Inidoneità morale e professionale dell’operatore economico: dal Consiglio di Stato nuove precisazioni sulla fattispecie escludente di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice e sul contenzioso ad essa connesso

Commento a Consiglio di Stato, sez. VI, 29 novembre 2022, n. 10483

23 Febbraio 2023
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Grave illecito professionale – art. 80 d.lgs. n. 50/2016 – Interesse a ricorrere – Sindacato del giudice amministrativo

Commento a Consiglio di Stato, sez. VI, 29 novembre 2022, n. 10483

1. Premessa

Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato (sez. VI, 29 novembre 2022, n. 10483) torna sulla fattispecie escludente del “grave illecito professionaledi cui all’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016, fornendo interessanti precisazioni sia di diritto processuale, che sostanziale.

La persistente attenzione dei giudici amministrativi per tale istituto, rispetto al quale si è già sviluppata un’ampia e variegata casistica giurisprudenziale, dimostra come lo stesso stenti ancora a trovare una sistematizzazione certa nel diritto degli appalti pubblici, venendo di volta in volta riempito di nuovi significati, a seconda delle sensibilità delle amministrazioni (in argomento, cfr. D. Capotorto, Il sindacato giurisdizionale sulle valutazioni amministrative in tema di integrità morale degli operatori economici per illeciti in corso di accertamento: la tripartizione dei poteri in “corto circuito” tra discrezionalità amministrativa, discrezionalità tecnica e discrezionalità giudiziale, in Dir. Proc. Amm., 2021, 3, 568 ss.).

Inoltre, nell’attuale contesto, il tema assume specifico rilievo in vista dell’imminente riforma del Codice appalti che, in base alla legge delega, dovrebbe intervenire sulla normativa di settore proprio per individuare specificatamente le fattispecie che configurano l’illecito professionale.

2. Il caso di specie

All’esito di una complessa procedura di gara, indetta dell’Agenzia per i procedimenti e la vigilanza in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (ACP) per conto della Provincia autonoma di Bolzano, e avente ad oggetto l’esecuzione dei servizi di trasporto scolastico per gli anni 2020/2021-2022/2023, la società SAD Trasporto locale – la quale, per lungo tempo,  aveva gestito detto servizio – veniva esclusa ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016, sia dal lotto in relazione al quale era risultata aggiudicataria a seguito di scorrimento della graduatoria, sia dagli altri lotti ai quali pure sarebbe dovuta subentrare a seguito dell’estromissione di altra impresa.

L’esclusione della SAD veniva comunicata all’Anac dalla stazione appaltante, la quale procedeva altresì a richiedere all’impresa il versamento della cauzione pari all’1 per cento del valore dell’appalto, ai sensi dell’art. 27 della l.p. n. 16/2015.

Dopo aver impugnato le originarie aggiudicazioni disposte in favore degli altri concorrenti, con ricorso per motivi aggiunti la SAD contestava, quindi, anche le suddette esclusioni prima dinnanzi al TRGA di Bolzano (29 aprile 2022, n. 122) e successivamente al Consiglio di Stato.

In entrambi i gradi del giudizio, i giudici amministrativi hanno confermato la legittimità dell’operato dell’amministrazione provinciale, per le ragioni di seguito esposte.

3. Sull’interesse a ricorrere

Il primo profilo che viene in rilievo riguarda l’interesse ad agire dell’impresa ricorrente. Quest’ultima aveva, infatti, dichiarato nel corso del giudizio di non ambire più all’aggiudicazione della commessa, ma di volere comunque adire le vie giurisdizionali per: evitare il pagamento della cauzione ex art. 27, comma 3, l.p. n. 16/2015; ottenere la cancellazione delle iscrizioni dei provvedimenti di esclusione dal casellario ANAC nel frattempo intervenute; tutelare l’interesse strumentale alla partecipazione a future procedure di gara, costituendo un provvedimento di esclusione “un precedente negativo per un’azienda che opera nel settore dei pubblici appalti”.

