Il Consiglio di Stato si pronuncia sulla portata applicativa del divieto di rinnovo tacito dei contratti pubblici

Con la sentenza n. 1626, del 16 febbraio 2023, il Consiglio di Stato, sez. V, è stato chiamato a pronunciarsi sulla portata applicativa del divieto, di matrice europea, del rinnovo tacito dei contratti pubblici

8 Marzo 2023
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Con la sentenza n. 1626, del 16 febbraio 2023, il Consiglio di Stato, sez. V, è stato chiamato a pronunciarsi sulla portata applicativa del divieto, di matrice europea, del rinnovo tacito dei contratti pubblici.

La pronuncia in commento trae origine dal ricorso esperito dall’Associazione Granturismo (associazione rappresentativa di gran parte delle imbarcazioni che svolgono il servizio di trasporto pubblico non di linea nella laguna veneta) congiuntamente ad altre impese ad essa associate.

In particolare, queste ultime hanno impugnato, inter alia, chiedendone l’annullamento, l’atto con cui l’Autorità Portuale di Venezia, dichiarando la definitiva cessazione dell’affidamento diretto a Nethum S.p.A (oggi A.P.V. Investimenti S.p.A), società controllata dalla stessa Autorità Portuale, della gestione delle strutture di approdo all’interno della laguna, aveva disposto la proroga della gestione degli approdi e dei pontili alla medesima società, nell’attesa che venisse esperita una procedura ad evidenza pubblica (secondo quanto previsto dal comma 10, art. 6, legge 28 gennaio 1994, n. 84).

A seguito dell’accoglimento del ricorso principale e del successivo ricorso per motivi aggiunti, le soccombenti Nethum S.p.A e Autorità Portuale di Venezia hanno impugnato la pronuncia del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto invocandone l’integrale riforma.

Tuttavia, il Consiglio di Stato ha confermato la decisione del giudice di prime cure.

I giudici di Palazzo Spada, infatti, all’esito del giudizio, hanno affermato il principio di diritto secondo cui “non può essere ammessa una proroga del contratto eccedente i limiti stabiliti dalla legge, posto che essa si risolverebbe in un vero e proprio rinnovo, e dunque nella continuazione del rapporto contrattuale in violazione dei limiti previsti dall’art. 6 della legge n. 537 del 1993, e in assenza dei presupposti di convenienza e pubblico interesse, che, essi soli, fondano la deroga al principio della gara ad evidenza pubblica”.

Con la pronuncia in commento, il Consiglio di Stato ha evidenziato che “la portata applicativa del divieto di rinnovo dei contratti da parte della P.A. rappresenta un precetto che, coerentemente con la matrice euro – unitaria della norma, è oggetto di costante interpretazione estensiva in giurisprudenza”.

Giova sottolineare che il principio di cui all’art. 6, della legge n. 84/1994 (secondo cui l’esecuzione delle attività di affidamento e controllo dirette alla fornitura di servizi di interesse generale a titolo oneroso agli utenti portuali, deve essere affidata in concessione dall’Autorità portuale esclusivamente mediante procedura di evidenza pubblica) deve essere letto alla luce del precedente art. 6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 con il quale il legislatore aveva già introdotto il divieto di rinnovo tacito dei contratti per la fornitura di beni e servizi della pubblica amministrazione comminandone, in caso di violazione, la nullità degli stessi.

Al riguardo, la giurisprudenza è unanime nel riconoscere all’art. 6 della legge del 1993 la natura di norma imperativa facendone derivare la naturale applicazione degli artt. 1339 c.c. “inserzione automatica di clausole” e 1419 c.c. in materia di nullità parziale del contratto o di singole clausole dello stesso (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 2 novembre 2009, n. 6709; Cons. Stato, sez. III, 1° febbraio 2012, n. 504; Cons. Stato, sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6275; Cons. Stato, sez. V, 21 luglio 2015, n. 3594).

Invero, atteso che il prolungamento automatico del termine di durata originariamente previsto nel contratto produrrebbe “l’effetto di sottrarre, in maniera intollerabilmente lunga, un bene economicamente contenibile alle dinamiche fisiologiche del mercato”, il rinnovo di un contratto pubblico scaduto deve essere considerato alla stregua di un contratto originario e, in quanto tale, necessitante della sottoposizione ai canoni dell’evidenza pubblica.

Occorre, infatti, precisare che, sebbene nella materia dei contratti pubblici la giurisprudenza ammette, al ricorrere di determinati presupposti, l’istituto della cosiddetta “proroga tecnica” (ex multis Cons. Stato, sez. III, 3 aprile 2017, n. 1521; Cons. Stato, sez. V, 17 gennaio 2018, n. 274), alla stessa è riconosciuto un carattere eccezionale dovendosi fondare, tra l’altro, su “oggettivi e insuperabili ritardi nella conclusione della nuova gara non imputabili alla stazione appaltante” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 2019, n. 3588).

Tanto la proroga quanto il rinnovo di un contratto pubblico, si tradurrebbero, difatti, in un affidamento senza gara in violazione dei principi comunitari di libera concorrenza e parità di trattamento di cui agli artt. 30, comma 1 del d.lgs. n. 50/2016 e 101 ss. TFUE.

Al riguardo, il supremo Collegio amministrativo ha affermato come l’eliminazione della possibilità di provvedere al rinnovo dei contratti scaduti abbia “valenza generale e portata preclusiva di opzioni ermeneutiche ed applicative di altre disposizioni dell’ordinamento che si risolvono, di fatto, nell’elusione del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici”. (Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 6458 del 31 ottobre 2006).

Il Consiglio di Stato, coerentemente con l’ormai granitico orientamento giurisprudenziale in materia, ritiene l’art. 6 della legge n. 537/1993 espressivo di un precetto di portata generale la cui sua ratio sottende, anzitutto, all’esigenza di tutela dell’interesse pubblico a che le prestazioni di beni o servizi da parte degli appaltatori delle pubbliche amministrazioni “non subiscano col tempo una diminuzione qualitativa a causa degli aumenti dei prezzi dei fattori della produzione, incidenti sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell’offerta, con conseguente incapacità del fornitore di far fronte compiutamente alle stesse prestazioni”.

Esso risponde, inoltre, all’esigenza di garantire sia il rispetto del principio generale della concorrenza sia l’effettività della gara formale ad evidenza pubblica – presupposto fondamentale dell’attività contrattuale pubblicistica – al fine di favorire la dinamicità e la trasparenza del mercato.

D’altronde, tanto la proroga della gestione dei pontili e dei servizi di approdo, quanto la conseguente ratifica delle tariffe predisposte unilateralmente dalla Nethum S.p.A per il servizio di approdo e dalla stessa in seguito applicate, hanno determinato un effetto distorsivo della competitività tra le imprese in violazione della disciplina nazionale e sovranazionale in materia di concorrenza e abuso di posizione dominante.

Contrariamente a quanto sostenuto dalle appellanti, il Consiglio di Stato ha, infine, precisato come la portata applicativa del divieto in questione si estenda anche alle concessioni di servizi ex art. 30 del decreto legislativo n. 163 del 2006.

Enrica Cibella