Sul punto, i giudici del TRGA di Bolzano e del Consiglio di Stato hanno assunto determinazioni differenti.

Mentre in primo grado, il ricorso principale è stato dichiarato improcedibile, sul presupposto che essendo “l’impugnazione in discussione […] finalizzata all’affidamento dell’appalto in oggetto, ne consegue che la manifestazione della ricorrente di non avere più alcun interesse all’appalto può essere interpretata come ammissione di una sopravvenuta carenza di interesse alla decisione in merito”, in sede di appello l’azione promossa dall’impresa ricorrente è stata dichiarata viceversa ammissibile.

In particolare, i giudici del Consiglio di Stato muovono dalla considerazione che anche nel processo amministrativo trova applicazione il principio generale di cui all’art. 100 c.p.c., in base al quale “costituisce condizione per l’ammissibilità dell’azione, oltre alla titolarità di una situazione giuridica sostanziale di diritto soggettivo o di interesse legittimo, anche la sussistenza dell’interesse a ricorrere, inteso quest’ultimo non come idoneità astratta dell’azione a realizzare il risultato perseguito ma, più specificamente, come interesse proprio e concreto del ricorrente al conseguimento di un’utilità o di un vantaggio (materiale o, in certi casi, morale)”. Nell’ottica del processo amministrativo, di stampo impugnatorio-annullatorio, il presupposto dell’azione è quindi costituito dalla “sussistenza di un interesse all’eliminazione del provvedimento che il ricorrente ritiene lesivo della propria sfera giuridica (Cons. Stato, sez. IV, 09/09/2022, n. 7857)”.

Dando attuazione a tale principio, il Consiglio di Stato giunge a ritenere ammissibile il ricorso proposto dalla SAD, intendendo essa tutelare sia “l’interesse concreto ad ottenere delle utilità (l’addotto esonero dal pagamento della cauzione e la cancellazione delle iscrizioni dei provvedimenti di esclusione dal Casellario ANAC nel frattempo intervenute)”, sia “l’interesse morale a non veder astrattamente compromessa la propria immagine di operatore economico”.

4. Sulla “nozione di grave illecito professionale”

Il secondo profilo di interesse riguarda la perimetrazione della fattispecie escludente del “grave illecito professionale.

Nella procedura di gara in contestazione, la decisione della stazione appaltante di escludere l’impresa ricorrente si era fondata, oltre che su una sanzione irrogata dall’Agcm non ancora divenuta definitiva, anche su “una serie molto ampia di episodi” e su “un lungo elenco di dissapori” dai quali sarebbe emerso come il rapporto fra le parti fosse “ormai logoro per non dire esasperato”. In particolare, risultava che la società SAD aveva negli anni attivato contro la Provincia “una consistente mole di contenziosi” che, seppur giustificata in realtà dall’esigenza di tutelare la propria situazione soggettiva da taluni provvedimenti dell’amministrazione ritenuti lesivi, per quest’ultima era da considerarsi indicativa “di una insorta ostilità della parte privata” e, conseguentemente, dell’assenza in capo alla stessa dei necessari requisiti di moralità.

Nel confermare la legittimità delle esclusioni disposte dalla stazione appaltante, i giudici amministrativi di primo e secondo grado richiamano i consolidati principi espressi dalla giurisprudenza sul tema.

Muovendo dalla considerazione che la previsione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016 consente all’amministrazione di attribuire rilevanza ad ogni tipologia di condotta illecita dell’operatore economico, anche ove non accertata in maniera definitiva, che per la sua gravità sia in grado di minarne l’integrità morale e professionale[1], le sentenze in commento giungono a considerare riconducibile alla nozione di ‛illecito professionale’ anche il complessivo comportamento tenuto dall’impresa SAD nei confronti della Provincia.

5. Sul sindacato del giudice amministrativo

In un breve, ma significativo passaggio della sentenza, il Consiglio di Stato si sofferma anche sul controllo esercitabile dal giudice amministrativo in relazione al giudizio di inidoneità morale e professionale dell’operatore economico espresso dalla stazione appaltante.

In proposito, la sentenza ricorda che “la valutazione circa la sussistenza dei gravi illeciti professionali rilevanti ai fini dell’esclusione dalla gara è interamente rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante”, sicchè la stessa potrà essere apprezzata dal giudice amministrativo solo “entro i limiti della abnormità o della manifesta irragionevolezza”. Nella giurisprudenza, tale spazio di valutazione riservato all’amministrazione trova, a sua volta, giustificazione nella scelta legislativa di rimettere alla stazione appaltante l’individuazione del “punto di rottura dell’affidamento nel pregresso e/o futuro contraente” (Cass. civ, Sezioni unite, 17 febbraio 2012, n. 2312).

Venendo al caso di specie, il Consiglio di Stato afferma quindi che il proprio compito “non è stabilire se l’appellante abbia ragione o torto nel merito delle singole vicende (se così facesse questo Collegio si sostituirebbe ai giudici investiti delle singole controversie. Ad esempio: stabilire se la sanzione AGCM è legittima o no significherebbe sostituirsi al Collegio che sarà chiamato a decidere se confermare o meno la sentenza del Tar per il Lazio che ha sancito la legittimità di tale sanzione)”, quanto piuttosto “valutare se l’insieme del contegno tenuto da SAD sia riconducibile alla nozione di «grave illecito professionale» la cui valutazione ai fini dell’esclusione dalla gara è interamente rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante”.

6. Sui rapporti fra stazione appaltante e centrale di acquisto

Infine, la sentenza si sofferma sulle competenze e funzioni demandate rispettivamente all’Agenzia per i procedimenti e la vigilanza in materia di contratti pubblici e all’amministrazione provinciale, nelle ipotesi in cui entrambe vengano coinvolte nella gestione delle procedure di gara.

In particolare, nel caso di specie risultava che, nel corso della gara, i provvedimenti di esclusione nei confronti della SAD erano stati adottati dal RUP della provincia e non da quello dell’ACP, dopo che quest’ultima aveva già accertato la sussistenza dei requisiti di ordine generale cui all’art. 80 d.lgs. n. 50/2016. Ad avviso della ricorrente, tale circostanza rendeva i provvedimenti illegittimi per incompetenza assoluta e per violazione del principio del ne bis in idem. Inoltre, risultava violato anche il principio di imparzialità, poiché il RUP della stazione appaltante aveva anche dato vita alle contestazioni dei pregressi comportamenti dell’impresa SAD, all’origine delle esclusioni medesime.

Anche sotto tali aspetti, i giudici amministrativi confermano la legittimità dell’operato della stazione appaltante.

Con riguardo alla prima censura, il Consiglio di Stato precisa che nelle procedure di gara che coinvolgono la stazione appaltante/ente committente e la centrale di acquisto/ente committente ausiliaria sussiste una separazione dei ruoli, per cui competono alla prima le valutazioni e decisioni inerenti alla progettazione, affidamento ed esecuzione dell’appalto e alla seconda quelle afferenti alla gestione della gara (l.p. n. 15/2011 e l.p. n. 15/2016). Da ciò discende, quale prima conseguenza, che l’adozione dei provvedimenti di aggiudicazione/esclusione a seguito dell’accertamento dei requisiti soggettivi in capo dell’operatore economico è demandata al RUP della stazione appaltante. Per le medesime ragioni, quest’ultimo ha inoltre ampia autonomia nello svolgimento di dette valutazioni ai fini dell’aggiudicazione dell’appalto, anche ove già poste in essere nel corso della gara dalla centrale di acquisto. Pertanto, precisano i giudici amministrativi, nel caso di specie “non è corretto sostenere che l’ACP avesse già effettuato i predetti controlli e che le verifiche qui contestate fossero una ripetizione non consentita, in quanto la verifica di ACP si riferisce ad un’altra fase del procedimento e non ha nulla a che vedere con la verifica ai fini dell’affidamento del contratto di appalto effettuata dal RUP del procedimento”.

In relazione alla seconda censura, i giudici amministrativi ricordano invece che “le ipotesi che normativamente impongono ad un funzionario di astenersi sono di stretta interpretazione” e che “non ricorre una situazione di conflitto di interessi nel caso in cui emerga che un dirigente della P.A., nominato presidente di una commissione di gara, abbia adottato, nel corso degli anni nello svolgimento delle sue mansioni, molteplici provvedimenti pregiudizievoli tali da determinare l’insorgere di diverse controversie giurisdizionali con l’impresa concorrente”; infatti, prosegue la sentenza, “tale fattispecie non integra alcuna delle condizioni tassativamente previste dall’art. 51 c.p.c. e dall’art. 42 d.lgs. n. 50 del 2016, in presenza delle quali sussiste l’obbligo di astensione dalle funzioni di commissario, né un potenziale conflitto di interessi per l’esistenza di gravi ragioni di convenienza, di una causa pendente tra le parti o di una grave inimicizia tra le medesime”.

Alla luce di quanto precede, il Consiglio di Stato conclude che “nella specie non sussistono le condizioni per affermare che il RUP avrebbe dovuto astenersi dall’intervenire, né l’appellante ha fornito un reale principio di prova che consenta di affermare il contrario”.

7. Considerazioni conclusive

Seppur oggetto di numerosissime pronunce della giustizia amministrativa, la sentenza in commento offre ulteriori nuovi spunti al dibattito interpretativo sull’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016.

A livello processuale, viene attribuita autonoma rilevanza all’interesse dell’operatore economico a rimuovere il provvedimento di esclusione emesso nei propri confronti dall’amministrazione, a prescindere dall’affidamento della commessa.

Nei giudizi attinenti alla materia della contrattualistica pubblica, l’utilità pratica cui naturalmente tende il processo consiste nel fatto che all’eventuale accoglimento del ricorso consegue l’affidamento del contratto o la rinnovazione della gara, pur sempre strumentale all’aggiudicazione (sul tema, cfr. D. Capotorto, Le condizioni dell’azione nel contenzioso amministrativo in materia di appalti: “l’interesse meramente potenziale” nuovo paradigma dell’ordinamento processuale?, in Dir. Proc. Amm., 2020, 1, 665 ss.).

Con la sentenza in commento, si registra invece un ampliamento delle maglie delle condizioni dell’azione: l’interesse che sorregge il ricorso non è più legato alla suddetta utilità, ma all’esigenza dell’operatore economico di tutelare la propria immagine e reputazione di soggetto affidabile, incrementando così la possibilità di essere ammesso alla partecipazione a future nuove gare.

Tale interpretazione dell’istituto processuale in esame, per molti aspetti innovativa, si giustifica ove si consideri che, nell’accertare il possesso dei requisiti di idoneità professionale in capo ai concorrenti, le amministrazioni possono ormai valutare una serie molto ampia di fattispecie, ragione questa per la quale qualsiasi provvedimento di contenuto negativo, emesso a carico dell’impresa, può riverberare conseguenze inibitorie sull’espletamento di attività negoziali.

Ciò trova, peraltro, conferma proprio nella sentenza in commento, ove si individuano nuovi spazi per l’applicazione della fattispecie escludente del “grave illecito professionale”.

Al di là della sanzione irrogata dall’Agcm, che per consolidata giurisprudenza amministrativa e sulla base delle linee guida dell’Anac può essere valutata in chiave espulsiva dalle stazioni appaltanti ancorché non definitiva (cfr., su questo sito, I. Picardi, Violazione delle norme in materia di concorrenza e partecipazione alle gare pubbliche), l’amministrazione provinciale fonda il proprio giudizio di inidoneità morale e professionale anche sul presunto “accanimento giudiziario” perpetrato nei propri confronti dalla SAD. In altri termini, viene ritenuta idonea a ledere l’affidabilità e l’integrità dell’impresa, la contestazione in giudizio degli atti e dei provvedimenti della committente negativamente incidenti sui propri diritti e interessi, sul presupposto che detta condotta non possa dirsi conforme agli standard di correttezza richiesti all’imprenditore che intenda contrattare con la pubblica amministrazione.

Così ricostruita, la nozione di ‛illecito professionale’ assume, invero, una connotazione assai sfumata: pur nella sua ampia applicazione discrezionale, essa richiede che venga in rilievo una condotta ‘illecita’ dell’operatore economico, variamente ricollegata all’esercizio dell’attività professionale; una condotta, cioè, contraria ad un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa, tale da compromettere “l’integrità del concorrente, intesa come moralità professionale, o la sua affidabilità, intesa come reale capacità tecnico professionale” (Anac, Linee guida, n. 6). L’interpretazione estensiva cui, nel tempo, è stato sottoposto l’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2026 ha indotto la giurisprudenza amministrativa a tenere in considerazione, ai fini dell’allontanamento dalle gare pubbliche, anche illeciti non accertati in maniera definitiva, ma ricavabili da altri indizi (come, ad esempio, l’attivazione di indagini penali o l’adozione di misure cautelari. Sul tema, cfr. D. Capotorto, Il sindacato giurisdizionale sulle valutazioni amministrative in tema di integrità morale degli operatori economici per illeciti in corso di accertamento: la tripartizione dei poteri in “corto circuito” tra discrezionalità amministrativa, discrezionalità tecnica e discrezionalità giudiziale, in Dir. Proc. Amm., 2021, 3, 568 ss.).

Nella sentenza in commento, si va oltre a tale approccio ermeneutico – già di per sé foriero di numerose difficoltà interpretative e applicative – e, prescindendosi dalla sussistenza di ‛illeciti professionali’, si finisce per attribuire rilevanza escludente a comportamenti dell’impresa ritenuti non eticamente responsabili o non conformi a certi standard. Al potere discrezionale di quest’ultima non corrisponde, peraltro, sul piano giurisdizionale, un controllo sufficientemente penetrante, con la conseguenza che il giudice amministrativo non potrà valutare il comportamento tenuto in concreto dall’operatore economico, ma solo il percorso logico attraverso il quale la stazione appaltante è giunta alla propria decisione per accertare eventuali carenze motivazionali o altri vizi sintomatici dell’eccesso di potere.

Tale sviluppo interpretativo e applicativo della fattispecie escludente in esame, accompagnato dalla sostanziale insindacabilità delle valutazioni espresse in sede di gara dalle amministrazioni, non sembra del tutto conciliabile con i principi di legalità, proporzionalità e ragionevolezza e rischia di rendere eccessivamente difficoltoso per le imprese l’accesso al mercato.

Per arginare tale fenomeno, occorrerebbe quindi ricondurre il “grave illecito professionale” entro confini più precisi, a partire dal dato testuale della norma di riferimento. Pur essendosi la nuova legge delega per la riforma del Codice appalti fatta carico di tale esigenza, richiedendo la razionalizzazione e semplificazione delle cause di esclusione, al fine di rendere le regole di partecipazione alle gare pubbliche maggiormente chiare e certe, la bozza di testo attualmente all’esame delle Camere per il rilascio del parere non sembra superare le suddette criticità, configurandosi l’illecito professionale come fattispecie tuttora aperta. Qualora il testo dovesse essere confermato nella formulazione attuale, si auspica quindi da parte della giurisprudenza amministrativa una rimeditazione delle posizioni da ultimo assunte in favore di una lettura più stringente della fattispecie.

______________

[1] Ricordano, sul punto, i giudici amministrativi che “lungi dal prevedere delle specifiche (e tipizzate) ipotesi di esclusione, al cui verificarsi il legislatore faccia conseguire l’obbligo per la stazione appaltante di disporre l’esclusione dalla gara, la norma eccezionalmente consente – in deroga al generale principio della tipicità delle cause di esclusione – all’Amministrazione di disporre comunque l’esclusione per fatti non tipizzati a priori, a condizione però che la stessa dimostri, alla luce di tali circostanze, che l’operatore economico si era reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità ed affidabilità (ex multis, Cons. Stato, V, 16 novembre 2018, n. 6461)”.